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lunedì 15 novembre 2010

Segnali di instabilità dall’economia cinese

Dopo le critiche al vertice di Seul per gli squilibri della bilancia commerciale ora la Cina deve affrontare un’inflazione allarmante, la più alta degli ultimi due anni.

Proprio la settimana scorsa l’agenzia Moody’s aveva alzato il rating per la Cina da A1 ad Aa3, mossa giustificata dalla stabilità economica dimostrata negli ultimi tempi da Pechino. La Repubblica Popolare, infatti, registra ancora una buona crescita: nei dati anno su anno l’export è salito del 23%, la produzione industriale è aumentata del 13,1% e anche gli investimenti in infrastrutture sono cresciuti del 24,4%. Tuttavia, ora iniziano a farsi sentire numerosi campanelli d’allarme.
Innanzitutto, il record del saldo commerciale, arrivato alla cifra incredibile di 27 miliardi di dollari, ha sollevato non poche critiche, a causa del forte squilibrio di alcune bilance commerciali, al vertice del G20 di Seul, conclusosi il 12 novembre scorso. La Cina vi era già arrivata sotto pressione a causa delle misure attuate dalla Federal Reserve riguardanti il freno all’eccessiva liquidità di alcuni Paesi e i controlli sui rimpatri di capitali delle società finanziarie cinesi. La proposta americana di fissare ad un tetto massimo del 4% il Pil è comunque stata bocciata e si rimanda la questione al 2011.
Ora arriva, però, l’allarme inflazione. Il tasso, infatti, è salito da ottobre al 4,4%, contro il 3% fissato dal governo, dopo che i prezzi di beni alimentari, prodotti agricoli e materie prime hanno iniziato ad accelerare. Ciò sta già avendo i primi effetti: la borsa di Shanghai è scesa del 5% la settimana scorsa, trascinando anche i principali listini internazionali. La Banca centrale ha reagito aumentando di 50 punti la riserva obbligatoria e i tassi di interesse dello 0,25%. Anche i prestiti, inoltre, sono cresciuti oltre le aspettative e rimane alta la tensione per probabili bolle speculative.

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