Le principali notizie e informazioni di natura economica, finanziaria, giuridica e politica relative alla Cina

martedì 30 novembre 2010

Ferrovie ad alta velocità: la Cina si collegherà all’Europa

In Cina si fanno avanti progetti rivoluzionari nel campo dei trasporti con l’idea di istituire un treno che vada da Pechino a Londra in due giorni, collegando così anche da un punto di vista geopolitico l’Asia con l’Europa.
Le ferrovie cinesi sono sempre più all’avanguardia; per i prossimi 5 anni il governo ha stanziato 100 milioni di dollari l’anno per l’alta velocità, che nel 2013 dovrebbe contare 13.000 chilometri e nel 2020 circa 16.000.
Il treno più veloce del mondo si trova in Cina e raggiunge la velocità di 394 chilometri all’ora percorrendo la tratta lunga 968 chilometri che va da Wuhan, nella parte centrale del Paese, a Guangzhou, nel sud-est. In fase di sperimentazione è, invece, un altro treno che ha percorso la tratta Hangzhou – Hongqiao alla velocità di oltre 416 chilometri orari.
Lo sviluppo del settore ha permesso al Dragone di esportare all’estero la propria tecnologia ferroviaria, non solo in Paesi come Kazakistan, Uzbekistan, Singapore e Turchia ma perfino in California per la linea Los Angeles – San Francisco che si completerà nel 2020.
Ora però i treni cinesi potrebbero arrivare molto lontano con il progetto in cantiere del collegamento Pechino – Londra, da realizzarsi nei prossimi 10 anni. Il piano prevede la creazione di una rete ferroviaria che unisca ben 17 Paesi con tre direttrici principali: una linea che andrà da Kunming (nello Yunnan, regione nel sud-ovest della Cina) a Singapore, una da Urumqi (capitale dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina) alla Germania per unirsi poi ai binari europei e raggiungere così Londra e la terza da Heilongjiang (provincia nel nord-est del Paese) all’Europa del sud-est, passando per la Russia. L’intera realizzazione costerà intorno ai 480 milioni di dollari e permetterà di collegare la Repubblica Popolare con i mercati europei e dell’Asia centrale. Ciò garantirà anche uno slancio al commercio tra il continente asiatico e quello europeo offrendo una valida alternativa all’aereo.

lunedì 29 novembre 2010

Il fabbisogno energetico della Cina crea difficoltà

La richiesta di energia in Cina raggiunge livelli record e le conseguenze dannose sono numerose: non solo inquinamento, ma anche forti rischi di black-out minacciano il Paese. Nucleare e rinnovabili saranno la risposta al problema.

Nella prima metà di novembre, in Cina, la produzione di energia è aumentata dell’8,9% ed il consumo energetico del 7% rispetto allo stesso periodo nel 2009. La domanda energetica del paese asiatico, quindi, continua a crescere in modo inarrestabile.
A fonte di ciò, diversi saranno i problemi che la Repubblica Popolare dovrà affrontare, tra cui la riduzione delle scorte di carbone, che provocherà disagi soprattutto nelle metropoli come Pechino, Tianjin e Chongquing. Tale scarsità di materia prima ha già provocato un aumento del prezzo del carbone che, assieme al freddo che incombe e alle politiche di risparmio energetico attuate, aumenta in questi mesi il rischio di black-out nel nord del Paese. Le politiche di risparmio energetico e di riduzione dell’inquinamento, infatti, sono recentemente state prese in quanto la Cina detiene il record mondiale di emissioni di gas ad effetto serra, con un aumento nell’ultimo anno dell’8%.
Diverse, infatti, sono le soluzioni che le autorità di Pechino stanno mettendo in atto per affrontare in modo efficace il problema energetico. Innanzitutto, la ricerca di altre risorse, scelta messa in pratica tramite la cooperazione con l’Africa per l’estrazione di minerali e gas naturale, e gli investimenti nel nucleare, la cui produzione dovrebbe aumentare del 5% l’elettricità entro il 2020.
In secondo luogo, si punta molto sulla green economy, settore per il quale tra il 2005 e il 2010 sono stati investiti più di 300 miliardi di dollari. Con l’obiettivo del risparmio energetico si sono garantiti ingenti investimenti alle aziende che sviluppano tecnologie per la conservazione energetica e che tutelano l’ambiente. Ciò ha permesso, ad esempio, di puntare, nel campo automobilistico, alla creazione dell’auto elettrica.
Anche nel nuovo piano di sviluppo quinquennale la green economy è uno dei temi principali: si prevedono appalti pubblici e privati da parte del Ministero dell’Industria e dell’Information Technology per attirare aziende straniere che sviluppino il settore. Finora, su 8000 appalti, 7000 sono stati vinti da imprese estere.

COLORI E MARKETING…Affidiamoci ai cinesi

Più passa il tempo, più mi accorgo che per quanto possa cercare di integrarmi e comprendere questo Paese ne sarò sempre “fuori”, fuori da un mondo che si nasconde dietro a un’infinita letteratura occidentale che, presuntuosa, si vanta di rivelare finalmente la “vera Cina”.
La mia amica May si sposerà in Primavera; la accompagno a fare spese e cogliamo l’occasione per visitare una decina di agenzie matrimoniali tra le migliaia che lo rendono uno dei business più consolidati e fruttuosi in Cina. Davanti a una vetrina mi permetto di suggerirle un bell’abito bianco, meno appariscente e più garbato in mezzo a un incubo di colori, fiori e merletti. Stupita lei mi guarda ed esclama : “Scherzi? Non posso sembrare un fantasma”. Sì perché qui bianco è morte, l’avevo dimenticato. Dopo il primo attimo di scoramento ripiego su un voluminoso modello rosso sgargiante che scatena l’entusiasmo della mia amica: vita e gioia, ora ci siamo.
Scagliato il sasso, tuttavia, ne approfitto per sondare le mie competenze in fatto di colori e cerco di ricordare la teoria dei cinque elementi e qualche lettura sul Feng Shui. Ricevo conferme: Verde e Blu sono vita e primavera; Nero l’inverno, ma anche un colore per giovani prestanti e vigorosi; Rosa l’amore; Viola il potere. Arrivo al Giallo pronta a parlare di nobiltà e delle antiche dinastie Tang e Song, conosco persino la leggenda del dragone giallo…”vero, sì, tutto vero, ma non per libri, cataloghi e film. Giallo è anche simbolo di qualcosa di proibito, quindi associato con la pornografia”. Non l’avevo mai sentito. Smetto di parlare e ancora una volta ascolto: gli studi hanno un’utilità limitata, prima di prendere ogni decisione in fatto di marketing in Cina, mai scordarsi il “check coi cinesi”.

venerdì 26 novembre 2010

Intesa commerciale tra Cina, Giappone e Corea del Sud

A Qingdao si è tenuto questa settimana il summit del OEAED per rafforzare la cooperazione e gli investimenti tra le tre potenze asiatiche.

