Le principali notizie e informazioni di natura economica, finanziaria, giuridica e politica relative alla Cina

giovedì 30 dicembre 2010

Novità in azienda: salario minimo aumentato e niente inglese

Le autorità cinesi stanno introducendo in questi giorni alcune novità che interessano da vicino le aziende straniere in loco: a Pechino il salario minimo aumneterà di oltre il 20% mentre verranno previste nuove sanzioni per chi userà la lingua inglese.

Per il 2011 la competitività in Cina si prevede piuttosto elevata, a causa di alcune misure intraprese dal governo centrale in questo periodo di fine anno.
La prima di queste è l’aumento del salario minimo, tendenza che ha caratterizzato il mondo lavorativo del Paese negli ultimi mesi. Dopo l’innalzamento di sei mesi fa, infatti, a Pechino dal primo gennaio prossimo il salario aumenterà del 21% (200 yuan) passando così a 1.160 yuan mensili (175 dollari) e la paga oraria dovrà superare i 6,7 yuan. Tale novità interesserà circa 3 milioni di lavoratori cinesi. Accanto a Pechino, altri sono i centri interessati da questo orientamento: sono stati annunciato aumenti nella Provincia del Guangdong e anche ad Hong Kong, dove dal primo maggio 2011 verrà introdotto il salario minimo a 28 dollari locali l’ora.
L’aumento salariale è stato deciso al fine di ridurre gli squilibri sociali della Cina, stimolare i consumi e rafforzare la domanda interna; l’effetto di ciò potrà comportare, inoltre, la crescita competitiva delle aree produttive ma anche l’intensificarsi delle spinte inflazionistiche.
Altra novità riguarda invece la visibilità delle aziende straniere nel Paese asiatico: una direttiva dell’Amministrazione generale della stampa vieta ora su giornali, riviste, libri e siti web cinesi l’utilizzo di parole inglesi. Ciò significa che anche alcuni marchi internazionali e acronimi saranno interessati dal divieto. Le aziende che non rispetteranno la normativa verranno sanzionate duramente anche se si potranno usare eccezionalmente alcune parole seguite da traduzione o da una spiegazione in cinese. La censura probabilmente creerà non pochi problemi logistici legati alla pubblicità e al brand, che dovranno essere aggirati con espedienti quali l’utilizzo di marchi specifici per il mercato cinese.

mercoledì 29 dicembre 2010

Via libera ai voli privati nei cieli della Cina

Il mese scorso le autorità cinesi hanno deciso di aprire gradualmente lo spazio aereo del Paese anche ai voli a bassa quota, aprendo così un mercato per l’aviazione privata ed il business ad essa connesso.
Una circolare congiunta del Consiglio di Stato e della Commissione Militare Centrale ha dato il via ai decolli dei voli privati, come quelli di business jet ed elicotteri. Se fino ad oggi, infatti, i voli a bassa quota erano controllati militarmente e le autorizzazioni richiedevano tempistiche piuttosto lunghe, ora si potrà sorvolare il cielo cinese e con permessi ottenuti nel giro di poche ore.
Questa apertura permetterà, nei prossimi anni, di sviluppare nuove opportunità per i costruttori di elicotteri, jet privati e aeromobili d’affari che rappresentano l’offerta dell’aviazione privata. Attualmente, il settore detiene un tasso annuale pari al 30% ma si stima una forte crescita nei prossimi dieci anni, grazie anche ai Paesi emergenti come la Cina, dove i voli di questo tipo sono ridotti. La domanda, però, esiste ed è rappresentata dalla fascia di popolazione di ceto alto che, pur essendo una minoranza, conta milioni di individui. I ricchi cinesi amano ostentare e il jet è da sempre uno degli status symbol per eccellenza.
Tra l’altro, lo sviluppo di questo settore farebbe la fortuna anche di tutte quelle aziende costruttrici di piste d’atterraggio per elicotteri, le compagnie di resort e le imprese di campi da golf, quest’ultime due strettamente connesse con il mondo del lusso e dell’agio moderno. Inoltre, potrebbero migliorarsi anche i servizi di soccorso via elicottero, che in Cina non sono particolarmente efficienti.

martedì 28 dicembre 2010

La medicina tradizionale cinese per lo sviluppo della cosmesi straniera

Uno dei settori con buone prospettive in Cina per le aziende italiane è quello della cosmesi, che integrandosi con le tradizionali tecniche locali può svilupparsi con successo.

La cosmesi è uno dei settori che nei prossimi anni potrebbe attrarre molte imprese straniere in Cina. L’Italia in questo campo si è affacciata al mercato cinese già 20 anni fa e ora sembra esserci il clima giusto per poter cogliere opportunità di un certo peso. In Cina, infatti, cresce sempre più tra i consumatori la domanda di marchi e prodotti stranieri, in particolar modo quelli occidentali, per ciò che riguarda la moda e la cura della persona. I dermocosmetici Made in Italy, inoltre, sono riconosciuti come prodotti di alta qualità e sono molto richiesti dai consumatori cinesi con redditi medio-alti e con stili di consumo “globali”.
Tuttavia, l’ingresso nel Paese asiatico comporta ancora non poche difficoltà. In primo luogo, si registrano problematiche legate alle elevate barriere all’entrata che implicano un iter complesso per la registrazione del prodotto, la licenza di importazione, l’etichettatura e l’ analisi degli adempimenti e dei costi. A ciò si deve aggiungere il forte clima competitivo in un mercato in cui la medicina tradizionale applicata alla cosmesi sta registrando nuovi consensi tra la popolazione. Ciò, però, può essere anche uno spunto per adattarsi ai consumi locali unendo innovazione e tradizione attraverso l’utilizzo degli estratti chimici della medicina tradizionale cinese e integrandoli ai prodotti moderni.
Per accedere al mercato cinese ed avere contatti con importatori, distributori e buyer, un evento molto importante è quello della Cosmoprof di Shanghai, manifestazione appartenente agli eventi di Cosmoprof Worldwide ed espansione della Cosmoprof Asia (dal 9 all’11 novembre 2011), dedicati al settore dell'estetica, della bellezza e cosmesi.

venerdì 24 dicembre 2010

Obiettivo 2011: ridurre l'export e aumentare l'import

Per il 2011 uno degli obiettivi della Repubblica Popolare Cinese sarà quello di riassorbire il surpuls commerciale e riassestare la bilancia commerciale facendo calare le esportazioni ed aumentando le importazioni verso il Paese.

Lo squilibrio della bilancia commerciale cinese è stato nei mesi scorsi una delle principali preoccupazioni delle autorità cinesi e sarà tra le sfide più rilevanti anche per il prossimo anno. Il surpuls ha raggiunto livelli record nelle ultime settimane, ma si è tuttavia ridimensionato a causa della crisi scendendo del 3,9%, e dovrebbe arrivare entro la fine del 2010 a quota 190 miliardi di dollari. L'interscambio del Dragone con il resto del mondo è comunque cresciuto del 36% anno su anno fino a 2,68 trilioni di dollari e dovrebbe arrivare a 2,9 trilioni a fine anno.
Per poter proseguire nel riassorbimento dell'avanzo di bilancia commerciale la Cina prevede per il 2011, così come dichiarato più volte dal governo centrale, una riduzione delle esportazioni dal 30% al 10% e ad un aumento delle importazioni, anche se finora non sono state date ulteriori informazioni circa gli ambiti produttivi interessati da questa scelta. Una misura tale permetterebbe, inoltre, di riequilibrare le scorte di alcuni prodotti alimentari; come annunciato dal ministro del Commercio Cinese Chen Deming, la Cina deve aumentare, infatti, la disponibilità di carni, zucchero, cereali e cotone i cui raccolti sono minacciati anche dalla rapida urbanizzazione.
Se, comunque, la decisione riguardante l'import cinese dovesse concretizzarsi, ciò significherebbe che la Repubblica Popolare sarà nei prossimi anni un crescente mercato di destinazione per molti atri settori.

giovedì 23 dicembre 2010

Nuovi accordi commerciali in seguito ai colloqui annuali tra Cina e Unione Europea

In seguito agli annuali colloqui commerciali tra Cina e Ue sono state siglate nuove intese in ambito tecnologico e si sono discusse le recenti problematiche legate alle terre rare ed al protezionismo.

Non si è dibattuto solo di debito pubblico europeo ai colloqui annuali tra Cina e Ue, tema per cui la Cina si è dichiarata preoccupata: sono state siglate, infatti, alcune importanti intese commerciali che potranno rafforzare la cooperazione tra il Dragone e il Vecchio Continente. All’incontro, tenutosi a Pechino, hanno partecipato il ministro del commercio cinese Chen Deming, il vice premier Wang Qishan, il commissario della Ue Karel De Gucht e il vice presidente della Commissione Europea Joaquin Almunia.
In ambito tecnologico si è raggiunto un accordo per intensificare gli scambi di prodotti tra le due potenze economiche e si sono, inoltre, messe in discussione le restrizioni sull’esportazione di prodotti high-tech verso la Cina attuate dall’Europa.
Altro tema di dibattito è stata la questione del protezionismo messo in pratica dalla Repubblica Popolare Cinese, in particolare per ciò che riguarda le terre rare. L’Europa, infatti, auspica ad un’apertura del Paese asiatico alle aziende europee e a questo proposito la Cina ha garantito prezzi inferiori di acquisto per i consumatori europei e ha dichiarato che non interromperà il rifornimento dei metalli, di cui detiene il 60% delle riserve mondiali.
Il Dragone ha, inoltre, richiesto, che gli venga riconosciuto lo status di economia di mercato e preme per liberarsi dalle accuse di dumping mosse dagli USA per sospetto di violazione delle regole in seno al WTO. Al momento, solo i dazi doganali imposti dall’Unione Europea sui prodotti in ferro e acciaio provenienti dalla Cina sono stati definiti illegali dalla WTO, mentre per quanto riguarda le misure restrittive statunitense sui pneumatici cinesi il Paese asiatico dovrà attendere ancora.
Grazie a questi colloqui la cooperazione tra Cina ed Unione Europea potrebbe conoscere nei prossimi mesi una graduale apertura che favorirebbe le imprese che operano nel Paese asiatico e che non verrebbero così totalmente limitate dalla politica prudenziale e protezionistica attuata dalla Repubblica Popolare.

mercoledì 22 dicembre 2010

La solida economia cinese e la crisi dell'euro

Pechino conquista la fiducia delle agenzie di rating internazionale e vede innalzare l'indice di debito sovrano prima da Moody's e poi da S&P. Il Paese però teme la crisi globale e offre il suo sostegno all'eurozona.

L'economia cinese sembra più solida che mai in questi mesi di instabilità internazionale. Se la maggior parte dei Paesi europei vede minacciare dalle agenzie internazionali i propri rating, altre nazioni, invece, vengono "premiate".
Il rating sul debito sovrano della Repubblica Popolare Cinese, infatti, è migliorato secondo due dei principali istituti: Moody's e Standard&Poor's. Moody's è stata la prima ad intervenire nel novembre scorso, innalzando il rating cinese da A1 a AA3 a fronte della stabilità economica e delle rosee aspettative di crescita della Cina. S&P, invece, ha provveduto a modificare l'indice nelle scorse settimane, portandolo da A+ a AA-, e motivando la decisione con il basso livello di indebitamento del Paese asiatico (al 23% del PIL), la forte posizione patrimoniale e le buone prospettive di crescita. A sostenere la mossa, inoltre, è stata la capacità del governo di Pechino di reagire alle minacce alla sabilità finanziaria e le cospicue riserve di valuta straniera di cui dispone la Repubblica Popolare.
La stabilità economica della Cina si rivela fondamentale nella attuale crisi europea; il ministro del Commercio cinese, Chen Deming, ha recentemente dichiarato, in occasione degli annuali colloqui commerciali con i vertici dell'Unione Europea, che il Dragone è preoccupato per come l'eurozona gestirà la crisi ed i rischi sul debito sovrano. La Repubblica Popolare, quindi, ha deciso di sostenere l'euro, appoggiando le misure adottate dalla Ue e dal Fmi per la stabilità dei mercati finanziari. Una crisi estesa a tutti i Paesi europei potrebbe, infatti, ripercuotersi anche sulla Cina, la quale ha investito in euro gran parte delle sue riserve valutarie. In alcuni casi, come la Grecia, il Paese asiatico ha inoltre proposto un concreto aiuto alle nazioni colpite duramente dalla crisi.
Nei prossimi mesi il Dragone proseguirà con una politica monetaria prudente, ma anche con una politica fiscale attiva che affermi il ruolo rilevante del Paese a livello globale: un ulteriore segnale che la Cina sta diventando uno mercato solido per gli investimenti internazionali e meno rischioso di molti altri Paesi occidentali.

martedì 21 dicembre 2010

Turismo invernale in Cina

In Cina si sta sviluppando negli ultimi anni il turismo invernale con buone potenzialità nell’attività sciistica; molte imprese europee stanno già inaugurando impianti e strutture nelle aree montane del Paese sfruttando la fiera “Alpitec China” come vetrina internazionale.

Anche la Repubblica Popolare Cinese inizia ad aprirsi al turismo invernale, offrendo così enormi opportunità di business alle aziende internazionali del settore. E' solo dal 1996 che lo sci in Cina è uno sport di massa praticato da tutti e, grazie all’introduzione delle ferie lavorative nel 1999, il turismo e le attività sportive invernali sono diventate un’abitudine sempre più comune. Oggi in Cina lo sci appassiona soprattutto i giovani tra i 20 e i 40 anni. Tuttavia, l’attenzione delle autorità alla necessità di strutture adeguate in questo campo è stata finora carente. Solo negli ultimi anni le Amministrazioni provinciali e regionali hanno cominciato ad investire per attrarre nelle località montane i turisti anche nella stagione invernale.
Le aree di maggiore interesse per lo sviluppo del turismo invernale sono la Provincia Heilongjiang, nel nord-est del Paese, e la Regione Autonoma dello Xinjiang, nel nord-ovest. Nella prima area è stata recentemente inaugurata la prima stazione sciistica cinese: A Yabuli, 470 metri di altitudine, Club Med ha creato un vero e proprio villaggio invernale tra le montagne con 18 piste da sci. Entro il 2015 la zona potrebbe vedere nascere altri 4 villaggi, che secondo le stime verranno visitati da 200 mila turisti cinesi l’anno.
Nello Xinjiang, invece, il governo centrale ha stanziato per i prossimi anni 70 miliardi di euro per lo sviluppo economico e sono in corso numerose trattative commerciali che vedono protagoniste molte imprese dell’Europa centrale tra cui aziende dell’Alto Adige.
Per le imprese interessate al settore in Cina un appuntamento importante è quello della fiera internazionale “Ispo China/Alpitec China”, che si tiene ogni anno a Pechino e vede la consueta partecipazione di Fiere Bolzano. L’edizione 2011 si svolgerà dal 23 al 25 febbraio presso il China National Convention Center e avrà come tema le tecnologie, le infrastrutture e le attrezzature per lo sport invernale nella Repubblica Popolare. In contemporanea si terrà la Asia Pacific Snow Conference che verterà sul turismo e l’industria sciistica invernale.

lunedì 20 dicembre 2010

Eppure mi fidavo di te

Le attività in Cina erano iniziate a meraviglia; vendite “da paura”, così le definisce Andrea. Aveva conosciuto un cinese qualche anno fa in un locale durante un viaggio a Beijing e da lì si era deciso a mettere in pratica un’idea che lo stuzzicava da tempo: esportare nel nuovo El Dorado. Le cose in Italia non andavano bene e allora perché non provare? Perché non siglare un patto d’amicizia con quel giovane che, tuttavia, pareva avere grande esperienza e molte conoscenze nel settore? Presto fatto. Andrea torna a casa, si sposa, si compiace nel ricevere i ricavi del business cinese e quasi se ne dimentica. Due anni fa il primo campanello d’allarme, il mercato non tira più... poi la crisi... i numeri diventano sempre più bassi e sul bilancio d’azienda nuove voci in rosso. Il socio di Andrea, preoccupato, parte per Shenzen e si trova a constatare l’amara realtà. Non resta più nulla di quella “fonte dei miracoli”, Lan Bo ha aperto una sua fabbrica, produce i loro stessi prodotti, li ha studiati e brevettati: buona fattura, oltretutto. Terrorismo? No, precauzione. Ancora oggi, dopo anni che le aziende italiane vengono in Cina, storie come quelle di Andrea sono all’ordine del giorno e hanno tristi ripercussioni sugli affari di “casa nostra”.
Esaminando il caso possiamo identificare i principali errori che le PMI italiane si ostinano a commettere nella scelta d’internazionalizzazione.
Prima di tutto il motivo: Andrea sceglie la Cina per moda e come cura ai problemi sul mercato domestico, non c’è alcun disegno alle spalle. In secondo luogo la distribuzione, che costituisce spesso un nodo cruciale nello sviluppo del business in Cina e nel suo controllo. Fidarsi delle impressioni e delle parole non è mai una buona idea. Sempre meglio prestare estrema attenzione e verificare in tutto e per tutto le esperienze pregresse e il portfolio di clienti raggiungibili e potenziali del candidato distributore. Quando possibile, anzi, occuparsi personalmente di distribuire i propri prodotti, cosa che dà anche la possibilità di sviluppare sensibilità e conoscenze di mercato da sfruttare nell’espansione delle operazioni e nella definizione di una “strategia cinese”. Nel caso si opti per un agente, le cautele iniziano con la stipulazione del contratto. Particolare attenzione va prestata all’invenduto, che nelle mani del cinese può diventare base per plagi e vendite tramite altri canali più o meno discutibili che rischiano d compromettere il marchio aziendale. Mai dimenticare che la registrazione di un brevetto presso le autorità cinesi è l’unico appiglio di cui avvalersi nel caso si verifichino sospetti movimenti circa la produzione di prodotti simili, per non dire identici. Non ultimo il controllo: non bastano sporadiche visite in prima persona, o ancor peggio da parte di qualche parente o “persona fidata”, la Cina è sì una grande opportunità, ma anche un grandissimo rischio.

A cura di Marta Caccamo

giovedì 16 dicembre 2010

In crescita gli IDE in Cina

Entro la fine del 2010 gli IDE in Cina potrebbero raggiungere quota 100 miliardi di dollari, confermando che l’economia locale è ancora attraente per gli investimenti stranieri.

I flussi di IDE nella Repubblica Popolare Cinese continuano a crescere e a registrare ottimi risultati. Nel 2010, escluso dicembre, gli investimenti stranieri sono giunti a quota 91,7 miliardi di dollari, registrando così un aumento del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Solo nel mese di novembre gli IDE sono stati pari a 9,7 miliardi di dollari (+38% rispetto al 2009). Inoltre, entro la fine dell’anno si stima che si possano raggiungere i 100 miliardi di dollari, dimostrando come il flusso degli investimenti sia nettamente in salita negli ultimi anni.
Le quote maggiori si registrano nel settore terziario, dove si concentra il 44,9% degli IDE, con una crescita del 40,9% rispetto al 2009. Ciò sembra andare incontro al nuovo orientamento economico del Paese asiatico, che punterà nei prossimi cinque anni allo sviluppo dei consumi interni e alla riduzione delle esportazioni dall’estero.
Rimangono ancora molte perplessità comunque, soprattutto relativamente al rischio di speculazioni in settori come quello immobiliare e al tasso di inflazione che nelle ultime settimane sta registrando record negativi.
Tuttavia, il governo di Pechino continua ad assicurare che favorirà gli investimenti stranieri in Cina, introducendo maggiori controlli per garantire le attività economiche.

mercoledì 15 dicembre 2010

Anche voi festeggiate il Natale?

E anche quest’anno il Natale porta la gioia in Cina… se non ai bambini alle aziende manifatturiere sicuramente. La Rui’an Gift Industry Association registra un incremento del 14.5% nell’export rispetto alla stagione precedente; 29.2 % la crescita a Guangzhou; 30.2%, in valore, quella dell’export totale di giocattoli dalla Terra del Dragone.
Ma come si vive il Natale in Cina? Passeggio per il centro di Shanghai e mi giunge una domanda inaspettata : "Anche voi festeggiate il Natale?", rispondo imbarazzata al mio compagno cinese cercando di mascherare lo stupore davanti a un dubbio tanto ovvio, e aggiungo un “e voi?”- “Certo, a noi piacciono tutte le feste occidentali come Halloween, Natale...”. Gia’, certo, stupida io a non pensarci.
Questo è Natale in Cina, un’ennesima leva di marketing, un momento in cui i fidanzati si scambiano regalini sulla falsariga di S.Valentino e per i negozi locali appaiono nuove decorazioni accanto a quelle lasciate dall’anno prima. Babbo Natale se ne va difficilmente da case e negozi e spesso rimane, sino a Luglio, a guardare il Natale, la festa della famiglia (senza spingerci al significato religioso della festività), messo sullo stesso piano di qualsiasi altra importazione di un mondo lontano che vince nella promozione dei suoi prodotti, ma perde nel comunicare i propri valori.
“Il Natale fa tendenza in Cina”, ma siete sicuri di volerlo sfruttare?

A cura di Marta Caccamo

martedì 14 dicembre 2010

Potenzialità della Cina nella sicurezza in rete

Nel prossimo biennio la Cina si configura come uno dei principali mercati per la sicurezza in rete, superando in valore USA ed Europa messe assieme.

Grazie alla privatizzazione commerciale e allo sviluppo economico, il Dragone potrebbe essere nei prossimi due anni il principale mercato per la Network Security, ovvero la tecnologia per la sicurezza dei dati in internet, gli accessi on-line e la gestione delle reti. La Cina si prospetta interessante soprattutto per l’impegno delle autorità nel controllo delle informazioni trasmesse in rete, elemento che richiede quindi uno sviluppo veloce del settore ed una applicazione massiccia della relativa tecnologia. Inoltre, sono già numerosi gli ingegneri cinesi specializzandi, dottorandi o ricercatori che si stanno formando in questo ambito nelle università ed imprese giapponesi, note per la loro eccellenza nella ricerca e sviluppo di IT.
Ad avere già individuato e colto le opportunità del settore è la Symantec, nota multinazionale nella Network Security che è in procinto di aprire una serie di uffici in Cina a Wuhan, Urumqui, Xi’an, Shenyang, Jinan e Fuzhou proponendosi con un elevato profilo e sfruttando le guanxi locali.
Visto lo sviluppo avviato del mercato giapponese ma anche di quello coreano, le imprese europee del settore che operano già nel continente asiatico e che volessero penetrare in Cina hanno la possibilità di sfruttare la loro notorietà nelle aree limitrofe, offrendo così una garanzia ulteriore ai clienti cinesi.

lunedì 13 dicembre 2010

Nuovo record dell’export cinese

Le esportazioni cinesi registrano una nuova impennata nel mese di novembre 2010, facendo però riassorbire il surplus commerciale a fronte di un incremento delle importazioni. Tuttavia, gli analisti americani giudicano preoccupante la situazione economica del Dragone.

Secondo il rapporto pubblicato dalle autorità doganali cinesi lo scorso venerdì, i nuovi dati della bilancia commerciale cinese dimostrano che l’economia del Dragone è ancora forte. Nel mese di novembre 2010 si sono registrati valori elevati delle esportazioni, che hanno avuto un picco del +34,9%, e delle importazioni, che sono aumentate del 37,7%. Con tali risultati le esportazioni si attestano così a 153,3 miliardi di dollari, un record assoluto, ed il surplus commerciale si è ridimensionato a 22 miliardi di dollari (in ottobre era salito a 27,15 miliardi).
Tutto ciò sembra preparare l’economia cinese ad una robusta risposta alla crisi globale; inoltre, le autorità dichiarano che il Paese potrebbe essere pronto ad un eventuale apprezzamento dello yuan, con beneficio degli Usa che da tempo premono in questa direzione. Tuttavia, Goldman Sacks rimane scettico dinnanzi ai dati della bilancia commerciale cinese e avverte che una lievitazione dell’export potrebbe costringere il governo ad adottare nuove misure per contrastare l’inflazione, con effetti negativi sulla congiuntura economica.
Molti, infatti, sono gli analisti che oggi guardano alla Cina con preoccupazione. La riduzione della domanda globale, verificatesi con la crisi economica, potrebbe avere gravi ricadute sul settore manifatturiero cinese con un conseguente rischio per gli investitori internazionali di materie prime. Inoltre, tutti gli indicatori di prospettiva dell'andamento economico cinese prospettano un indebolimento della crescita economica. Gli economisti consigliano, quindi, prudenza negli investimenti nelle emerging e commodities.

venerdì 10 dicembre 2010

Gli studenti cinesi sono i più preparati

Secondo l’indagine Pisa 2009 realizzata dall’Ocse, la Cina si posiziona al primo posto per livello di preparazione degli studenti di Shanghai.