L’Organizzazione per lo Sviluppo dell’Economia nell’Asia Orientale ha organizzato nei giorni scorsi il summit di Quingdao, nello Shangdong, al fine di stimolare le intese commerciali tra Cina, Giappone e Corea del Sud, anche in risposta ad una ASEAN sempre più indebolita dalle problematiche geopolitiche. La necessità di un’area di libero scambio nell’Asia Orientale ha portato, durante il convegno, alla stipulazione del Trattato di Cooperazione tra le tre economie e alla creazione di un fondo per gli investimenti.
Il Trattato firmato coinvolge 10 città tra le quali verrà creata una zona free trade: Qingdao, Tianjin, Dalian e Yantai in Cina, Kitakyushuu, Shimonoseki e Fukuoka in Giappone e Busan, Inchon e Ulsan nella Corea del Sud.
Il piano di investimenti, invece, prevede l’incentivo di IDE nell’area, in particolare nel settore del commercio, della logistica e dei servizi. Misure di sostegno sono state discusse anche per ciò che riguarda le energie rinnovabili, da implementare nei prossimi anni nell’area, e per lo sviluppo del turismo internazionale nella zona del Mar Giallo, con la creazione di un’area ad alta ricettività tra i tre Paesi.
Gli accordi presi dalle tre potenze economiche favoriscono la presenza straniera, non solo per gli investimenti che sono stati stanziati, ma anche perché la collaborazione interna alla regione facilita gli scambi delle aziende operanti nella zona, potendo così estendere il business ai Paesi confinanti, forti delle intese commerciali vigenti.

giovedì 25 novembre 2010

Missione italiana in Cina per il settore automotive

Dal 22 al 25 novembre è stata organizzata la visita follow-up della Missione di Sistema in Cina del giugno scorso dedicata alla Filiera Automotive.
Si conclude oggi la Missione del settore automotive italiano in Cina, organizzata da ICE e Confindustria con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero degli Affari Esteri, l’ANFIA e l’Unione Industriale di Torino. L’obiettivo della visita è quello favorire la creazione di partnership tra aziende italiane e promuovere insediamenti e investimenti in loco.
Il settore automobilistico cinese è in grande espansione, nonostante la crisi economica del 2009. La Cina è il più grande produttore mondiale di auto e la sua quota di immatricolazioni è attualmente pari a 62 milioni, che nel 2020 potrebbero superare i 200 milioni. Solo nei primi 7 mesi del 2010 le vendite sono cresciute del 43% con 10,26 milioni di vetture ed entro la fine dell’anno potrebbero superare i 15 milioni di veicoli. Il governo cinese, inoltre, sta puntando molto sulla riduzione dell’impatto ambientale delle automobili spingendo sulla produzione di vetture elettriche ed ibride. Entro il 2020 si è posto l’obiettivo di far circolare solo veicoli a basse emissioni. Per raggiungere questo scopo, 16 grandi aziende cinesi hanno stipulato un’alleanza per investire 14,7 miliardi di dollari per la realizzazione di auto elettriche.
La Missione in corso si snoda in due tappe: la prima a Canton (o Guangzhou), dove ha sede il maggior gruppo automobilistico cinese, il Guangzhou Automobile Industry Group (GAIG), e la seconda a Shanghai, dove si trovano la Shanghai Automotive Industry Corporation (SAIC) e altri leader del settore, tra cui la Magneti Marelli e il Gruppo Fiat. Durante le giornate sono stati organizzati seminari, incontri B2B dedicati alla componentistica, car design e macchine utensili nonché visite a stabilimenti, distretti industriali e centri di ricerca. Vi partecipano 66 rappresentanti italiani, di cui 33 aziende (12 delle quali già presenti in Cina) e 2 associazioni industriali.
Con questa iniziativa si completerà il quadro delle opportunità di sbocco per le PMI italiane in Cina, già delineato con la missione di giugno. Se la visita di questi giorni porterà buoni frutti, si apriranno nuove prospettive per le aziende che puntano su qualità, innovazione e rispetto per l’ambiente.

mercoledì 24 novembre 2010

Shenzhen si trasforma e ospita l'innovazione

Da 30 anni la Zona Economica Speciale di Shenzhen è il centro manifatturiero cinese per eccellenza, ma ora le autorità spingono affinchè diventi la sede di progetti innovativi ad alta densità di capitale.

Quando nel 1980 il capo del Partito Comunista, Deng Xiao Ping, decise di trasformare un piccolo paese di pescatori del Guandong in una Zona Economica Speciale, diede inizio al fenomeno di sviluppo più rappresentativo della Cina. Quell'ex villaggio si chiama Shenzhen ed è stato protagonista negli ultimi 30 anni di una crescita incredibile: attualmente rappresenta il 30% del reddito nazionale, con un PIL pari a quello di molti Paesi occidentali e conta 12 milioni di abitanti.
Shenzhen è diventato il centro dell'industria manifatturiera cinese ed è il simbolo del neocapitalismo della Repubblica Popolare. Grazie a bassi costi di produzione, incentivi statali, agevole accesso alle materie prime, sviluppo delle infrastrutture e strategica posizione geografica, ha attirato investimenti locali e stranieri che hanno contribuito a farne la sede della meccanica e dell'elettronica.
Oggi, però, si assiste ad un cambiamento importante: sulla scia di alcune aziende che da qui hanno sviluppato nuove tecnologie con successo, molte altre realtà caratterizzate da alta innovazione stanno conquistando il territorio. Energie rinnovabili, nanotecnologie e biomedicale rappresentano il futuro della Zona Economica Speciale. Le autorità incentivano queste attività e investono per offrire un centro ad elevata qualità logistica e di servizi. Inoltre, il governo spinge per tagliare la manodopera a basso costo e puntare, invece, su forza lavoro qualificata e per poter garantire produzioni efficienti ed una catena distributiva breve.
Lo sviluppo scientifico sarà, quindi, la nuova sfida di Shenzhen e molti sono i punti di forza che favoriranno questa direzione. La metropoli, infatti, può anche contare sul mondo giovanile, che qui è numeroso. L'età media degli abitanti è di 25 anni e gran parte della crescita della città è dovuta alla giovane imprenditoria cinese, che qui trova spazio e ascolto.
Per gli investitori occidentali, quindi, Shenzhen continuerà ad essere un polo di grande interesse dove saranno possibili i cambiamenti industriali richiesti oggi dal mercato mondiale, come basso inquinamento e alta tecnologia.

martedì 23 novembre 2010

Il piano di sviluppo cinese per il prossimo quinquennio

Nonostante i dettagli del piano di sviluppo per il 2011-2015 si sapranno solo il prossimo anno, sono già state annunciate le linee guida che caratterizzeranno la crescita della Cina.