Il continente asiatico ha ottenuto grandi risultati nell’ultima indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) 2009, studio che viene svolto ogni tre anni relativamente alla preparazione scolastica dei ragazzi di quindici anni nei Paesi membri dell’Ocse e nelle economie in rilievo dal punto di vista internazionale. Al primo posto si colloca la Cina con Shanghai, seguita dalla Corea in seconda posizione e Hong Kong e Singapore rispettivamente in quarta e quinta posizione.
Gli studenti cinesi hanno realizzato ottime performance tanto nelle aree umanistiche (comprensione del testo) quanto in quelle scientifiche (matematica e scienze), con un divario relativamente basso tra chi è preparato e chi studia poco. Inoltre, si è rivelato che, avendo Shanghai un Pil pro capite inferiore alla media degli altri Paesi dell’indagine, il livello socio-economico non incide significativamente sulla preparazione scolastica. Contrariamente, infatti, le medie più elevate si registrano tra le classi meno abbienti.
L’eccellenza cinese è probabilmente frutto anche dalla mentalità che vige tra i giovani, i quali vengono educati a studiare duramente sin dalla scuola primaria per arrivare ad avere un livello di istruzione superiore.
Il risultato è conferma anche degli investimenti nel settore dell’istruzione degli ultimi anni: l’accesso all’università è stato reso più agevole alla maggior parte degli studenti, grazie anche alla riforma universitaria del 1998 del presidente di allora, Jiang Zemin. Inoltre, nei mesi scorsi è stato approvato il Piano nazionale di riforma e sviluppo dell’istruzione 2012-2020, secondo il quale le autorità cinesi provvederanno a modernizzare il settore dell’istruzione. L’obiettivo è quello di estendere a tutti l'istruzione obbligatoria ottenendo una percentuale di iscrizione pari al 90% nelle scuole medie-superiori e del 40% nelle Università, raddoppiando inoltre il numero di persone con un alto livello di istruzione. Tutto ciò si concretizzerà grazie ad un aumento dei fondi destinati al settore, che dovrà essere pari al 4% del Pil nazionale.
Il livello di preparazione dei ragazzi cinesi avrà positive ripercussioni anche nel mondo del lavoro. La Cina si troverà ad avere un enorme bacino di risorse umane, che sarà interessante soprattutto per le realtà imprenditoriali straniere alla ricerca di personale qualificato.

giovedì 9 dicembre 2010

La Cina apre le porte a Internet

Secondo un’indagine entro il 2020 la Cina supererà sia gli Stati Uniti che il Giappone nella sfida all’innovazione. Il governo di Pechino, storicamente protezionistico, sta trattando con il colosso Google per continuare con l’innovazione digitale del Paese.

La Cina ha le carte in regola per diventare il leader mondiale nell’innovazione digitale e ci sono i presupposti affinché si imponga anche come potenza informatica. La seconda potenza economica mondiale è il futuro dello sviluppo di internet e ciò è evidente se si considera il crescente sviluppo del Paese e il numero di utenti. Questo processo favorirà la nascita di nuove e stimolanti opportunità di business a cui Google non vuole rinunciare. Il colosso informatico americano ha come obiettivo primario di accrescere il proprio business in un processo che vede coinvolta la più grande comunità di utenti della rete. Per poter operare in Cina, Google ha dovuto attenersi delle misure altamente restrittive riguardanti il divieto, imposto dal governo centrale, di diffondere informazioni legate, ad esempio, all’attuale questione tibetana o ai fatti di Tienanmen per citarne alcune. Il governo centrale ha addirittura revocato la licenza a Google nel mese di marzo, concedendola nuovamente a condizione che inserisse sulla home page un link con un servizio alternativo fornito da un società con sede a Hong Kong. Nonostante le difficoltà di collaborazione a causa del controllo centrale sui servizi offerti e il ridimensionamento dell’area search per rispettare la politica protezionistica del Paese, la Cina offre delle grandi opportunità di business che non vanno sottovalutate.

martedì 7 dicembre 2010

La guerra valutaria tra Cina e Usa

Sebbene possa creare effetti inflattivi in altri Paesi, gli Stati Uniti sono decisi a mantenere l’attuale politica monetaria e la Cina dichiara che consentirà l’apprezzamento dello yuan secondo “i propri tempi”.

Lo scorso 5 dicembre, durante il programma televisivo CBS “60 Minuti”, Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve (Fed) Usa, è intervenuto criticando la politica cinese, relativamente alla decisione di mantenere sottostimato lo yuan. Mentre Ma Delun, vicegovernatore della Banca del popolo di Cina (Bpc), in novembre, aveva dichiarato che la decisione della Fed di comprare titoli di Stato, per sostenere il fragile recupero dell’economia Usa “può creare rischi addizionali all’equilibrio dell’economia globale, può causare pressione sui mercati emergenti per adeguarsi alla bilancia internazionale dei pagamenti e anche favorire la creazione di bolle inflazionistiche”.
Bernanke, sempre in occasione dell’intervista alla CBS, ha indirettamente risposto: “Tenere la valuta cinese troppo bassa è negativo per l’economia Usa, perché danneggia il nostro commercio. E’ male anche per le altre economie emergenti”.
Sebbene il ruolo di grande potenza economica, che ora è proprio anche della Cina, richieda che il Dragone adatti la propria valuta alle leggi di mercato, Pechino la mantiene sottostimata, al fine di favorire le esportazioni, a scapito dell’industria degli altri Paesi. La Cina promette dal 1993 che consentirà la piena convertibilità dello yuan, ma ribadisce che questo avverrà in modo graduale. Considerata tale ostinazione, la nuova politica della Fed è considerata da molti esperti come un provvedimento strategico, un modo per costringere la Cina a rivedere la sua decisione: per evitare l’inflazione “importata” dagli Usa e scongiurare l’insorgere di proteste di piazza, la Cina dovrebbe ridurre la propria crescita economica - ipotesi che però non rientra certo nei progetti di Pechino – oppure, in alternativa, rivalutare lo yuan.

lunedì 6 dicembre 2010

Una risposta da 300 milioni di $

300 milioni di $ entro la fine dell’anno, 750 stimati entro la fine del 2012 : questi i numeri del mercato dei video online in Cina.
Eh sì perché, pur senza Facebook e Youtube, qui aldilà della Grande Muraglia non ce la si passa affatto male in termini di download e video sharing. Il sito più famoso, “Ku6”, è già quotato, mentre i degni cugini, “TuDou” e “Youku”, si stanno preparando a un’imminente IPO. La loro crescita, finanziata finora dai venture capitalists, ha infatti richiesto round di fundraising giunti a valori nell’ordine degli oltre 100 milioni di $ (135 per il primo, 160 per il secondo).
265 milioni di utenti guardano filmini online e intorno ai 40 milioni affermano di considerare la rete il naturale sostituto alla televisione, nonché il più democratico, anche se questa è da ritenersi una considerazione personale maturata dopo un anno di Cina.
Partendo da questi presupposti le valutazioni sono alle stelle e l’acquisizione dei suddetti “out of limits” per chiunque. Il guadagno è, tuttavia, ancora un’incognita. Questo spiega il perché quotarsi ora: gli investitori sono stanchi di aspettare e le alternative scarseggiano.
Internet e la Cina – dietro il più arduo quesito che la Sfinge abbia mai potuto porre si cela un potenziale sconfinato in termine di potere e profitti. Vedremo chi riuscirà a risolverlo.

A cura di Marta Caccamo

mercoledì 1 dicembre 2010

In Cina due nuove tasse per le imprese straniere

A partire dalla settimana in corso le autorità cinesi inizieranno a riscuotere due nuove tasse presso le aziende straniere presenti nel Paese al fine di uniformare il trattamento con quello riservato alle imprese locali.

Il Consiglio di Stato cinese ha annunciato alla fine di novembre l’applicazione di nuove tasse ai soggetti stranieri che investono in Cina. Si tratta di una misura presa, da un lato per rafforzare l’economia del Paese, che inizia così a configurarsi come un mercato sviluppato e non più come territorio a basso costo, e dall’altro per creare un sistema non discriminatorio per imprese estere e locali.
Le due nuove imposte consistono in una tassa sulle costruzioni ed un contributo all’istruzione e comporteranno l’aumento del 10% delle spese per gli investitori stranieri.
Secondo Ding Yang, economista del Centro di R&S del Consiglio di Stato, ciò non renderà la Cina meno appetibile, in quanto la grandezza del mercato, le risorse e la crescita economica continuano e continueranno ad attirare investimenti stranieri. Da gennaio ad ottobre 2010, infatti, gli IDE in Cina sono cresciuti del 16% rispetto al 2009 e il mese di ottobre 2010 è stato il quindicesimo mese consecutivo in cui gli IDE hanno registrato una crescita positiva.
Secondo quanto riportato dal China Daily, anche la Camera di Commercio Europea, tramite un sondaggio del giugno scorso, ha riportato che il 70% delle aziende affiliate ritiene di poter posizionare la Cina tra le prime tre destinazioni di investimenti nei prossimi 5 anni. Il giro d’affari in Asia, in effetti, è raddoppiato nell’anno in corso e la Cina ha sempre mantenuto il ruolo di leader nel mercato asiatico.

martedì 30 novembre 2010

Ferrovie ad alta velocità: la Cina si collegherà all’Europa

In Cina si fanno avanti progetti rivoluzionari nel campo dei trasporti con l’idea di istituire un treno che vada da Pechino a Londra in due giorni, collegando così anche da un punto di vista geopolitico l’Asia con l’Europa.
Le ferrovie cinesi sono sempre più all’avanguardia; per i prossimi 5 anni il governo ha stanziato 100 milioni di dollari l’anno per l’alta velocità, che nel 2013 dovrebbe contare 13.000 chilometri e nel 2020 circa 16.000.
Il treno più veloce del mondo si trova in Cina e raggiunge la velocità di 394 chilometri all’ora percorrendo la tratta lunga 968 chilometri che va da Wuhan, nella parte centrale del Paese, a Guangzhou, nel sud-est. In fase di sperimentazione è, invece, un altro treno che ha percorso la tratta Hangzhou – Hongqiao alla velocità di oltre 416 chilometri orari.
Lo sviluppo del settore ha permesso al Dragone di esportare all’estero la propria tecnologia ferroviaria, non solo in Paesi come Kazakistan, Uzbekistan, Singapore e Turchia ma perfino in California per la linea Los Angeles – San Francisco che si completerà nel 2020.
Ora però i treni cinesi potrebbero arrivare molto lontano con il progetto in cantiere del collegamento Pechino – Londra, da realizzarsi nei prossimi 10 anni. Il piano prevede la creazione di una rete ferroviaria che unisca ben 17 Paesi con tre direttrici principali: una linea che andrà da Kunming (nello Yunnan, regione nel sud-ovest della Cina) a Singapore, una da Urumqi (capitale dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina) alla Germania per unirsi poi ai binari europei e raggiungere così Londra e la terza da Heilongjiang (provincia nel nord-est del Paese) all’Europa del sud-est, passando per la Russia. L’intera realizzazione costerà intorno ai 480 milioni di dollari e permetterà di collegare la Repubblica Popolare con i mercati europei e dell’Asia centrale. Ciò garantirà anche uno slancio al commercio tra il continente asiatico e quello europeo offrendo una valida alternativa all’aereo.

lunedì 29 novembre 2010

Il fabbisogno energetico della Cina crea difficoltà

La richiesta di energia in Cina raggiunge livelli record e le conseguenze dannose sono numerose: non solo inquinamento, ma anche forti rischi di black-out minacciano il Paese. Nucleare e rinnovabili saranno la risposta al problema.

Nella prima metà di novembre, in Cina, la produzione di energia è aumentata dell’8,9% ed il consumo energetico del 7% rispetto allo stesso periodo nel 2009. La domanda energetica del paese asiatico, quindi, continua a crescere in modo inarrestabile.
A fonte di ciò, diversi saranno i problemi che la Repubblica Popolare dovrà affrontare, tra cui la riduzione delle scorte di carbone, che provocherà disagi soprattutto nelle metropoli come Pechino, Tianjin e Chongquing. Tale scarsità di materia prima ha già provocato un aumento del prezzo del carbone che, assieme al freddo che incombe e alle politiche di risparmio energetico attuate, aumenta in questi mesi il rischio di black-out nel nord del Paese. Le politiche di risparmio energetico e di riduzione dell’inquinamento, infatti, sono recentemente state prese in quanto la Cina detiene il record mondiale di emissioni di gas ad effetto serra, con un aumento nell’ultimo anno dell’8%.
Diverse, infatti, sono le soluzioni che le autorità di Pechino stanno mettendo in atto per affrontare in modo efficace il problema energetico. Innanzitutto, la ricerca di altre risorse, scelta messa in pratica tramite la cooperazione con l’Africa per l’estrazione di minerali e gas naturale, e gli investimenti nel nucleare, la cui produzione dovrebbe aumentare del 5% l’elettricità entro il 2020.
In secondo luogo, si punta molto sulla green economy, settore per il quale tra il 2005 e il 2010 sono stati investiti più di 300 miliardi di dollari. Con l’obiettivo del risparmio energetico si sono garantiti ingenti investimenti alle aziende che sviluppano tecnologie per la conservazione energetica e che tutelano l’ambiente. Ciò ha permesso, ad esempio, di puntare, nel campo automobilistico, alla creazione dell’auto elettrica.
Anche nel nuovo piano di sviluppo quinquennale la green economy è uno dei temi principali: si prevedono appalti pubblici e privati da parte del Ministero dell’Industria e dell’Information Technology per attirare aziende straniere che sviluppino il settore. Finora, su 8000 appalti, 7000 sono stati vinti da imprese estere.

COLORI E MARKETING…Affidiamoci ai cinesi

Più passa il tempo, più mi accorgo che per quanto possa cercare di integrarmi e comprendere questo Paese ne sarò sempre “fuori”, fuori da un mondo che si nasconde dietro a un’infinita letteratura occidentale che, presuntuosa, si vanta di rivelare finalmente la “vera Cina”.
La mia amica May si sposerà in Primavera; la accompagno a fare spese e cogliamo l’occasione per visitare una decina di agenzie matrimoniali tra le migliaia che lo rendono uno dei business più consolidati e fruttuosi in Cina. Davanti a una vetrina mi permetto di suggerirle un bell’abito bianco, meno appariscente e più garbato in mezzo a un incubo di colori, fiori e merletti. Stupita lei mi guarda ed esclama : “Scherzi? Non posso sembrare un fantasma”. Sì perché qui bianco è morte, l’avevo dimenticato. Dopo il primo attimo di scoramento ripiego su un voluminoso modello rosso sgargiante che scatena l’entusiasmo della mia amica: vita e gioia, ora ci siamo.
Scagliato il sasso, tuttavia, ne approfitto per sondare le mie competenze in fatto di colori e cerco di ricordare la teoria dei cinque elementi e qualche lettura sul Feng Shui. Ricevo conferme: Verde e Blu sono vita e primavera; Nero l’inverno, ma anche un colore per giovani prestanti e vigorosi; Rosa l’amore; Viola il potere. Arrivo al Giallo pronta a parlare di nobiltà e delle antiche dinastie Tang e Song, conosco persino la leggenda del dragone giallo…”vero, sì, tutto vero, ma non per libri, cataloghi e film. Giallo è anche simbolo di qualcosa di proibito, quindi associato con la pornografia”. Non l’avevo mai sentito. Smetto di parlare e ancora una volta ascolto: gli studi hanno un’utilità limitata, prima di prendere ogni decisione in fatto di marketing in Cina, mai scordarsi il “check coi cinesi”.

venerdì 26 novembre 2010

Intesa commerciale tra Cina, Giappone e Corea del Sud

A Qingdao si è tenuto questa settimana il summit del OEAED per rafforzare la cooperazione e gli investimenti tra le tre potenze asiatiche.

L’Organizzazione per lo Sviluppo dell’Economia nell’Asia Orientale ha organizzato nei giorni scorsi il summit di Quingdao, nello Shangdong, al fine di stimolare le intese commerciali tra Cina, Giappone e Corea del Sud, anche in risposta ad una ASEAN sempre più indebolita dalle problematiche geopolitiche. La necessità di un’area di libero scambio nell’Asia Orientale ha portato, durante il convegno, alla stipulazione del Trattato di Cooperazione tra le tre economie e alla creazione di un fondo per gli investimenti.
Il Trattato firmato coinvolge 10 città tra le quali verrà creata una zona free trade: Qingdao, Tianjin, Dalian e Yantai in Cina, Kitakyushuu, Shimonoseki e Fukuoka in Giappone e Busan, Inchon e Ulsan nella Corea del Sud.
Il piano di investimenti, invece, prevede l’incentivo di IDE nell’area, in particolare nel settore del commercio, della logistica e dei servizi. Misure di sostegno sono state discusse anche per ciò che riguarda le energie rinnovabili, da implementare nei prossimi anni nell’area, e per lo sviluppo del turismo internazionale nella zona del Mar Giallo, con la creazione di un’area ad alta ricettività tra i tre Paesi.
Gli accordi presi dalle tre potenze economiche favoriscono la presenza straniera, non solo per gli investimenti che sono stati stanziati, ma anche perché la collaborazione interna alla regione facilita gli scambi delle aziende operanti nella zona, potendo così estendere il business ai Paesi confinanti, forti delle intese commerciali vigenti.

giovedì 25 novembre 2010

Missione italiana in Cina per il settore automotive

Dal 22 al 25 novembre è stata organizzata la visita follow-up della Missione di Sistema in Cina del giugno scorso dedicata alla Filiera Automotive.
Si conclude oggi la Missione del settore automotive italiano in Cina, organizzata da ICE e Confindustria con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero degli Affari Esteri, l’ANFIA e l’Unione Industriale di Torino. L’obiettivo della visita è quello favorire la creazione di partnership tra aziende italiane e promuovere insediamenti e investimenti in loco.
Il settore automobilistico cinese è in grande espansione, nonostante la crisi economica del 2009. La Cina è il più grande produttore mondiale di auto e la sua quota di immatricolazioni è attualmente pari a 62 milioni, che nel 2020 potrebbero superare i 200 milioni. Solo nei primi 7 mesi del 2010 le vendite sono cresciute del 43% con 10,26 milioni di vetture ed entro la fine dell’anno potrebbero superare i 15 milioni di veicoli. Il governo cinese, inoltre, sta puntando molto sulla riduzione dell’impatto ambientale delle automobili spingendo sulla produzione di vetture elettriche ed ibride. Entro il 2020 si è posto l’obiettivo di far circolare solo veicoli a basse emissioni. Per raggiungere questo scopo, 16 grandi aziende cinesi hanno stipulato un’alleanza per investire 14,7 miliardi di dollari per la realizzazione di auto elettriche.
La Missione in corso si snoda in due tappe: la prima a Canton (o Guangzhou), dove ha sede il maggior gruppo automobilistico cinese, il Guangzhou Automobile Industry Group (GAIG), e la seconda a Shanghai, dove si trovano la Shanghai Automotive Industry Corporation (SAIC) e altri leader del settore, tra cui la Magneti Marelli e il Gruppo Fiat. Durante le giornate sono stati organizzati seminari, incontri B2B dedicati alla componentistica, car design e macchine utensili nonché visite a stabilimenti, distretti industriali e centri di ricerca. Vi partecipano 66 rappresentanti italiani, di cui 33 aziende (12 delle quali già presenti in Cina) e 2 associazioni industriali.
Con questa iniziativa si completerà il quadro delle opportunità di sbocco per le PMI italiane in Cina, già delineato con la missione di giugno. Se la visita di questi giorni porterà buoni frutti, si apriranno nuove prospettive per le aziende che puntano su qualità, innovazione e rispetto per l’ambiente.

mercoledì 24 novembre 2010

Shenzhen si trasforma e ospita l'innovazione

Da 30 anni la Zona Economica Speciale di Shenzhen è il centro manifatturiero cinese per eccellenza, ma ora le autorità spingono affinchè diventi la sede di progetti innovativi ad alta densità di capitale.

Quando nel 1980 il capo del Partito Comunista, Deng Xiao Ping, decise di trasformare un piccolo paese di pescatori del Guandong in una Zona Economica Speciale, diede inizio al fenomeno di sviluppo più rappresentativo della Cina. Quell'ex villaggio si chiama Shenzhen ed è stato protagonista negli ultimi 30 anni di una crescita incredibile: attualmente rappresenta il 30% del reddito nazionale, con un PIL pari a quello di molti Paesi occidentali e conta 12 milioni di abitanti.
Shenzhen è diventato il centro dell'industria manifatturiera cinese ed è il simbolo del neocapitalismo della Repubblica Popolare. Grazie a bassi costi di produzione, incentivi statali, agevole accesso alle materie prime, sviluppo delle infrastrutture e strategica posizione geografica, ha attirato investimenti locali e stranieri che hanno contribuito a farne la sede della meccanica e dell'elettronica.
Oggi, però, si assiste ad un cambiamento importante: sulla scia di alcune aziende che da qui hanno sviluppato nuove tecnologie con successo, molte altre realtà caratterizzate da alta innovazione stanno conquistando il territorio. Energie rinnovabili, nanotecnologie e biomedicale rappresentano il futuro della Zona Economica Speciale. Le autorità incentivano queste attività e investono per offrire un centro ad elevata qualità logistica e di servizi. Inoltre, il governo spinge per tagliare la manodopera a basso costo e puntare, invece, su forza lavoro qualificata e per poter garantire produzioni efficienti ed una catena distributiva breve.
Lo sviluppo scientifico sarà, quindi, la nuova sfida di Shenzhen e molti sono i punti di forza che favoriranno questa direzione. La metropoli, infatti, può anche contare sul mondo giovanile, che qui è numeroso. L'età media degli abitanti è di 25 anni e gran parte della crescita della città è dovuta alla giovane imprenditoria cinese, che qui trova spazio e ascolto.
Per gli investitori occidentali, quindi, Shenzhen continuerà ad essere un polo di grande interesse dove saranno possibili i cambiamenti industriali richiesti oggi dal mercato mondiale, come basso inquinamento e alta tecnologia.

martedì 23 novembre 2010

Il piano di sviluppo cinese per il prossimo quinquennio

Nonostante i dettagli del piano di sviluppo per il 2011-2015 si sapranno solo il prossimo anno, sono già state annunciate le linee guida che caratterizzeranno la crescita della Cina.

In seguito al quinto Plenum del Partito Comunista Cinese tenutosi nell’ottobre scorso, è stata presentata la pianificazione per lo sviluppo della Cina, che partirà nel 2011 e proseguirà per i successivi cinque anni. Tra gli obiettivi delle autorità cinesi ci saranno dunque: minore crescita del Pil e riduzione dell’inflazione, riduzione del divario tra i redditi, investimenti per la sicurezza e gli alloggi sociali, investimenti nelle energie rinnovabili.
A questo proposito il 22 novembre scorso, il vice ministro del commercio cinse, Jiang Yaoping, ha dichiarato che il governo attuerà una serie di politiche economiche e piani per lo sviluppo dell’industria e dell’economia verde e che in questo settore si impegnerà per offrire un ambiente imparziale che garantirà gli investimenti delle imprese straniere, alle quali verrà riservato lo stesso trattamento per le imprese locali. Lo stesso Wen Jabao ha annunciato che il Paese si impegnerà a ridurre del 4% anno su anno il consumo di energia.
A ciò si aggiunge l’intenzione di ridurre le importazioni dall’estero intensificando la domanda interna. Ruolo importante per questo obiettivo lo giocherà la valuta cinese, che dovrà apprezzarsi gradualmente. Sembra, però, che le autorità cinesi utilizzeranno l’aumento rapido della moneta assieme all’innalzamento dei tassi di interesse per rallentare l’economia.
Importante punto del piano quinquennale riguarda, inoltre, lo sviluppo scientifico. Dal 2006 al 2010 gli investimenti in questo settore sono cresciuti annualmente del 20% ma che per i prossimi 5 anni si seguirà uno sviluppo basato sul sostegno all’innovazione, l’incoraggiamento della domanda e l’elaborazione di un piano globale. La Cina mira alla creazione di programmi scientifici e tecnologici specializzati in campo informatico, agricolo, logistico, energetico e all’implementazione delle nuove industrie, ammodernando quelle tradizionali.

lunedì 22 novembre 2010

Un 2011 all’insegna dei brand italiani del lusso

Per l’anno 2011 si conferma il successo del settore del lusso Made in Italy, soprattutto per il comparto della moda i cui marchi più noti attraggono sempre più investitori cinesi.