In seguito al quinto Plenum del Partito Comunista Cinese tenutosi nell’ottobre scorso, è stata presentata la pianificazione per lo sviluppo della Cina, che partirà nel 2011 e proseguirà per i successivi cinque anni. Tra gli obiettivi delle autorità cinesi ci saranno dunque: minore crescita del Pil e riduzione dell’inflazione, riduzione del divario tra i redditi, investimenti per la sicurezza e gli alloggi sociali, investimenti nelle energie rinnovabili.
A questo proposito il 22 novembre scorso, il vice ministro del commercio cinse, Jiang Yaoping, ha dichiarato che il governo attuerà una serie di politiche economiche e piani per lo sviluppo dell’industria e dell’economia verde e che in questo settore si impegnerà per offrire un ambiente imparziale che garantirà gli investimenti delle imprese straniere, alle quali verrà riservato lo stesso trattamento per le imprese locali. Lo stesso Wen Jabao ha annunciato che il Paese si impegnerà a ridurre del 4% anno su anno il consumo di energia.
A ciò si aggiunge l’intenzione di ridurre le importazioni dall’estero intensificando la domanda interna. Ruolo importante per questo obiettivo lo giocherà la valuta cinese, che dovrà apprezzarsi gradualmente. Sembra, però, che le autorità cinesi utilizzeranno l’aumento rapido della moneta assieme all’innalzamento dei tassi di interesse per rallentare l’economia.
Importante punto del piano quinquennale riguarda, inoltre, lo sviluppo scientifico. Dal 2006 al 2010 gli investimenti in questo settore sono cresciuti annualmente del 20% ma che per i prossimi 5 anni si seguirà uno sviluppo basato sul sostegno all’innovazione, l’incoraggiamento della domanda e l’elaborazione di un piano globale. La Cina mira alla creazione di programmi scientifici e tecnologici specializzati in campo informatico, agricolo, logistico, energetico e all’implementazione delle nuove industrie, ammodernando quelle tradizionali.

lunedì 22 novembre 2010

Un 2011 all’insegna dei brand italiani del lusso

Per l’anno 2011 si conferma il successo del settore del lusso Made in Italy, soprattutto per il comparto della moda i cui marchi più noti attraggono sempre più investitori cinesi.

Il lusso italiano ha risentito parzialmente della crisi negli ultimi due anni e, anzi, sembra prevedere un 2011 molto positivo. La conferma, già avuta con l’elevato afflusso al padiglione italiano presso l’Expo di Shanghai, viene anche da una serie di incontri che si sono tenuti nell’ultimo mese in Cina a cui hanno partecipato importanti attori del settore e che preannunciano un’intensa programmazione nel prossimo anno.
Uno dei convegni più interessanti è stato il workshop, tenutosi a Shanghai all’inizio di novembre, dal titolo “Acquisizione di brand del lusso italiani da parte di investitori cinesi”, incontro che ha sottolineato la crescente tendenza da parte delle imprese cinesi di voler acquisire in licenza o tramite partecipazione societaria i marchi italiani del lusso per commercializzarli nella Repubblica Popolare. Ciò, peraltro, non nocerebbe alla qualità del Made in Italy, in quanto la produzione dei beni a maggior valore aggiunto rimarrebbe in Italia e l’ingresso sul mercato degli stessi verrebbe garantito dai partner locali e dalle reti distributive.
A beneficiare maggiormente dell’interesse cinese sarebbe il comparto della moda italiano, già consolidato nel Paese asiatico e che qualche settimana fa è stato protagonista del Fashion Summit di Shanghai a cui hanno partecipato noti stilisti italiani.
Tuttavia, le previsioni positive non si limitano alla moda, ma includono anche, sempre per gli imprenditori italiani, il settore del retail, del food e dello sport, per cui la Cina rappresenta una grande mercato di destinazione.

domenica 21 novembre 2010

Un mix di talenti

Test. Possono 4 studenti italiani e 4 cinesi lavorare spalla spalla a un progetto? No. Dobbiamo preoccuparci? Assolutamente. Come ci insegna lo sport nazionale, non esiste squadra fatta di campioni che possa far risultato senza esser prima di tutto Squadra, e così è nella vita. Se ricordarsene è fondamentale nel management di un qualsiasi gruppo, lo diventa ancor di più quando si aggiungono le differenze interculturali, e nel caso Italia-Cina la componente di rischio è alle stelle. Pensare che sia possibile ovviare ai problemi con lo staff cinese in Cina tramite l’affiancamento di giovani dalla casa madre è un’utopia, e un errore che le aziende dovrebbero far attenzione a non commettere. L’Italiano, specie se lanciato verso una brillante carriera futura, è presuntuoso per definizione e cerca di imporre in ogni modo le sue soluzioni al problema, senza nemmeno tenere in considerazione le opinioni dei cinesi. Il cinese, dalla sua, è silenzioso e “creativo”, il che non è sempre la miglior cosa specie se i lampi di genio arrivano in risposta a tasks che non sono stati capiti fino in fondo. E fuori dall’ambiente di lavoro? Vite separate, col primo che si gode le lusinghe di una Cina che i colleghi non (ri)conoscono, e i secondi che accendono e spengono il fuoco della rabbia con incessanti borbottii di fronte a enormi porzioni di noodles (simil spaghetti cinesi). Pensate bene a chi mandare in Cina, e investite nella sua formazione perché sia pronto a relazionarsi con una cultura tanto diversa e sviluppi la sensibilità necessaria a costruire quel “ponte” di comunicazione, unica via per il successo delle operazioni cinesi dell’azienda.

giovedì 18 novembre 2010

Allarme inflazione in Cina: aumentano a dismisura i prezzi alimentari

Continua in Cina la preoccupante crescita del tasso di inflazione, spinto dall’aumento incontrollato dei prezzi dei beni alimentari. E’ elevato il rischio di malcontento sociale e speculazioni.L’aumento record del 4,4% dell’inflazione cinese, registrato ad ottobre, trova la sua causa nella crescita vertiginosa dei prezzi delle derrate alimentari, aumentati il mese scorso fino al 10%. Verdure, aglio, zenzero, cotone sono alcuni degli alimenti tipici della dieta cinese che hanno subito il rincaro. La situazione è critica soprattutto fuori dalle grandi metropoli, dove, non essendoci molti punti di distribuzione, la speculazione trova terreno fertile.
Per frenare il fenomeno inflazionistico, la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme cinese ha varato nei giorni scorsi una serie di misure. Il governo interverrà con controlli diretti dei prezzi, anche al fine di evitare le speculazioni già verificatesi per cereali e cotone, controlli degli aiuti al commercio, sussidi ai consumi per le famiglie più povere, decentralizzazione del potere amministrativo per rafforzare le autorità dei sindaci, incremento degli approvvigionamenti, imposizione di un tetto massimo dei prezzi.
Tuttavia, sembra che l’allarme sia ben più grave secondo le previsioni della Fao (Food and Agricolture Organization). L’organizzazione ha stimato che le scorte di mais, zucchero e cotone della Cina si stanno esaurendo e che ciò comporterà, già nel 2011, una forte riduzione dell’offerta di prodotti agricoli, fenomeno che avrà implicazioni a livello globale. Tutto questo, infatti, si tramuterà in una forte crisi del commercio alimentare, in cui si verificheranno aumenti elevati dei prezzi che ricadranno maggiormente sulle economie meno sviluppate.
Per molti economisti, comunque, tra le cause dell’inflazione cinese ci sarebbe ancora una volta la politica monetaria cinese, che solo con l’apprezzamento dello yuan e l’aumento del tasso di cambio della valuta potrà riequilibrare la situazione economica e quindi anche il commercio del Dragone con l’estero.
Gli operatori che commerciano con la Repubblica Popolare Cinese, quindi, in una fase congiunturale così delicata pongono molta attenzione alle dinamiche economiche del Paese asiatico; è molto alto, infatti, il rischio di riduzione degli scambi e di aumento dei costi.