Il lusso italiano ha risentito parzialmente della crisi negli ultimi due anni e, anzi, sembra prevedere un 2011 molto positivo. La conferma, già avuta con l’elevato afflusso al padiglione italiano presso l’Expo di Shanghai, viene anche da una serie di incontri che si sono tenuti nell’ultimo mese in Cina a cui hanno partecipato importanti attori del settore e che preannunciano un’intensa programmazione nel prossimo anno.
Uno dei convegni più interessanti è stato il workshop, tenutosi a Shanghai all’inizio di novembre, dal titolo “Acquisizione di brand del lusso italiani da parte di investitori cinesi”, incontro che ha sottolineato la crescente tendenza da parte delle imprese cinesi di voler acquisire in licenza o tramite partecipazione societaria i marchi italiani del lusso per commercializzarli nella Repubblica Popolare. Ciò, peraltro, non nocerebbe alla qualità del Made in Italy, in quanto la produzione dei beni a maggior valore aggiunto rimarrebbe in Italia e l’ingresso sul mercato degli stessi verrebbe garantito dai partner locali e dalle reti distributive.
A beneficiare maggiormente dell’interesse cinese sarebbe il comparto della moda italiano, già consolidato nel Paese asiatico e che qualche settimana fa è stato protagonista del Fashion Summit di Shanghai a cui hanno partecipato noti stilisti italiani.
Tuttavia, le previsioni positive non si limitano alla moda, ma includono anche, sempre per gli imprenditori italiani, il settore del retail, del food e dello sport, per cui la Cina rappresenta una grande mercato di destinazione.

domenica 21 novembre 2010

Un mix di talenti

Test. Possono 4 studenti italiani e 4 cinesi lavorare spalla spalla a un progetto? No. Dobbiamo preoccuparci? Assolutamente. Come ci insegna lo sport nazionale, non esiste squadra fatta di campioni che possa far risultato senza esser prima di tutto Squadra, e così è nella vita. Se ricordarsene è fondamentale nel management di un qualsiasi gruppo, lo diventa ancor di più quando si aggiungono le differenze interculturali, e nel caso Italia-Cina la componente di rischio è alle stelle. Pensare che sia possibile ovviare ai problemi con lo staff cinese in Cina tramite l’affiancamento di giovani dalla casa madre è un’utopia, e un errore che le aziende dovrebbero far attenzione a non commettere. L’Italiano, specie se lanciato verso una brillante carriera futura, è presuntuoso per definizione e cerca di imporre in ogni modo le sue soluzioni al problema, senza nemmeno tenere in considerazione le opinioni dei cinesi. Il cinese, dalla sua, è silenzioso e “creativo”, il che non è sempre la miglior cosa specie se i lampi di genio arrivano in risposta a tasks che non sono stati capiti fino in fondo. E fuori dall’ambiente di lavoro? Vite separate, col primo che si gode le lusinghe di una Cina che i colleghi non (ri)conoscono, e i secondi che accendono e spengono il fuoco della rabbia con incessanti borbottii di fronte a enormi porzioni di noodles (simil spaghetti cinesi). Pensate bene a chi mandare in Cina, e investite nella sua formazione perché sia pronto a relazionarsi con una cultura tanto diversa e sviluppi la sensibilità necessaria a costruire quel “ponte” di comunicazione, unica via per il successo delle operazioni cinesi dell’azienda.

giovedì 18 novembre 2010

Allarme inflazione in Cina: aumentano a dismisura i prezzi alimentari

Continua in Cina la preoccupante crescita del tasso di inflazione, spinto dall’aumento incontrollato dei prezzi dei beni alimentari. E’ elevato il rischio di malcontento sociale e speculazioni.L’aumento record del 4,4% dell’inflazione cinese, registrato ad ottobre, trova la sua causa nella crescita vertiginosa dei prezzi delle derrate alimentari, aumentati il mese scorso fino al 10%. Verdure, aglio, zenzero, cotone sono alcuni degli alimenti tipici della dieta cinese che hanno subito il rincaro. La situazione è critica soprattutto fuori dalle grandi metropoli, dove, non essendoci molti punti di distribuzione, la speculazione trova terreno fertile.
Per frenare il fenomeno inflazionistico, la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme cinese ha varato nei giorni scorsi una serie di misure. Il governo interverrà con controlli diretti dei prezzi, anche al fine di evitare le speculazioni già verificatesi per cereali e cotone, controlli degli aiuti al commercio, sussidi ai consumi per le famiglie più povere, decentralizzazione del potere amministrativo per rafforzare le autorità dei sindaci, incremento degli approvvigionamenti, imposizione di un tetto massimo dei prezzi.
Tuttavia, sembra che l’allarme sia ben più grave secondo le previsioni della Fao (Food and Agricolture Organization). L’organizzazione ha stimato che le scorte di mais, zucchero e cotone della Cina si stanno esaurendo e che ciò comporterà, già nel 2011, una forte riduzione dell’offerta di prodotti agricoli, fenomeno che avrà implicazioni a livello globale. Tutto questo, infatti, si tramuterà in una forte crisi del commercio alimentare, in cui si verificheranno aumenti elevati dei prezzi che ricadranno maggiormente sulle economie meno sviluppate.
Per molti economisti, comunque, tra le cause dell’inflazione cinese ci sarebbe ancora una volta la politica monetaria cinese, che solo con l’apprezzamento dello yuan e l’aumento del tasso di cambio della valuta potrà riequilibrare la situazione economica e quindi anche il commercio del Dragone con l’estero.
Gli operatori che commerciano con la Repubblica Popolare Cinese, quindi, in una fase congiunturale così delicata pongono molta attenzione alle dinamiche economiche del Paese asiatico; è molto alto, infatti, il rischio di riduzione degli scambi e di aumento dei costi.

mercoledì 17 novembre 2010

Yokohama vision

Lo scorso fine settimana si è tenuto in Giappone il vertice asiatico APEC, a cui hanno partecipato i Paesi dell’area Asia-Pacifico. Molti i risultati concreti ottenuti, definiti come la “Yokohama vision”.

Il 13 e 14 novembre scorso si è tenuto a Yokhoma, in Giappone, il 18º summit dell’APEC (Asian Pacific Economic Cooperation), il secondo vertice asiatico, dopo quello del G20. Vi hanno partecipato tutte le economie dell’area Asia-Pacifico, tra cui le maggiori potenze mondiali quali Cina, Giappone, Stati Uniti, Russia e Canada.
Contrariamente al G20, in questa occasione qualche accordo concreto è stato preso. Innanzitutto, i 21 Paesi aderenti hanno messo in cantiere la creazione di un’area di libero commercio nella zona Asia-Pacifico, obiettivo da tempo pianificato e che potrebbe realizzarsi entro il 2011. Per fare ciò gli Stati partecipanti si sono impegnati a sostenere la crescita equilibrata nella regione e impedire i fenomeni di svalutazione dilaganti negli ultimi mesi.
Tra le misure necessarie per il progetto di cooperazione commerciale, infatti, vi è il rafforzamento della flessibilità dei tassi di cambio. Inoltre, entro il 2013 i Paesi dell’APEC hanno garantito che non eleveranno ulteriori dazi e rimuoveranno quelli innalzati nel periodo di crisi.
Per ciò che riguarda la Cina in modo specifico, il forum APEC ha fatto affiorare una precisa politica di contenimento da parte degli USA nei confronti del Dragone, volta ad assicurare una crescita compatibile con gli equilibri mondiali.
Altra questione riaperta è stata quella delle esportazioni di terre rare. Nei giorni scorsi la Repubblica Popolare, che detiene il 60% delle riserve mondiali di metalli magnetici, aveva fatto sapere che avrebbe permesso le esportazioni di terre rare solo verso quei produttori che rispettassero il limite di emissioni inquinanti e che fossero in possesso della certificazione ISO 9000. Al summit, però, pare che il presidente della Commissione per le Riforme e lo Sviluppo nazionale cinese Zhang Ping abbia riaperto le esportazioni verso il Giappone, dopo un periodo di irrigidimento tra i due Paesi.
Tutto ciò non fa altro che confermare non solo che gli accordi presi all’incontro APEC sono di fondamentale importanza per l’economia mondiale, non fosse altro perché i soli partecipanti detengono il 40% del Pil mondiale, ma anche che la Cina è sempre più un Paese leader, capace di intimorire il resto del mondo e dettare le regole.

martedì 16 novembre 2010

L’importanza delle fiere emergenti

Le fiere internazionali rappresentano uno strumento efficace per la comunicazione commerciale, ma anche per gli incontri d’affari e la conoscenza del mercato. Anche nei Paesi emergenti le manifestazioni fieristiche si stanno facendo largo, con iniziative di grande importanza internazionale a cui è d’obbligo essere presenti.

Per alcuni settori, la possibilità di essere presenti ad una fiera internazionale è fondamentale per accedere al mercato. Oggi, non solo Europa e Stati Uniti, ma anche i Paesi dei Bric sono in grado di organizzare eventi ed esposizioni di grande livello.
In Cina le sedi fieristiche più rilevanti si concentrano nelle zone di Pechino, Shanghai, Canton, Shenzhen e naturalmente Hong Kong. Tra le manifestazioni di maggior interesse si trovano quelle del settore tessile: Intertextile, per i tessuti pregiati, che si snoda in più edizioni, tra Pechino, Shanghai e Guangzhou, oppure Chic, specializzata nel campo del lusso. Altro tema di forte richiamo è negli ultimi anni quello del settore enogastronomico, il quale ha visto crescere esponenzialmente in Cina numerose fiere dedicate: International Wine & Spirits Fair, Food & Hospitality China, Interwine and Interfood, solo per citarne alcune. Oltre a ciò, l’abbigliamento e le nuove tecnologie attirano numerosi espositori internazionali e, sebbene siano principalmente fiere per la promozione dei prodotti cinesi, non mancano gli eventi dedicati agli scambi commerciali, come l’Import & Export di Canton o la CIFIT di Xiamen.
Anche le fiere russe rappresentano un buon modo per farsi conoscere sul mercato dell’ex area sovietica: qui le manifestazioni più importanti, localizzate ancora prevalentemente a Mosca e San Pietroburgo, riguardano i macchinari, come la Zolotoi Ocien, la meccatronica e l’edilizia, di cui si ricordano Holzhaus, Mobibuild ed Expocem.
Fiorenti anche le manifestazioni dell’India, le cui fiere maggiori si svolgono a Mumbai, New Delhi e Bangalore. Anche qui l’edilizia e l’arredo sono i settori più coinvolti nelle esposizioni: Stona a Bangalore, per la lavorazione del marmo, Index a Mumbai per l’arredamento e Cityscape per gli investimenti immobiliari. Non mancano le iniziative dedicate all’energia, un tema sempre più caro alle economie emergenti: Entech ed Energy India trattano, infatti, le rinnovabili.
Infine il Brasile, dove primeggiano le fiere dedicate all’agroalimentare e ai macchinari. Nel primo caso, va citata Agrishow a Ribeirao Preto, grande esposizione per le macchine agricole, mentre per i macchinari si trovano: Feimafe, Brasilplast, M&T Expo, Fimai e Simai. In Brasile le manifestazioni principali si tengono nei centri maggiori, come San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte.

lunedì 15 novembre 2010

Qing gei wo ka fei

“Un caffè per favore”. Che siano managers, studenti, turisti non ce n’è: gli Italiani senza caffè non possono stare. Dall’aroma inconfondibile, possibilmente ristretto e rigorosamente senza zucchero, “da veri intenditori”, l’espresso è una delle tante eccellenze che caratterizzano l’Italian way of life.
Ma che ne dicono all’estero? E, nello specifico, che ne dice la Terra del tè? Stando a vedere i numeri della crescita del consumo (70% dal 2005 al 2007), sembrerebbe che anche la Cina stia iniziando ad apprezzarlo e sono sempre di più i giovani che, nelle grandi città, lo preferiscono alla limpida bevanda nazionale. Certo è che, da Italiana, non posso che commentare: c’è caffè e caffè. Come classificare Starbucks? Non lo classifichiamo proprio. Coffee, come Ice Cream e American Pizza.
La verità è che di quel 70% di crescita poco rimane alla tazzina tanto cara nel nostro immaginario. Il costo è alto, troppo, e i cinesi non si spiegano il perchè dover pagare così tanto per così poco. Manca la cultura e mancano i bar. Come fare dunque? Illy ha puntato su una strategia di lungo periodo portando a Shanghai l’Università del caffè, aprendo una serie di punti di distribuzione (la catena Espressamente), e, nel frattempo, coltivando rapporti con alberghi e ristoranti per assicurarsi il ruolo di “top supplier” . I risultati per ora sono contrastanti, si soffre la mancanza di forti catene alberghiere italiane e soprattutto si soffre quell’italianità che propone una chiacchierata al bar davanti a un caffettino che finisce in fretta, ma dà sapore alla conversazione e accompagna la giornata.

A cura di Marta Caccamo

Segnali di instabilità dall’economia cinese

Dopo le critiche al vertice di Seul per gli squilibri della bilancia commerciale ora la Cina deve affrontare un’inflazione allarmante, la più alta degli ultimi due anni.

Proprio la settimana scorsa l’agenzia Moody’s aveva alzato il rating per la Cina da A1 ad Aa3, mossa giustificata dalla stabilità economica dimostrata negli ultimi tempi da Pechino. La Repubblica Popolare, infatti, registra ancora una buona crescita: nei dati anno su anno l’export è salito del 23%, la produzione industriale è aumentata del 13,1% e anche gli investimenti in infrastrutture sono cresciuti del 24,4%. Tuttavia, ora iniziano a farsi sentire numerosi campanelli d’allarme.
Innanzitutto, il record del saldo commerciale, arrivato alla cifra incredibile di 27 miliardi di dollari, ha sollevato non poche critiche, a causa del forte squilibrio di alcune bilance commerciali, al vertice del G20 di Seul, conclusosi il 12 novembre scorso. La Cina vi era già arrivata sotto pressione a causa delle misure attuate dalla Federal Reserve riguardanti il freno all’eccessiva liquidità di alcuni Paesi e i controlli sui rimpatri di capitali delle società finanziarie cinesi. La proposta americana di fissare ad un tetto massimo del 4% il Pil è comunque stata bocciata e si rimanda la questione al 2011.
Ora arriva, però, l’allarme inflazione. Il tasso, infatti, è salito da ottobre al 4,4%, contro il 3% fissato dal governo, dopo che i prezzi di beni alimentari, prodotti agricoli e materie prime hanno iniziato ad accelerare. Ciò sta già avendo i primi effetti: la borsa di Shanghai è scesa del 5% la settimana scorsa, trascinando anche i principali listini internazionali. La Banca centrale ha reagito aumentando di 50 punti la riserva obbligatoria e i tassi di interesse dello 0,25%. Anche i prestiti, inoltre, sono cresciuti oltre le aspettative e rimane alta la tensione per probabili bolle speculative.

venerdì 12 novembre 2010

La Cina all’avanguardia per le energie pulite

La Cina è il Paese con la più alta domanda di energia al mondo e, secondo le stime, entro il 2035 verrà triplicata. Il bisogno crescente e la lotta all’inquinamento avviata negli ultimi mesi stanno favorendo programmi e progetti per lo sviluppo delle energie pulite, quali la distribuzione del gas naturale e il mercato di carbonio.
L’emergenza energetica è uno dei temi principali della Repubblica Popolare Cinese: secondo le stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, infatti, la Cina avrà sempre più bisogno di nuovi fonti per soddisfare il fabbisogno crescente della popolazione e dipenderà sempre più dalle importazioni di combustibili fossili, quali: petrolio, carbone e gas. Tuttavia, la richiesta di petrolio si dovrà confrontare con l’imminente riduzione delle risorse e con una domanda mondiale che aumenterà del 18% entro il 2035, metà della quale proverrà dalla Cina. Ciò contribuirà alla crescita dei prezzi del greggio, che potrebbe raggiungere già nel 2015 i 100 dollari a barile.
In aggiunta a ciò, petrolio e carbone comportano anche gravi problemi di inquinamento ambientale.
Per far fronte a queste difficoltà, la Repubblica Popolare sta promuovendo lo sviluppo delle energie pulite, il cui futuro è molto promettente. Pechino è decisa, quindi, a spostare la propria domanda sul gas a scapito di greggio e carbone, ponendosi come obiettivo quello di aumentare il consumo di gas naturale dal 4 al 10%. Il gas non solo è vantaggioso dal punto di vista ecologico ma può contare su enormi volumi dell’offerta, che lasciano i prezzi ancora bassi. L’Asian Development Bank ha messo a disposizione di Pechino, proprio in questi giorni, 200 milioni di dollari per gli investimenti in energie verdi e la distribuzione di gas naturale. Ciò permetterà, quindi, di coprire il fabbisogno dei centri minori nella parte occidentale del Paese.
Ulteriore iniziativa in ambito ambientale è quella della probabile dotazione della Cina di un proprio mercato di emissioni di carbonio entro il 2013. Il Paese asiatico, che è il maggiore produttore di CO2, si doterebbe così di un sistema che permetterebbe la riduzione delle emissioni guadagnando crediti da rivendere. In Europa questo mercato di “Cap and Trade” è già in funzione ed ha contribuito a tagli di CO2 importanti.
Ancora una volta, quindi, si ribadisce che il futuro dell’energia sarà nelle fonti pulite e rinnovabili, di cui si stima una crescita tra il 7 ed il 14% nei prossimi venticinque anni.

giovedì 11 novembre 2010

A Pechino nasce il Centro per le Pmi europee

Dal 2011 le piccole e medie imprese europee che commerciano con la Cina potranno contare su di un nuovo strumento: un Centro finanziato dalla Commissione europea per il sostegno delle attività internazionali nel paese asiatico.

Il nuovo centro per le Pmi europee di Pechino, recentemente inaugurato dal vicepresidente della Commissione europea e responsabile per imprese e industria Antonio Tajani, inizierà la propria attività il prossimo gennaio. Sarà gestito da un consorzio delle camere di commercio europee, tra cui anche Unioncamere e le camere del Benelux, Francia, Germania e Spagna. L’iniziativa rientra nel progetto di “Small Business Act” dell’Unione Europea che ha lo scopo di sostenere le imprese più piccole che internazionalizzano, oggi in continuo aumento. Solo le Pmi europee che esportano, infatti, sono oggi il 25% del totale.
Le attività del Centro saranno molteplici. Innanzitutto, esso fornirà informazioni tecniche per operare in Cina, quali: procedure burocratiche, tipologie di contratti e strutture societarie ammesse, certificazione necessarie. L’ente darà anche consigli pratici, che si concretizzeranno nella pubblicazione di un dossier sulle strategie di internazionalizzazione nel corso del 2011, e sosterrà le imprese nella risoluzione di eventuali problemi che sorgeranno nell’approccio al mercato. L’obiettivo ultimo è la cooperazione tra Europa e Cina che sarà incentivata dalla collaborazione del Centro con altri enti di supporto, come la rete “European Enterprise Network” (EEN), che offre già alle imprese cinesi aiuto per lo sviluppo tecnologico e fornisce loro contatti con le organizzazioni europee.

mercoledì 10 novembre 2010

Difficoltà nel settore tessile: i prezzi del cotone salgono

Le imprese italiane ed europee iniziano a risentire della dipendenza dall’Asia e vedono crescere ed oscillare i prezzi delle principali materie prime. Il mercato del cotone negli ultimi 12 mesi soffre prezzi alti e speculazioni e anche in Cina si avverte la crisi del settore.

I prezzi del cotone sono passati nell’ultimo anno da 60 centesimi di dollaro a libbra ad oltre 140 centesimi, con conseguenze negative sull’intero settore tessile italiano. I prezzi, infatti, hanno stabilito ogni record anche in Cina, grande esportatore mondiale della fibra. Le cause sono da ricercarsi nell’aumento della domanda interna al Paese asiatico e al contemporaneo calo della produzione, pari al 5%. Proprio a causa dello scarso raccolto il governo Usa prevede che la Cina sarà dovrà importare 13 milioni di balle di cotone nella stagione attuale. Inoltre, le scorte cinesi si ridurranno ulteriormente alla fine del 2010-11, arrivando a 13,2 milioni di balle.
La Repubblica Popolare, tuttavia, individua come responsabile il fenomeno della speculazione a cui ha dichiarato guerra nei giorni scorsi.
L’aumento dei prezzi rappresenta un’ulteriore minaccia, in quanto trascina i costi anche di altre fibre e della manodopera riducendo i vantaggi di costo di Paesi come la Cina. Numerosi importatori occidentali, infatti, sostengono che oggigiorno importare dal Dragone non garantisce più costi minori e a ciò si aggiungono anche forti ritardi nelle consegne.

martedì 9 novembre 2010

Un problema di taglia…o una questione di stile?

La piccola Italia ancora una volta ci fa riflettere. Sin da bambini noi Italiani riceviamo un’educazione al gusto, al bello, all’appropriato, che ci permette di distinguerci ovunque nel mondo. L’Italia e’ l’unico paese dove l’attenzione al dettaglio e’ tale da fare della scelta del colore dei calzini un punto di partenza per la valutazione dello stato sociale di chi li indossa (bianco lavora in banca, nero solo di sera…). Questo implica una spasmodica ricerca dell’abbinamento migliore e di un’eleganza costruita per se’ da se’, che viene riflessa dalla struttura distributiva dell’industria del fashion. E’ ancora preponderante la presenza di canali di vendita indiretti e distribuzione organizzata (DO), dovuta anche alle dimensioni delle aziende che non hanno campionari tali da giustificare l’apertura di un monomarca.
In Cina la situazione e’ diametralmente opposta. Flagship stores, modalita’ shop in shop e franchising la fanno da padrone, con un netto vantaggio dell’approccio “total look” (che pone in evidenza il brand) sul “mix and match” (che mette in luce la scelta personale). Le PMI di casa nostra si trovano inequivocabilmente di fronte a un “tappo di bottiglia”; le previsioni indicano un’evoluzione dei consumi che avvicinera’ i consumatori cinesi alla passione tutta italiana per il “combinato-scombinato”, ma come evolvera’ la distribuzione? E soprattutto, ci sara’ ancora spazio per chi ha aspettato?

A cura di Marta Caccamo

Se Maometto non va alla montagna…

Perche’ un’azienda italiana, una PMI mettiamo caso, dovrebbe internazionalizzare in Cina? Le ragioni sono moltissime, piu’ o meno legittime, e vanno dalla classica “per non perdere il treno”(che nel caso dell’Italia in Cina e’ ormai passato da un paio di decenni) all’azzardata strategia dell’“ultima spiaggia”. Per quanto mi riguarda penso che il motivo principale per cui non ci si puo’ permettere di ignorare la Cina sia che se non iniziamo a imparare a competere con i Cinesi nella loro Terra, dovremo imparare a farlo a casa nostra, come gia’ sta succedendo in alcuni settori, tessile per citarne uno.
Ora viene il dunque, pero’, come assistere piccole imprese di fronte a un immenso mercato? Come aiutarle a raggiungere la tanto sospirata massa critica? Il bisogno di istituzioni stabili e che siano in grado di coordinare l’azione e “fare Sistema” e’ enorme, ma di contro il panorama italiano in Cina si presenta frammentato con piu’ di 40 tra sportelli regionali, Camere di Commercio e ICE, a replicare una governance multi-livello che spesso implica inefficienze e costi inutili.
Finche’ non esistera’ un network di Paese, una volonta’ di crescere insieme pur rimanendo fedeli in principio all’italianissimo adagio “piccolo e’ bello”, finche’ non ci sara’ un allineamento di voci e una struttura concreta, le cose non cambieranno per le nostre PMI e chi vorra’ provare a farcela dovra’ farlo da solo, accettando di crescere e cambiare. Quello che preoccupa, tuttavia, e’ il destino di chi non ha risorse sufficienti per farlo, in qual caso si prospettano anni di grandi sforzi per sopravvivere all’avanzata rossa.

A cura di Marta Caccamo

lunedì 8 novembre 2010

I gelati di Mimmo

“Mimmo dobbiamo dirti una cosa. I gelati al pisello : a lei non piacciono”. Ed e’ cosi’, diplomaticamente, che i miei amici hanno spento definitivamente l’entusiasmo negli occhi dell’amico cinese “Mimmo” che puntualmente alle 11 di mattina amava farci gentil omaggio.
Contrariamente a quanto si possa pensare, l’industria del gelato confezionato in Cina e’ in rapida ascesa con tassi di crescita nell’ordine della doppia cifra e caratteristiche tutte proprie. Si’ perche’, stando ai sondaggi, il gusto d’oriente non si piega poi troppo agli standard occidentali in fatto di dolci; e se sul cioccolato troviamo un compromesso, a condurre la classifica dei “best ones” ci sono i locali red-bean, sesamo, soia nera e pisello.
Ma cosa dire dell’ “Italian Gelato” (e non semplicemente “ice cream”)? Il potenziale e’, senza ombra di dubbio enorme, data la natura del prodotto che si presta agli adattamenti e alla creativita’ del gelatiere, nonche’ a essere mangiato in qualsiasi momento del giorno senza appesantire, in linea col concetto cinese per cui il cibo accompagna la giornata anziche’ scandirne i tempi. Purtroppo tuttavia, anche in questo caso come in molti altri etichettati made in Italy, la comunicazione al mercato e i profitti dalla vendita di gelato sfuso stanno andando a players stranieri quali Haagen Dazs o Iceseason, aggiudicatisi il primato nell’associazione brand-prodotto nella mente del consumatore. Fortuna vuole che spazio per noi italiani esista ancora; una nicchia che in pochi sembrano voler sfruttare concentrandosi piu’ sui margini che sul volume delle vendite e la qualita’ degli ingredienti. Anziche’ prezzi da capogiro ed enormi gelaterie-ristoranti, l’arma vincente in Cina sarebbe quella di riproporre il modello tradizionale “al bancone” e stimolare i nostri gelatieri a cercar ispirazione e creativita’ nella Terra del Dragone con sperimentazioni locali accanto ai classici in base alla reperibilita’, ma sempre con macchinari ed expertise italianissimo.

A cura di Marta Caccamo

Vertice G20 a Seul: la Cina al centro dei dibattiti

Al vertice del G20 di Seul si parlerà ancora molto di Cina: da un lato è accusata, assieme alla Germania, di avere una crescita del Pil eccessiva, dall’altro invece si preannuncia il suo rafforzamento di potere all’interno del Fmi.