mercoledì 17 novembre 2010

Yokohama vision

Lo scorso fine settimana si è tenuto in Giappone il vertice asiatico APEC, a cui hanno partecipato i Paesi dell’area Asia-Pacifico. Molti i risultati concreti ottenuti, definiti come la “Yokohama vision”.

Il 13 e 14 novembre scorso si è tenuto a Yokhoma, in Giappone, il 18º summit dell’APEC (Asian Pacific Economic Cooperation), il secondo vertice asiatico, dopo quello del G20. Vi hanno partecipato tutte le economie dell’area Asia-Pacifico, tra cui le maggiori potenze mondiali quali Cina, Giappone, Stati Uniti, Russia e Canada.
Contrariamente al G20, in questa occasione qualche accordo concreto è stato preso. Innanzitutto, i 21 Paesi aderenti hanno messo in cantiere la creazione di un’area di libero commercio nella zona Asia-Pacifico, obiettivo da tempo pianificato e che potrebbe realizzarsi entro il 2011. Per fare ciò gli Stati partecipanti si sono impegnati a sostenere la crescita equilibrata nella regione e impedire i fenomeni di svalutazione dilaganti negli ultimi mesi.
Tra le misure necessarie per il progetto di cooperazione commerciale, infatti, vi è il rafforzamento della flessibilità dei tassi di cambio. Inoltre, entro il 2013 i Paesi dell’APEC hanno garantito che non eleveranno ulteriori dazi e rimuoveranno quelli innalzati nel periodo di crisi.
Per ciò che riguarda la Cina in modo specifico, il forum APEC ha fatto affiorare una precisa politica di contenimento da parte degli USA nei confronti del Dragone, volta ad assicurare una crescita compatibile con gli equilibri mondiali.
Altra questione riaperta è stata quella delle esportazioni di terre rare. Nei giorni scorsi la Repubblica Popolare, che detiene il 60% delle riserve mondiali di metalli magnetici, aveva fatto sapere che avrebbe permesso le esportazioni di terre rare solo verso quei produttori che rispettassero il limite di emissioni inquinanti e che fossero in possesso della certificazione ISO 9000. Al summit, però, pare che il presidente della Commissione per le Riforme e lo Sviluppo nazionale cinese Zhang Ping abbia riaperto le esportazioni verso il Giappone, dopo un periodo di irrigidimento tra i due Paesi.
Tutto ciò non fa altro che confermare non solo che gli accordi presi all’incontro APEC sono di fondamentale importanza per l’economia mondiale, non fosse altro perché i soli partecipanti detengono il 40% del Pil mondiale, ma anche che la Cina è sempre più un Paese leader, capace di intimorire il resto del mondo e dettare le regole.

martedì 16 novembre 2010

L’importanza delle fiere emergenti

Le fiere internazionali rappresentano uno strumento efficace per la comunicazione commerciale, ma anche per gli incontri d’affari e la conoscenza del mercato. Anche nei Paesi emergenti le manifestazioni fieristiche si stanno facendo largo, con iniziative di grande importanza internazionale a cui è d’obbligo essere presenti.

Per alcuni settori, la possibilità di essere presenti ad una fiera internazionale è fondamentale per accedere al mercato. Oggi, non solo Europa e Stati Uniti, ma anche i Paesi dei Bric sono in grado di organizzare eventi ed esposizioni di grande livello.
In Cina le sedi fieristiche più rilevanti si concentrano nelle zone di Pechino, Shanghai, Canton, Shenzhen e naturalmente Hong Kong. Tra le manifestazioni di maggior interesse si trovano quelle del settore tessile: Intertextile, per i tessuti pregiati, che si snoda in più edizioni, tra Pechino, Shanghai e Guangzhou, oppure Chic, specializzata nel campo del lusso. Altro tema di forte richiamo è negli ultimi anni quello del settore enogastronomico, il quale ha visto crescere esponenzialmente in Cina numerose fiere dedicate: International Wine & Spirits Fair, Food & Hospitality China, Interwine and Interfood, solo per citarne alcune. Oltre a ciò, l’abbigliamento e le nuove tecnologie attirano numerosi espositori internazionali e, sebbene siano principalmente fiere per la promozione dei prodotti cinesi, non mancano gli eventi dedicati agli scambi commerciali, come l’Import & Export di Canton o la CIFIT di Xiamen.
Anche le fiere russe rappresentano un buon modo per farsi conoscere sul mercato dell’ex area sovietica: qui le manifestazioni più importanti, localizzate ancora prevalentemente a Mosca e San Pietroburgo, riguardano i macchinari, come la Zolotoi Ocien, la meccatronica e l’edilizia, di cui si ricordano Holzhaus, Mobibuild ed Expocem.
Fiorenti anche le manifestazioni dell’India, le cui fiere maggiori si svolgono a Mumbai, New Delhi e Bangalore. Anche qui l’edilizia e l’arredo sono i settori più coinvolti nelle esposizioni: Stona a Bangalore, per la lavorazione del marmo, Index a Mumbai per l’arredamento e Cityscape per gli investimenti immobiliari. Non mancano le iniziative dedicate all’energia, un tema sempre più caro alle economie emergenti: Entech ed Energy India trattano, infatti, le rinnovabili.
Infine il Brasile, dove primeggiano le fiere dedicate all’agroalimentare e ai macchinari. Nel primo caso, va citata Agrishow a Ribeirao Preto, grande esposizione per le macchine agricole, mentre per i macchinari si trovano: Feimafe, Brasilplast, M&T Expo, Fimai e Simai. In Brasile le manifestazioni principali si tengono nei centri maggiori, come San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte.

lunedì 15 novembre 2010

Qing gei wo ka fei

“Un caffè per favore”. Che siano managers, studenti, turisti non ce n’è: gli Italiani senza caffè non possono stare. Dall’aroma inconfondibile, possibilmente ristretto e rigorosamente senza zucchero, “da veri intenditori”, l’espresso è una delle tante eccellenze che caratterizzano l’Italian way of life.
Ma che ne dicono all’estero? E, nello specifico, che ne dice la Terra del tè? Stando a vedere i numeri della crescita del consumo (70% dal 2005 al 2007), sembrerebbe che anche la Cina stia iniziando ad apprezzarlo e sono sempre di più i giovani che, nelle grandi città, lo preferiscono alla limpida bevanda nazionale. Certo è che, da Italiana, non posso che commentare: c’è caffè e caffè. Come classificare Starbucks? Non lo classifichiamo proprio. Coffee, come Ice Cream e American Pizza.
La verità è che di quel 70% di crescita poco rimane alla tazzina tanto cara nel nostro immaginario. Il costo è alto, troppo, e i cinesi non si spiegano il perchè dover pagare così tanto per così poco. Manca la cultura e mancano i bar. Come fare dunque? Illy ha puntato su una strategia di lungo periodo portando a Shanghai l’Università del caffè, aprendo una serie di punti di distribuzione (la catena Espressamente), e, nel frattempo, coltivando rapporti con alberghi e ristoranti per assicurarsi il ruolo di “top supplier” . I risultati per ora sono contrastanti, si soffre la mancanza di forti catene alberghiere italiane e soprattutto si soffre quell’italianità che propone una chiacchierata al bar davanti a un caffettino che finisce in fretta, ma dà sapore alla conversazione e accompagna la giornata.

A cura di Marta Caccamo

Segnali di instabilità dall’economia cinese

Dopo le critiche al vertice di Seul per gli squilibri della bilancia commerciale ora la Cina deve affrontare un’inflazione allarmante, la più alta degli ultimi due anni.

Proprio la settimana scorsa l’agenzia Moody’s aveva alzato il rating per la Cina da A1 ad Aa3, mossa giustificata dalla stabilità economica dimostrata negli ultimi tempi da Pechino. La Repubblica Popolare, infatti, registra ancora una buona crescita: nei dati anno su anno l’export è salito del 23%, la produzione industriale è aumentata del 13,1% e anche gli investimenti in infrastrutture sono cresciuti del 24,4%. Tuttavia, ora iniziano a farsi sentire numerosi campanelli d’allarme.
Innanzitutto, il record del saldo commerciale, arrivato alla cifra incredibile di 27 miliardi di dollari, ha sollevato non poche critiche, a causa del forte squilibrio di alcune bilance commerciali, al vertice del G20 di Seul, conclusosi il 12 novembre scorso. La Cina vi era già arrivata sotto pressione a causa delle misure attuate dalla Federal Reserve riguardanti il freno all’eccessiva liquidità di alcuni Paesi e i controlli sui rimpatri di capitali delle società finanziarie cinesi. La proposta americana di fissare ad un tetto massimo del 4% il Pil è comunque stata bocciata e si rimanda la questione al 2011.
Ora arriva, però, l’allarme inflazione. Il tasso, infatti, è salito da ottobre al 4,4%, contro il 3% fissato dal governo, dopo che i prezzi di beni alimentari, prodotti agricoli e materie prime hanno iniziato ad accelerare. Ciò sta già avendo i primi effetti: la borsa di Shanghai è scesa del 5% la settimana scorsa, trascinando anche i principali listini internazionali. La Banca centrale ha reagito aumentando di 50 punti la riserva obbligatoria e i tassi di interesse dello 0,25%. Anche i prestiti, inoltre, sono cresciuti oltre le aspettative e rimane alta la tensione per probabili bolle speculative.

venerdì 12 novembre 2010

La Cina all’avanguardia per le energie pulite

La Cina è il Paese con la più alta domanda di energia al mondo e, secondo le stime, entro il 2035 verrà triplicata. Il bisogno crescente e la lotta all’inquinamento avviata negli ultimi mesi stanno favorendo programmi e progetti per lo sviluppo delle energie pulite, quali la distribuzione del gas naturale e il mercato di carbonio.
L’emergenza energetica è uno dei temi principali della Repubblica Popolare Cinese: secondo le stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, infatti, la Cina avrà sempre più bisogno di nuovi fonti per soddisfare il fabbisogno crescente della popolazione e dipenderà sempre più dalle importazioni di combustibili fossili, quali: petrolio, carbone e gas. Tuttavia, la richiesta di petrolio si dovrà confrontare con l’imminente riduzione delle risorse e con una domanda mondiale che aumenterà del 18% entro il 2035, metà della quale proverrà dalla Cina. Ciò contribuirà alla crescita dei prezzi del greggio, che potrebbe raggiungere già nel 2015 i 100 dollari a barile.
In aggiunta a ciò, petrolio e carbone comportano anche gravi problemi di inquinamento ambientale.
Per far fronte a queste difficoltà, la Repubblica Popolare sta promuovendo lo sviluppo delle energie pulite, il cui futuro è molto promettente. Pechino è decisa, quindi, a spostare la propria domanda sul gas a scapito di greggio e carbone, ponendosi come obiettivo quello di aumentare il consumo di gas naturale dal 4 al 10%. Il gas non solo è vantaggioso dal punto di vista ecologico ma può contare su enormi volumi dell’offerta, che lasciano i prezzi ancora bassi. L’Asian Development Bank ha messo a disposizione di Pechino, proprio in questi giorni, 200 milioni di dollari per gli investimenti in energie verdi e la distribuzione di gas naturale. Ciò permetterà, quindi, di coprire il fabbisogno dei centri minori nella parte occidentale del Paese.
Ulteriore iniziativa in ambito ambientale è quella della probabile dotazione della Cina di un proprio mercato di emissioni di carbonio entro il 2013. Il Paese asiatico, che è il maggiore produttore di CO2, si doterebbe così di un sistema che permetterebbe la riduzione delle emissioni guadagnando crediti da rivendere. In Europa questo mercato di “Cap and Trade” è già in funzione ed ha contribuito a tagli di CO2 importanti.
Ancora una volta, quindi, si ribadisce che il futuro dell’energia sarà nelle fonti pulite e rinnovabili, di cui si stima una crescita tra il 7 ed il 14% nei prossimi venticinque anni.

giovedì 11 novembre 2010

A Pechino nasce il Centro per le Pmi europee

Dal 2011 le piccole e medie imprese europee che commerciano con la Cina potranno contare su di un nuovo strumento: un Centro finanziato dalla Commissione europea per il sostegno delle attività internazionali nel paese asiatico.