Si avvierà già con una serie di polemiche l’imminente vertice G20, che si terrà l’11 e il 12 novembre a Seul. Prima fra tutte quella relativa alla proposta di Washington di fissare ad un massimo del 4% del PIL la crescita dei Paesi. Ciò ha scatenato le polemiche di Cina e Germania, entrambe con un avanzo superiore al 4%, che assieme ai Paesi dell’area asiatica hanno un tasso di risparmio così elevato che causerebbe la riduzione della domanda globale. La Cina, in particolare, ha un basso indice di consumi provocato da sistemi sanitari, finanziari e lavorativi assenti o inefficienti. La Repubblica Popolare, comunque, ha già fatto sapere che ritiene la proposta americana una «dichiarazione di ostilità» e che al momento non ha intenzione di apprezzare lo yuan nei confronti del dollaro USA.
Al di là delle polemiche si discuterà anche della riforma prevista all’interno del Fmi, che prevede l’aumento del potere di voto alle economie emergenti quali Cina, India e Brasile, portandolo al 6%. Tutto questo con una conseguente riduzione del peso delle economie industriali: il board del Fmi avrebbe 24 seggi, di cui nove per l’Europa, che ne perderebbe così due. La Cina diventerebbe il terzo Paese più importante all’interno dell’istituto, subito dopo Stati Uniti e Giappone. La decisione è per questo stata definita «storica», in quanto per la prima volta dopo 65 anni si assiste ad un cambiamento così importante della governance. Viene finalmente riconosciuta l’influenza mondiale dei Paesi in via di sviluppo, in termini economici e politici (basti pensare che Hu Jintao è ora l’uomo più potente del mondo secondo Forbes), i quali ora avranno qualche voce in capitolo in più. L’economia mondiale si prepara, quindi, a nuovi equilibri, che avranno importanti implicazioni anche in ambito imprenditoriale.

venerdì 5 novembre 2010

Le imprese cinesi sono poco innovative

Gli investimenti cinesi in scienza e tecnologia sono stati scarsi negli ultimi due anni, con il risultato che le imprese hanno poca capacità innovativa. Ciò può rappresentare un’opportunità per le imprese italiane innovative interessate alla Cina.

Durante la 12ma Conferenza dell’Associazione della Scienza e Tecnologia di Fuzhou, tenutosi il 1°novembre scorso, il ministro della Scienza e Tecnologia cinese, Wan Gang, ha dichiarato che le imprese cinesi hanno ancora scarsa capacità innovativa. Nonostante nel 2009 gli investimenti in questi ambiti da parte delle finanze centrali cinesi siano stati pari a 15 miliardi di yuan, mentre quelli totali in ricerca e sviluppo tecnico-scientifico siano ammontati a 58 miliardi di yuan, la competitività dal punto di vista dell’innovazione non è ancora sufficiente.
La criticità delle imprese cinesi può essere un vantaggio però per gli operatori esteri, in quanto la necessità di innovare e di disporre di conoscenze e know-how di alto livello potrebbe favorire la stipulazione di forme di collaborazione internazionale, quali sono: accordi interaziendali, licenze, e joint venture. Quest’ultima possibilità è una delle modalità di ingresso più utilizzata dalle aziende straniere in Cina, sostenuta peraltro da numerose leggi del Paese e dall’impulso dato dall’ingresso della Cina nella WTO nel 2001. Tramite le joint venture, i soci stranieri solitamente apportano capitale ma anche tecnologia, innovazione e know-how, beneficiando di un partner cinese ben consolidato sul mercato e con una conoscenza diretta della domanda, dei canali distributivi e delle strategie di marketing più adatte.
Relativamente all’innovazione, un importante incontro per le imprese italiane interessate alla Cina si terrà il prossimo 8 novembre presso l'Auditorium della Tecnica di Confindustria. Si tratta del “Forum dell’innovazione Italia-Cina”, uno degli incontri organizzati per l’Anno Culturale Cinese in Italia, a cui presenzierà proprio il ministro Wan Gang assieme alle istituzioni italiane. Tra i temi che verranno trattati si segnalano: efficienza energetica e fonti alternative; scienze della vita; design; e-government.

giovedì 4 novembre 2010

Perché puntare sulla Cina?

Gli interventi di Napolitano e le recenti indagini della Banca Mondiale confermano che la Cina rappresenterà il futuro per molte imprese internazionali, italiane comprese.

I rapporti tra Italia e Cina sono molto stati positivi negli ultimi mesi e l’incoraggiamento a investire nel Paese asiatico è forte. Il primo fattore di spinta è dato dal successo delle esportazioni italiane: secondo il direttore dell’ICE di Pechino, Antonio Laspina, i prodotti italiani nella Repubblica Popolare Cinese non hanno risentito della crisi perché si collocano nella fascia medio-alta del mercato, rappresentata da 300 milioni di consumatori; nel primo quadrimestre del 2010 l’interscambio tra i due Paesi è salito del 34%. I settori coinvolti in questo processo di crescita sono ancora una volta quelli del tradizionale Made in Italy: macchinari, semilavorati, robotica, beni di lusso, abbigliamento, design, alimentari.
Ulteriore considerazione deriva dalle stima sull’economia: la Banca Mondiale ha corretto le previsioni di crescita della Cina per il 2010, alzando il tasso dal 9,5% al 10%, segno che la crescita è ancora in forte espansione.
Altro stimolo, anche se di connotazione negativa, è dato dal recente rapporto Doing Business della Banca Mondiale, in cui l’Italia sembra messa peggio della Cina, collocandosi al 78esimo posto in classifica (su 183 Paesi) per l’elevata complessità, in termini burocratici e di tempi, nell’avviare e gestire un’attività economica. In Italia sono necessarie, in media, 285 ore l’anno per adempiere a tutti gli obblighi connessi all’attività.
Tuttavia, non vanno dimenticati i disagi della Cina, un Paese dalle mille contraddizioni. La stessa Banca Mondiale sottolinea le difficoltà legate al settore immobiliare e ai rischi del credito. Si aggiunge, inoltre, la direzione intrapresa dalla Repubblica Popolare durante l’ultimo plenum del PCC, ovvero il rafforzamento del mercato interno, che potrà danneggiare le esportazioni estere e le delocalizzazioni straniere.
E’ da segnalare, poi, che il cambiamento relativo alla manodopera a basso costo sembra stia dando qualche prima avvisaglia: negli ultimi due anni, infatti, sono aumentate del 95% le denunce ai tribunali cinesi da parte di lavoratori sottopagati. Il che costringerà le aziende, a beneficio dei lavoratori cinesi, a rivedere le strategie di costo. Difficile credere, comunque, che un veloce cambiamento si possa avere anche per ciò che riguarda le condizioni in cui vivono gli operai delle fabbriche. E’ appena stato pubblicato, infatti, un reportage di Gizmondo USA e Wired USA in uno dei dormitori della Foxconn, a Shenzen, il quale documenta una realtà ancora poco umana.

mercoledì 3 novembre 2010

In Cina è iniziato il censimento della popolazione più grande della storia

Fino al prossimo 10 novembre i funzionari della Repubblica Popolare Cinese raccoglieranno i dati della popolazione che verranno messi a disposizione dell'Ufficio Nazionale per le Statistiche per avere un nuovo quadro del Paese.

Nell'aprile 2011 il mondo conoscerà la nuova realtà cinese. E' partito, infatti, quello che è considerato il censimento più grande della storia: nei prossimi dieci giorni la popolazione della Cina di 31 province, 330 città, 2.800 contee, 4.000 township e 680.000 villaggi verrà conteggiata per la sesta volta nella storia del Paese. L'ultimo censimento risale al 2000, quando il numero di cinesi risultò risalire a un miliardo e 295 mila persone.
Tuttavia, quest'anno il conteggio utilizzerà un metodo differente: i cittadini verranno registrati in base al luogo in cui vivono realmente, senza tenere in considerazione il certificato di residenza. Ciò significa che gli immigrati interni saranno considerati residenti urbani. L'obiettivo del censimento è quello di conoscere il reale ammontare della popolazione cinese e comprendere la situazione delle migrazioni tra campagna e città, che riguarderebbe 211 milioni di persone. Secondo i calcoli degli esperti, oggi il 45% dei cinesi vive nelle metropoli. Inoltre, si vuole indagare qual è la percentuale di anziani e di giovani, in modo da regolare le politiche sociali del Paese.
Saranno molte le difficoltà che i funzionari incontreranno durante la loro "missione": gli immigrati privi di residenza, le famiglie che hanno violato la legge del figlio unico e i proprietari delle case disabitate potrebbero non collaborare in modo adeguato. La campagna pubblicitaria a favore del censimento è stata ingente in questi ultimi giorni e si sono anche alleggerite le sanzioni previste per chi dichiarasse di aver infranto le leggi.
I dati statistici che verranno ottenuti saranno naturalmente di fondamentale importanza anche in campo economico. Gli operatori internazionali, infatti, avranno bisogni di informazioni riguardanti l'entità della popolazione, l'età media ed i fenomeni sociali per comprendere meglio le potenzialità del mercato cinese, le necessità e le tendenze dei consumatori.

martedì 2 novembre 2010

Shanghai: si è conclusa l’Expo dei record

Domenica 31 ottobre si è conclusa l’Esposizione Universale di Shanghai, dopo 184 giorni di manifestazione.

L’Expo di Shanghai è stato un evento che ha battuto ogni record, in primis quello dell’afflusso di visitatori: ne erano attesi 70 milioni e se ne sono registrati 73,08. Il picco più alto è stato comunque nell’ultimo mese, con 1,032 milioni di ingressi il giorno 16 ottobre. Comunque sia, il 97% dei visitatori è stato di nazionalità cinese, il che ridimensiona il carattere internazionale dell’esposizione su cui le autorità cinesi hanno insistito anche in occasione della sontuosa cerimonia di chiusura.
Su di un’area di 5,28 chilometri quadrati sono stati ospitati 190 Paesi e 50 organizzazioni internazionali in un centinaio di padiglioni e sono stati organizzati 20.000 eventi culturali. Non solo: si stima che l’Expo avrà comunque ripercussioni positive sull’economia cinese per i prossimi 3-5 anni e che il ritorno economico totale potrà aggirarsi intorno ai 12 milioni di dollari. La città di Shanghai intanto ne ha beneficiato in infrastrutture e sviluppo notevoli.
I numeri relativi ai costi sostenuti sono un po’ meno precisi a causa della stampa cinese poco favorevole a fornire dati di questo tipo; si calcola, comunque, che la città di Shanghai abbia investito 45 miliardi di dollari per l’organizzazione.
Il padiglione italiano è stato sicuramente uno dei più ammirati dell’Expo, con 7 milioni di visitatori; ha ospitato 150 eventi di business, 58 eventi culturali per 45 mila persone ed ha coinvolto oltre 1.500 aziende e associazioni di categoria. Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la sua visita all’Esposizione Universale, il padiglione tricolore ha avuto un ruolo fondamentale nella promozione della qualità italiana in Cina, rafforzando i rapporti tra i due Paesi. Eppure, nonostante i numerosi apprezzamenti e nonostante la Cina abbia chiesto all’Italia di lasciare in eredità gli allestimenti per il Museo dell’Expo, non è stato conferito al nostro Paese nessuno dei 9 premi assegnati ai migliori padiglioni. La sfida italiana, tra l’altro, inizia soltanto ora: con la chiusura di Shanghai si passa il testimone a Milano per l’Expo 2015. Le aspettative sono inferiori rispetto all’evento cinese, ma si vuole puntare soprattutto sulla qualità della manifestazione.
Comunque vada, resta il fatto che quella di Shanghai è stata la prima Esposizione Universale in un mercato in via di sviluppo ed i risultati, almeno nei numeri, sono stati eccellenti.

venerdì 29 ottobre 2010

Le opportunità del settore farmaceutico cinese

Il mercato farmaceutico cinese è uno dei più ambiti dalle aziende internazionali del settore: si confermano molto alte le prospettive di crescita anche nelle attività di packaging.

Anche le aziende farmaceutiche internazionali hanno risentito della crisi e per questo hanno adottato misure per contenere i costi: utilizzare sempre più risorse interne, snellendo la struttura, e delocalizzare la fase di ricerca e sviluppo all’estero. Quest’ultima attività predilige i mercati emergenti, primo tra tutti il mercato cinese. Nel Paese asiatico, infatti, sono già presenti le prime dieci aziende farmaceutiche globali, le quali hanno avviato nella Repubblica Popolare attività di R&S, produzione, outsourcing e marketing. L’attrattività della Cina in questo settore è confermata dalla notizia di questi giorni che riporta la decisione di Sanofi Aventis, multinazionale francese, di acquisire BMP Sunstone Corporation, società farmaceutica cinese.
Nel settore farmaceutico cinese riveste una grande importanza il packaging. Sebbene gli Stati Uniti in questo ambito siano ancora leader con una quota globale del 28%, si prevede che la Cina possa raggiungere entro il 2013 i 62,3 miliardi di dollari con un tasso di crescita annuale dell’11,5%. Tra i fattori che favoriscono la crescita, non solo nel Paese del Dragone ma in tutti i mercati emergenti, vi è il basso costo dei farmaci generici, oltre alla possibilità di ottenere un valore aggiunto nei sistemi di imballaggio, trasporto e consegna dei farmaci.
Nonostante le rosee prospettive, le aziende farmaceutiche che si affacciano in questi Paesi, devono ancora porre molta attenzione al problema della contraffazione. Inoltre, si dovrà cercare di puntare sulle produzioni verdi, nell’impegno mondiale per il rispetto ambientale.

giovedì 28 ottobre 2010

Le nuove misure nel real estate

Le autorità di Pechino introducono nuovi provvedimenti per frenare i prezzi del settore immobiliare: a dicembre verrà approvata una nuova tassa sulle proprietà.