Il nuovo centro per le Pmi europee di Pechino, recentemente inaugurato dal vicepresidente della Commissione europea e responsabile per imprese e industria Antonio Tajani, inizierà la propria attività il prossimo gennaio. Sarà gestito da un consorzio delle camere di commercio europee, tra cui anche Unioncamere e le camere del Benelux, Francia, Germania e Spagna. L’iniziativa rientra nel progetto di “Small Business Act” dell’Unione Europea che ha lo scopo di sostenere le imprese più piccole che internazionalizzano, oggi in continuo aumento. Solo le Pmi europee che esportano, infatti, sono oggi il 25% del totale.
Le attività del Centro saranno molteplici. Innanzitutto, esso fornirà informazioni tecniche per operare in Cina, quali: procedure burocratiche, tipologie di contratti e strutture societarie ammesse, certificazione necessarie. L’ente darà anche consigli pratici, che si concretizzeranno nella pubblicazione di un dossier sulle strategie di internazionalizzazione nel corso del 2011, e sosterrà le imprese nella risoluzione di eventuali problemi che sorgeranno nell’approccio al mercato. L’obiettivo ultimo è la cooperazione tra Europa e Cina che sarà incentivata dalla collaborazione del Centro con altri enti di supporto, come la rete “European Enterprise Network” (EEN), che offre già alle imprese cinesi aiuto per lo sviluppo tecnologico e fornisce loro contatti con le organizzazioni europee.

mercoledì 10 novembre 2010

Difficoltà nel settore tessile: i prezzi del cotone salgono

Le imprese italiane ed europee iniziano a risentire della dipendenza dall’Asia e vedono crescere ed oscillare i prezzi delle principali materie prime. Il mercato del cotone negli ultimi 12 mesi soffre prezzi alti e speculazioni e anche in Cina si avverte la crisi del settore.

I prezzi del cotone sono passati nell’ultimo anno da 60 centesimi di dollaro a libbra ad oltre 140 centesimi, con conseguenze negative sull’intero settore tessile italiano. I prezzi, infatti, hanno stabilito ogni record anche in Cina, grande esportatore mondiale della fibra. Le cause sono da ricercarsi nell’aumento della domanda interna al Paese asiatico e al contemporaneo calo della produzione, pari al 5%. Proprio a causa dello scarso raccolto il governo Usa prevede che la Cina sarà dovrà importare 13 milioni di balle di cotone nella stagione attuale. Inoltre, le scorte cinesi si ridurranno ulteriormente alla fine del 2010-11, arrivando a 13,2 milioni di balle.
La Repubblica Popolare, tuttavia, individua come responsabile il fenomeno della speculazione a cui ha dichiarato guerra nei giorni scorsi.
L’aumento dei prezzi rappresenta un’ulteriore minaccia, in quanto trascina i costi anche di altre fibre e della manodopera riducendo i vantaggi di costo di Paesi come la Cina. Numerosi importatori occidentali, infatti, sostengono che oggigiorno importare dal Dragone non garantisce più costi minori e a ciò si aggiungono anche forti ritardi nelle consegne.

martedì 9 novembre 2010

Un problema di taglia…o una questione di stile?

La piccola Italia ancora una volta ci fa riflettere. Sin da bambini noi Italiani riceviamo un’educazione al gusto, al bello, all’appropriato, che ci permette di distinguerci ovunque nel mondo. L’Italia e’ l’unico paese dove l’attenzione al dettaglio e’ tale da fare della scelta del colore dei calzini un punto di partenza per la valutazione dello stato sociale di chi li indossa (bianco lavora in banca, nero solo di sera…). Questo implica una spasmodica ricerca dell’abbinamento migliore e di un’eleganza costruita per se’ da se’, che viene riflessa dalla struttura distributiva dell’industria del fashion. E’ ancora preponderante la presenza di canali di vendita indiretti e distribuzione organizzata (DO), dovuta anche alle dimensioni delle aziende che non hanno campionari tali da giustificare l’apertura di un monomarca.
In Cina la situazione e’ diametralmente opposta. Flagship stores, modalita’ shop in shop e franchising la fanno da padrone, con un netto vantaggio dell’approccio “total look” (che pone in evidenza il brand) sul “mix and match” (che mette in luce la scelta personale). Le PMI di casa nostra si trovano inequivocabilmente di fronte a un “tappo di bottiglia”; le previsioni indicano un’evoluzione dei consumi che avvicinera’ i consumatori cinesi alla passione tutta italiana per il “combinato-scombinato”, ma come evolvera’ la distribuzione? E soprattutto, ci sara’ ancora spazio per chi ha aspettato?

A cura di Marta Caccamo

Se Maometto non va alla montagna…

Perche’ un’azienda italiana, una PMI mettiamo caso, dovrebbe internazionalizzare in Cina? Le ragioni sono moltissime, piu’ o meno legittime, e vanno dalla classica “per non perdere il treno”(che nel caso dell’Italia in Cina e’ ormai passato da un paio di decenni) all’azzardata strategia dell’“ultima spiaggia”. Per quanto mi riguarda penso che il motivo principale per cui non ci si puo’ permettere di ignorare la Cina sia che se non iniziamo a imparare a competere con i Cinesi nella loro Terra, dovremo imparare a farlo a casa nostra, come gia’ sta succedendo in alcuni settori, tessile per citarne uno.
Ora viene il dunque, pero’, come assistere piccole imprese di fronte a un immenso mercato? Come aiutarle a raggiungere la tanto sospirata massa critica? Il bisogno di istituzioni stabili e che siano in grado di coordinare l’azione e “fare Sistema” e’ enorme, ma di contro il panorama italiano in Cina si presenta frammentato con piu’ di 40 tra sportelli regionali, Camere di Commercio e ICE, a replicare una governance multi-livello che spesso implica inefficienze e costi inutili.
Finche’ non esistera’ un network di Paese, una volonta’ di crescere insieme pur rimanendo fedeli in principio all’italianissimo adagio “piccolo e’ bello”, finche’ non ci sara’ un allineamento di voci e una struttura concreta, le cose non cambieranno per le nostre PMI e chi vorra’ provare a farcela dovra’ farlo da solo, accettando di crescere e cambiare. Quello che preoccupa, tuttavia, e’ il destino di chi non ha risorse sufficienti per farlo, in qual caso si prospettano anni di grandi sforzi per sopravvivere all’avanzata rossa.

A cura di Marta Caccamo

lunedì 8 novembre 2010

I gelati di Mimmo

“Mimmo dobbiamo dirti una cosa. I gelati al pisello : a lei non piacciono”. Ed e’ cosi’, diplomaticamente, che i miei amici hanno spento definitivamente l’entusiasmo negli occhi dell’amico cinese “Mimmo” che puntualmente alle 11 di mattina amava farci gentil omaggio.
Contrariamente a quanto si possa pensare, l’industria del gelato confezionato in Cina e’ in rapida ascesa con tassi di crescita nell’ordine della doppia cifra e caratteristiche tutte proprie. Si’ perche’, stando ai sondaggi, il gusto d’oriente non si piega poi troppo agli standard occidentali in fatto di dolci; e se sul cioccolato troviamo un compromesso, a condurre la classifica dei “best ones” ci sono i locali red-bean, sesamo, soia nera e pisello.
Ma cosa dire dell’ “Italian Gelato” (e non semplicemente “ice cream”)? Il potenziale e’, senza ombra di dubbio enorme, data la natura del prodotto che si presta agli adattamenti e alla creativita’ del gelatiere, nonche’ a essere mangiato in qualsiasi momento del giorno senza appesantire, in linea col concetto cinese per cui il cibo accompagna la giornata anziche’ scandirne i tempi. Purtroppo tuttavia, anche in questo caso come in molti altri etichettati made in Italy, la comunicazione al mercato e i profitti dalla vendita di gelato sfuso stanno andando a players stranieri quali Haagen Dazs o Iceseason, aggiudicatisi il primato nell’associazione brand-prodotto nella mente del consumatore. Fortuna vuole che spazio per noi italiani esista ancora; una nicchia che in pochi sembrano voler sfruttare concentrandosi piu’ sui margini che sul volume delle vendite e la qualita’ degli ingredienti. Anziche’ prezzi da capogiro ed enormi gelaterie-ristoranti, l’arma vincente in Cina sarebbe quella di riproporre il modello tradizionale “al bancone” e stimolare i nostri gelatieri a cercar ispirazione e creativita’ nella Terra del Dragone con sperimentazioni locali accanto ai classici in base alla reperibilita’, ma sempre con macchinari ed expertise italianissimo.

A cura di Marta Caccamo

Vertice G20 a Seul: la Cina al centro dei dibattiti

Al vertice del G20 di Seul si parlerà ancora molto di Cina: da un lato è accusata, assieme alla Germania, di avere una crescita del Pil eccessiva, dall’altro invece si preannuncia il suo rafforzamento di potere all’interno del Fmi.

Si avvierà già con una serie di polemiche l’imminente vertice G20, che si terrà l’11 e il 12 novembre a Seul. Prima fra tutte quella relativa alla proposta di Washington di fissare ad un massimo del 4% del PIL la crescita dei Paesi. Ciò ha scatenato le polemiche di Cina e Germania, entrambe con un avanzo superiore al 4%, che assieme ai Paesi dell’area asiatica hanno un tasso di risparmio così elevato che causerebbe la riduzione della domanda globale. La Cina, in particolare, ha un basso indice di consumi provocato da sistemi sanitari, finanziari e lavorativi assenti o inefficienti. La Repubblica Popolare, comunque, ha già fatto sapere che ritiene la proposta americana una «dichiarazione di ostilità» e che al momento non ha intenzione di apprezzare lo yuan nei confronti del dollaro USA.
Al di là delle polemiche si discuterà anche della riforma prevista all’interno del Fmi, che prevede l’aumento del potere di voto alle economie emergenti quali Cina, India e Brasile, portandolo al 6%. Tutto questo con una conseguente riduzione del peso delle economie industriali: il board del Fmi avrebbe 24 seggi, di cui nove per l’Europa, che ne perderebbe così due. La Cina diventerebbe il terzo Paese più importante all’interno dell’istituto, subito dopo Stati Uniti e Giappone. La decisione è per questo stata definita «storica», in quanto per la prima volta dopo 65 anni si assiste ad un cambiamento così importante della governance. Viene finalmente riconosciuta l’influenza mondiale dei Paesi in via di sviluppo, in termini economici e politici (basti pensare che Hu Jintao è ora l’uomo più potente del mondo secondo Forbes), i quali ora avranno qualche voce in capitolo in più. L’economia mondiale si prepara, quindi, a nuovi equilibri, che avranno importanti implicazioni anche in ambito imprenditoriale.

venerdì 5 novembre 2010

Le imprese cinesi sono poco innovative

Gli investimenti cinesi in scienza e tecnologia sono stati scarsi negli ultimi due anni, con il risultato che le imprese hanno poca capacità innovativa. Ciò può rappresentare un’opportunità per le imprese italiane innovative interessate alla Cina.

Durante la 12ma Conferenza dell’Associazione della Scienza e Tecnologia di Fuzhou, tenutosi il 1°novembre scorso, il ministro della Scienza e Tecnologia cinese, Wan Gang, ha dichiarato che le imprese cinesi hanno ancora scarsa capacità innovativa. Nonostante nel 2009 gli investimenti in questi ambiti da parte delle finanze centrali cinesi siano stati pari a 15 miliardi di yuan, mentre quelli totali in ricerca e sviluppo tecnico-scientifico siano ammontati a 58 miliardi di yuan, la competitività dal punto di vista dell’innovazione non è ancora sufficiente.
La criticità delle imprese cinesi può essere un vantaggio però per gli operatori esteri, in quanto la necessità di innovare e di disporre di conoscenze e know-how di alto livello potrebbe favorire la stipulazione di forme di collaborazione internazionale, quali sono: accordi interaziendali, licenze, e joint venture. Quest’ultima possibilità è una delle modalità di ingresso più utilizzata dalle aziende straniere in Cina, sostenuta peraltro da numerose leggi del Paese e dall’impulso dato dall’ingresso della Cina nella WTO nel 2001. Tramite le joint venture, i soci stranieri solitamente apportano capitale ma anche tecnologia, innovazione e know-how, beneficiando di un partner cinese ben consolidato sul mercato e con una conoscenza diretta della domanda, dei canali distributivi e delle strategie di marketing più adatte.
Relativamente all’innovazione, un importante incontro per le imprese italiane interessate alla Cina si terrà il prossimo 8 novembre presso l'Auditorium della Tecnica di Confindustria. Si tratta del “Forum dell’innovazione Italia-Cina”, uno degli incontri organizzati per l’Anno Culturale Cinese in Italia, a cui presenzierà proprio il ministro Wan Gang assieme alle istituzioni italiane. Tra i temi che verranno trattati si segnalano: efficienza energetica e fonti alternative; scienze della vita; design; e-government.

giovedì 4 novembre 2010

Perché puntare sulla Cina?

Gli interventi di Napolitano e le recenti indagini della Banca Mondiale confermano che la Cina rappresenterà il futuro per molte imprese internazionali, italiane comprese.