Nonostante dall’agosto scorso la situazione del mercato immobiliare cinese si sia relativamente raffreddata, le autorità di Pechino continuano ad introdurre nuove misure per tenere sotto controllo l’innalzamento dei prezzi delle case. Numerosi sono stati i provvedimenti degli ultimi mesi: riduzioni degli agevolazioni sui mutui, con la sospensione degli stessi per l’acquisto della terza casa, l’aumento degli anticipi da versare all’acquisto al 30% del valore totale e il limite al numero di immobili acquistabili nelle città in cui o i prezzi sono ancora bassi o sono troppo levati. Ora si aggiunge una nuova legge che con tutta probabilità verrà approvata prima della fine di dicembre: la tassa sulle proprietà immobiliari. Questa potrebbe venire calcolata in base al prezzo di fattura del bene immobile oppure tenendo in considerazione le fluttuazioni di valore che la casa potrebbe subire nel tempo.
Le restrizioni nel settore immobiliare in Cina hanno per ora riguardano 13 province, in cui rientrano le grandi megalopoli dove numerosa è la presenza di operatori stranieri. In conseguenza a tali misure, si sta verificando un fenomeno in continua crescita: gli investitori cinesi cercano di aggirare gli ostacoli acquistando case all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, a Singapore e a Londra.
Tutto ciò potrebbe essere un forte deterrente anche per gli imprenditori stranieri che potrebbero quindi limitare gli acquisti immobiliari nel Paese asiatico.

mercoledì 27 ottobre 2010

Il Made in Italy che trionfa in Cina

I settori tipici del Made in Italy trionfano nel Paese asiatico, soprattutto per ciò che riguarda abbigliamento e alimentari.

Moda e cibo italiani crescono rapidamente nel mercato cinese, dove trovano un terreno molto fertile. Nel primo caso, i prodotti più gettonati sono scarpe, cappotti di pelle e borse. Le aziende del comparto sono localizzate principalmente nelle province di Zhejiang, Guangdong, Fujian, Hebei, Henan e Sichuan. Ma non è solo la pelletteria a dominare: anche il casualwear è particolarmente richiesto nella Repubblica Popolare Cinese. Un esempio illustre è quello della Paul&Shark, marchio di abbigliamento casual della provincia di Varese. Per l'impresa, infatti, la Cina è il primo mercato e vi è presente con 65 negozi, destinati ad aumentare nel prosimo futuro. Il Paese è infatti attraente per la grande dimensione e l'età media della popolazione, molto giovane rispetto ai mercati occidentali; inoltre, il marchio veste la classe dirigente della nazione, anch'essa in forte crescita.
Il progressivo cambiamento delle abitudini locali sta portando ad un mutamento anche del settore alimentare, che per ciò che riguarda la produzione e le importazioni si sta gradualmente globalizzando. Nonostante le numerose limitazioni all'import, i prodotti del Made in Italy sono in forte crescita nel Paese asiatico. Lo dimostra l'ultima analisi della Coldiretti, nella quale si riporta un dato estremamente positivo: dal 2000 al 2009 le esportazioni di pasta in Cina sono aumentate del 339%, superando i 3 milioni di chili all'anno. Rimangono, tuttavia, margini di crescita molto alti, in quanto la pasta, così come altri prodotti alimentari, è ancora molto presente soprattutto nei Paesi europei e negli Stati Uniti.

martedì 26 ottobre 2010

L’invasione della Cina

La Cina non è più solo un mercato oggetto di investimenti da parte delle imprese internazionali; il Paese, infatti, si impone sempre più come competitor e investitore globale.

Tecnologia e innovazione non sono caratteristiche esclusive del mondo occidentale: oggi la Cina ne ha fatto i suoi punti di forza per sviluppare il processo di modernizzazione del Paese. Il settore maggiormente coinvolto in questo percorso è quello dei trasporti: qui si stanno mettendo a punto progetti ambiziosi e di grande portata.
Nel campo aeronautico, entro il 2014 la Cina metterà in commercio un nuovo jumbo che è destinato a competere con i Boeing e Airbus grazie ai motori di nuova generazione di cui disporrà. Nel 2016 i velivoli potrebbero essere consegnati ai primi acquirenti, che si ipotizza saranno le compagnie nazionali, ma l’obiettivo è quello di penetrare il mercato internazionale. Sulla rete ferroviaria, invece, si sta pianificando la costruzione di un treno che viaggi a 500 chilometri orari. La Repubblica Popolare Cinese è già all’avanguardia nell’alta velocità ferroviaria con 7.055 km di rete che nel 2012 potrebbe arrivare a 13 mila km.
L”invasione” della Cina, tuttavia, non si limita a questo ma è visibile anche nel turismo, attività in aumento tra i cinesi, grazie anche alla graduale crescita dei redditi. Le ultime rilevazioni di Global Blue sugli acquisti tax free in Italia da parte di acquirenti extra –Ue nei primi nove mesi del 2010, vedono i consumatori cinesi al secondo posto subito dopo i russi. I compratori dalla Cina acquistano prevalentemente prodotti di lusso come articoli di gioielleria e dell’arte orafa italiana tra cui accessori e orologi. Non sarà un caso se le vendite del settore del lusso registrano un aumento del 22% in Asia e la Cina rappresenta il 6% del mercato totale, con vendite pari a 8,2 miliardi di euro. La maggior parte sceglie come meta Milano (dove le spese nelle gioiellerie arrivano a 6.500 euro) ma non vengono disdegnati gli outlet, in cui si è registrato un aumento del 65%.

lunedì 25 ottobre 2010

Un treno per lo……Shandong

“Shanghai-Taishan 12 hours overnight train standing tickets”: è così che hanno inizio le mie National holidays in quel dello Shandong. Riavutami dall’esperienza senza dubbio interessante, ma che non ripeterei (ho potuto constatare come i Cinesi mettano in pratica precisamente il concetto di capacità massima), parto alla scoperta del territorio.
Famosa per i monti sacri e la concessione tedesca di Qingdao che, oltre a un’impostazione occidentale, ha lasciato alla città il birrificio cinese più importante del Paese, la regione è stata a lungo protetta dagli investimenti esteri, accuratamente selezionati, perché ospita il comando militare di Jinan, considerato riserva strategica di prim’ordine. Ora le cose stanno cambiando, ed entro il 2020 si prospetta l’apertura di sei nuove zone industriali. Per il momento sono le imprese Sud Coreane e Giapponesi a dominare la scena, ma non c’è dubbio che spazio e interesse esistano verso tutti.
Sono molte le municipalità che offrono sgravi fiscali fino al 15 % e in più la Free trade zone di Qingdao facilita l’importazione di beni esteri favorendo in particolare logistica e hi-tech . Via da Shanghai s’era detto? Perché non partire da qui dunque.

A cura di Marta Caccamo

La Cina come risposta alla crisi economica

La crisi economica che ha colpito le PMI italiane ha contribuito all’incremento delle delocalizzazioni produttive, che sempre più spesso scelgono la Cina.

I conflitti valutari sul piano internazionale, in particolare tra USA e Cina, hanno importanti effetti anche sul tessuto imprenditoriale italiano. Le svalutazioni di yuan e dollaro, infatti, contribuiscono a rafforzare l’euro, con la conseguenza che le esportazioni italiane vengono penalizzate, soprattutto nei settori della meccanica, tessile, calzature, alimentare e arredo, mentre sono avvantaggiate le importazioni di materie prime, energia e semilavorati. Per contrastare la crisi dell’export, quindi, molte imprese scelgono di internazionalizzare le produzioni o di affidarsi ai consorzi per le esportazioni. Nel primo caso, si tratta di una scelta strategica per potersi ricavare un ruolo di rilievo nel Paese sede della delocalizzazione. Tra i mercati più interessanti vi è ancora una volta la Cina, dove, secondo quanto dichiarato dal direttore dell’ufficio ICE di Pechino, Antonio Laspina, «se in passato si sbarcava alla ricerca di fattori produttivi convenienti, oggi si produce qui per rivolgersi al mercato cinese».
D'altronde, l’interesse per la Repubblica Popolare Cinese da parte dell’Italia è in continua crescita, così come dichiarato anche dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita fino al 30 ottobre proprio nel Paese asiatico, dove si recherà a Pechino, Shanghai, Macao e Hong Kong. In un’intervista rilasciata al magazine “Globe”, giornale di promozione del Made in Italy in Cina, Napolitano ha detto:« Roma e Pechino oggi possono vantare un maturo dialogo politico, un intenso scambio economico e commerciale, una crescente collaborazione in campo culturale, un'interazione sempre più ricca nei settori della scienza e della tecnologia e un confronto aperto e costruttivo sui temi di maggiore respiro globale, come quelli della pace, della stabilità e sicurezza internazionale, del riconoscimento universale dei diritti umani».

venerdì 22 ottobre 2010

Cooperazione tra Italia e Cina

La tecnologia italiana sarà utilizzata in Cina in un progetto di cooperazione tra i due Paesi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti tossici.

Nell’ambito della Cooperazione tra Italia e Cina è stato varato un progetto dal valore di 70 milioni di euro per la salvaguardia dell’ambiente nel Paese asiatico. La tecnologia italiana sarà utilizzata per ora nella provincia di Hubei, dove è fiorente l’industria del piombo, la cui produzione sta mettendo a rischio l’ecosistema e la salute degli abitanti. Al momento, l’azienda italiana Engitec Technologies S.p.a. ha firmato un contratto per lo smaltimento di batterie per autotrazione esauste, progetto da 17 milioni di euro, 6 dei quali forniti dall’Italia.
L’iniziativa rientra nell’obiettivo di sviluppo sostenibile varato nel nuovo piano quinquennale del PCC e prevede la creazione di un sistema di smaltimento nazionale sul modello di quello italiano. Nel futuro, quindi, ci sarà spazio per nuove iniziative nel settore che potranno coinvolgere altre imprese italiane impegnate in progetti simili, come trattamento dell’acqua, tecnologie di energie dai rifiuti, settore dei rifiuti solidi.

giovedì 21 ottobre 2010

Preoccupazioni dalla Cina per i rifornimenti di terre rare

Il Paese asiatico è al centro delle polemiche per aver dichiarato nei giorni scorsi di voler ridurre le esportazioni di terre rare. Nonostante la smentita ufficiale, si sono avviate delle indagini per violazione delle regole del WTO.
Sono confuse le voci riguardanti le decisioni di Pechino in merito alle terre rare. Martedì scorso, infatti, il China Daily e il Wall Streer Journal avevano riportato la notizia riguardante la possibilità di riduzione fino al 30% nel 2011 delle esportazioni dei mineali verso Stati Uniti ed Europa. Ciò aveva particolarmente allarmato le aziende occidentali, dato che per terre rare si indicano 17 metalli dalle caratteristiche magnetiche, indispensabili per le produzioni all’avanguardia come auto ibride, turbine eoliche, armamenti e high tech. La Cina è il primo fornitore mondiale di tali metalli e, infatti, detiene il 95% della produzione di beni ottenuti con questi materiali.
E’ arrivata, tuttavia, nelle ultime ore la smentita da parte delle autorità di Pechino, le quali rassicurano sul fatto che il Paese continuerà a rifornire le aziende internazionali. Nonostante ciò, la preoccupazione rimane: già nei primi sei mesi del 2010 la Cina ha ridotto del 72% le esportazioni, penalizzando soprattutto il Giappone, e i prezzi sono saliti con percentuali tra il 22% e il 720%. Inoltre, si stima che le riserve cinesi di terre rare potrebbero esaurirsi nel giro di 15-20 anni; basti pensare che nel 2009 i giacimenti sono arrivati a 27 milioni di tonnellate, quando solo nel 1996 ammontavano a 43 milioni.
Le mosse della Cina sono intanto sotto indagine per sospetto di violazione delle regole del WTO: si pensa, infatti, che un’eventuale riduzione o blocco delle esportazioni nel settore abbia come obiettivo lo spostamento delle multinazionali occidentali nelle aree cinesi dove abbondano le terre rare, con conseguente rischio di spionaggio industriale. Tutto questo si aggiunge all’altra inchiesta in corso, avviata dagli Stati Uniti nei giorni scorsi per verificare gli incentivi statali forniti da Pechino alle aziende esportatrici nel campo delle energie rinnovabili.