I rapporti tra Italia e Cina sono molto stati positivi negli ultimi mesi e l’incoraggiamento a investire nel Paese asiatico è forte. Il primo fattore di spinta è dato dal successo delle esportazioni italiane: secondo il direttore dell’ICE di Pechino, Antonio Laspina, i prodotti italiani nella Repubblica Popolare Cinese non hanno risentito della crisi perché si collocano nella fascia medio-alta del mercato, rappresentata da 300 milioni di consumatori; nel primo quadrimestre del 2010 l’interscambio tra i due Paesi è salito del 34%. I settori coinvolti in questo processo di crescita sono ancora una volta quelli del tradizionale Made in Italy: macchinari, semilavorati, robotica, beni di lusso, abbigliamento, design, alimentari.
Ulteriore considerazione deriva dalle stima sull’economia: la Banca Mondiale ha corretto le previsioni di crescita della Cina per il 2010, alzando il tasso dal 9,5% al 10%, segno che la crescita è ancora in forte espansione.
Altro stimolo, anche se di connotazione negativa, è dato dal recente rapporto Doing Business della Banca Mondiale, in cui l’Italia sembra messa peggio della Cina, collocandosi al 78esimo posto in classifica (su 183 Paesi) per l’elevata complessità, in termini burocratici e di tempi, nell’avviare e gestire un’attività economica. In Italia sono necessarie, in media, 285 ore l’anno per adempiere a tutti gli obblighi connessi all’attività.
Tuttavia, non vanno dimenticati i disagi della Cina, un Paese dalle mille contraddizioni. La stessa Banca Mondiale sottolinea le difficoltà legate al settore immobiliare e ai rischi del credito. Si aggiunge, inoltre, la direzione intrapresa dalla Repubblica Popolare durante l’ultimo plenum del PCC, ovvero il rafforzamento del mercato interno, che potrà danneggiare le esportazioni estere e le delocalizzazioni straniere.
E’ da segnalare, poi, che il cambiamento relativo alla manodopera a basso costo sembra stia dando qualche prima avvisaglia: negli ultimi due anni, infatti, sono aumentate del 95% le denunce ai tribunali cinesi da parte di lavoratori sottopagati. Il che costringerà le aziende, a beneficio dei lavoratori cinesi, a rivedere le strategie di costo. Difficile credere, comunque, che un veloce cambiamento si possa avere anche per ciò che riguarda le condizioni in cui vivono gli operai delle fabbriche. E’ appena stato pubblicato, infatti, un reportage di Gizmondo USA e Wired USA in uno dei dormitori della Foxconn, a Shenzen, il quale documenta una realtà ancora poco umana.

mercoledì 3 novembre 2010

In Cina è iniziato il censimento della popolazione più grande della storia

Fino al prossimo 10 novembre i funzionari della Repubblica Popolare Cinese raccoglieranno i dati della popolazione che verranno messi a disposizione dell'Ufficio Nazionale per le Statistiche per avere un nuovo quadro del Paese.

Nell'aprile 2011 il mondo conoscerà la nuova realtà cinese. E' partito, infatti, quello che è considerato il censimento più grande della storia: nei prossimi dieci giorni la popolazione della Cina di 31 province, 330 città, 2.800 contee, 4.000 township e 680.000 villaggi verrà conteggiata per la sesta volta nella storia del Paese. L'ultimo censimento risale al 2000, quando il numero di cinesi risultò risalire a un miliardo e 295 mila persone.
Tuttavia, quest'anno il conteggio utilizzerà un metodo differente: i cittadini verranno registrati in base al luogo in cui vivono realmente, senza tenere in considerazione il certificato di residenza. Ciò significa che gli immigrati interni saranno considerati residenti urbani. L'obiettivo del censimento è quello di conoscere il reale ammontare della popolazione cinese e comprendere la situazione delle migrazioni tra campagna e città, che riguarderebbe 211 milioni di persone. Secondo i calcoli degli esperti, oggi il 45% dei cinesi vive nelle metropoli. Inoltre, si vuole indagare qual è la percentuale di anziani e di giovani, in modo da regolare le politiche sociali del Paese.
Saranno molte le difficoltà che i funzionari incontreranno durante la loro "missione": gli immigrati privi di residenza, le famiglie che hanno violato la legge del figlio unico e i proprietari delle case disabitate potrebbero non collaborare in modo adeguato. La campagna pubblicitaria a favore del censimento è stata ingente in questi ultimi giorni e si sono anche alleggerite le sanzioni previste per chi dichiarasse di aver infranto le leggi.
I dati statistici che verranno ottenuti saranno naturalmente di fondamentale importanza anche in campo economico. Gli operatori internazionali, infatti, avranno bisogni di informazioni riguardanti l'entità della popolazione, l'età media ed i fenomeni sociali per comprendere meglio le potenzialità del mercato cinese, le necessità e le tendenze dei consumatori.

martedì 2 novembre 2010

Shanghai: si è conclusa l’Expo dei record

Domenica 31 ottobre si è conclusa l’Esposizione Universale di Shanghai, dopo 184 giorni di manifestazione.

L’Expo di Shanghai è stato un evento che ha battuto ogni record, in primis quello dell’afflusso di visitatori: ne erano attesi 70 milioni e se ne sono registrati 73,08. Il picco più alto è stato comunque nell’ultimo mese, con 1,032 milioni di ingressi il giorno 16 ottobre. Comunque sia, il 97% dei visitatori è stato di nazionalità cinese, il che ridimensiona il carattere internazionale dell’esposizione su cui le autorità cinesi hanno insistito anche in occasione della sontuosa cerimonia di chiusura.
Su di un’area di 5,28 chilometri quadrati sono stati ospitati 190 Paesi e 50 organizzazioni internazionali in un centinaio di padiglioni e sono stati organizzati 20.000 eventi culturali. Non solo: si stima che l’Expo avrà comunque ripercussioni positive sull’economia cinese per i prossimi 3-5 anni e che il ritorno economico totale potrà aggirarsi intorno ai 12 milioni di dollari. La città di Shanghai intanto ne ha beneficiato in infrastrutture e sviluppo notevoli.
I numeri relativi ai costi sostenuti sono un po’ meno precisi a causa della stampa cinese poco favorevole a fornire dati di questo tipo; si calcola, comunque, che la città di Shanghai abbia investito 45 miliardi di dollari per l’organizzazione.
Il padiglione italiano è stato sicuramente uno dei più ammirati dell’Expo, con 7 milioni di visitatori; ha ospitato 150 eventi di business, 58 eventi culturali per 45 mila persone ed ha coinvolto oltre 1.500 aziende e associazioni di categoria. Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la sua visita all’Esposizione Universale, il padiglione tricolore ha avuto un ruolo fondamentale nella promozione della qualità italiana in Cina, rafforzando i rapporti tra i due Paesi. Eppure, nonostante i numerosi apprezzamenti e nonostante la Cina abbia chiesto all’Italia di lasciare in eredità gli allestimenti per il Museo dell’Expo, non è stato conferito al nostro Paese nessuno dei 9 premi assegnati ai migliori padiglioni. La sfida italiana, tra l’altro, inizia soltanto ora: con la chiusura di Shanghai si passa il testimone a Milano per l’Expo 2015. Le aspettative sono inferiori rispetto all’evento cinese, ma si vuole puntare soprattutto sulla qualità della manifestazione.
Comunque vada, resta il fatto che quella di Shanghai è stata la prima Esposizione Universale in un mercato in via di sviluppo ed i risultati, almeno nei numeri, sono stati eccellenti.