Le principali notizie e informazioni di natura economica, finanziaria, giuridica e politica relative alla Cina

lunedì 28 febbraio 2011

La Cina guarda alla crescita con ottimismo ma la fiducia dei suoi consumatori è in calo

Nel nuovo piano quinquennale della Cina è stata concordata una crescita pari al 7%; tuttavia, l’inflazione che ha colpito il Paese e i rincari di alcuni settori fanno diminuire la fiducia dei consumatori cinesi.

Il premier cinese Wen Jiabao è intervenuto, nei giorni scorsi, per annunciare i dettagli del nuovo piano quinquennale 2011-2015 della Repubblica Popolare Cinese. Secondo il documento, il Dragone crescerà nel prossimo lustro del 7% annuo (contro il 7,5% concordato nel piano precedente), attuando, tra l’altro, una riforma dei cambi graduale, che quindi non intacchi il contesto produttivo. Inoltre, il Paese asiatico metterà in pratica una politica volta alla salvaguardia dell’ambiente e interverrà con nuove misure per contrastare l’inflazione, che a gennaio ha fatto lievitare l’indice dei prezzi al consumo del 4,9% rispetto allo stesso mese del 2010.
A questo proposito, il premier ha dichiarato che l’impennata dei prezzi rappresenta la «principale preoccupazione del governo». Infatti, a causa dell’aumento incontrollato del costo dei beni, la fiducia dei consumatori cinesi è in forte calo. Nell’ultimo trimestre 2010, l’indice ha raggiunto il livello più basso dal 2009, scendendo a 100 punti; l’83% dei cinesi pensa che l’innalzamento dei prezzi riguarderà tutto il 2011 e l’85% ritiene che tale fenomeno intaccherà soprattutto i generi alimentari.
Ad incidere sulla fiducia sono, poi, i rincari di alcuni settori chiave dell’economia: l’agroalimentare, in cui il grano, a gennaio, ha visto un rincaro del 10% e la frutta del 30%, e quello immobiliare, dove le tariffe degli immobili nelle grandi città sono cresciuti anche oltre il 60%.
Nonostante la Cina sia ormai la seconda economia mondiale, quindi, sono molti i fronti del Sistema Paese su cui dovrà lavorare per proseguire nella crescita economica e garantire anche agli operatori esteri un clima produttivo stabile.

venerdì 25 febbraio 2011

Gli sbocchi pubblicitari di internet in Cina

La pubblicità in Cina vede aprirsi nuove possibilità tramite internet: sebbene nel Paese asiatico agisca ancora una forte censura, il colosso americano Facebook sta osservando il mercato tramite il social network locale Renren, che oggi conta 161 milioni di utenti e si affaccia alla borsa di Wall Street.

Il mondo di internet in Cina è un contesto particolarmente difficile, soprattutto per le aziende web occidentali che, a causa della censura, si sono viste costrette ad abbandonare il campo o a non poter entrare nel mercato.
Il social network Facebook, infatti, è stato oscurato dalle autorità cinesi e, al momento, ha deciso di approcciarsi alla Repubblica Popolare presidiando la vicina Singapore e la regione amministrativa speciale di Hong Kong, dove ha recentemente aperto un ufficio grazie alle numerose opportunità pubblicitarie offerte dai 3 milioni di utenti locali. Tuttavia, il profilo adottato in questa realtà rimane molto basso per la questione politica delicata che la caratterizza. I dirigenti di Facebook,  per ora, hanno deciso di essere cauti nei confronti del Dragone e di studiare le particolarità del mercato cinese tramite il social network locale Renren. 
Questo è, in sostanza, il clone cinese di Facebook: nato nel 2005, ha visto crescere il suo successo grazie all'oscuramento del fratello americano fino ad arrivare, oggi, a 161 milioni di utenti, su un totale di 475 milioni di internauti cinesi, e con un fatturato proveniente dalla pubblicità che risulta raddoppiato negli ultimi due anni. Renren, inoltre, sta per compiere un grande passo, ovvero quello di diventare il primo social network al mondo quotato alla borsa di Wall Street: ha, infatti, puntato al listino di Nasdaq, specializzato nelle società ad alto valore tecnologico. Il colosso cinese si rivela interessante per i dirigenti di Facebook perchè presenta uno spunto utile per un'eventuale strategia di ingresso: Renren ha applicazioni su misura per il mercato cinese e punta tutto su giochi di società e pubblicità online. 
Nonostante ciò, comunque, si stima che circa 700 mila utenti cinesi riescano, grazie ad un software gratuito, a connettersi ugualmente a Facebook. Ciò dimostra come le tecnologie occidentali rimangano le favorite anche a fronte di fenomeni di origine locale quale è Renren e che, grazie anche alla recente visita di Mark Zuckerberg che ha accresciuto la visibilità del social network americano, l'interesse nei confronti delle applicazioni di stampo globale continuerà a crescere anche nel Dragone. Il numero di iscritti a Facebook potrebbe, quindi, raddoppiare nei prossimi mesi e aprire le porte a illimitate potenzialità pubblicitarie per l'Occidente. 

giovedì 24 febbraio 2011

Aumenta il numero di cinesi benestanti

Secondo le ultime rilevazioni sulla popolazione cinese, la percentuale di cittadini della Repubblica Popolare appartenenti alla classe benestante è aumentata vistosamente ed è destinata a raddoppiare nei prossimi cinque anni. Anche il settore del turismo inizia a sfruttare questo fenomeno e a portare i milionari cinesi in Italia.

Il target di riferimento dei settori di beni di consumo, di servizi di qualità e del lusso in generale potrebbe espandersi notevolmente nei prossimi anni in Cina. In base ad una recente ricerca del Centro Studi Confindustria, infatti, la classe benestante cinese ha già raggiunto un nuovo record ed è destinata a crescere nei prossimi dieci anni; nel 2010 la borghesia cinese, ovvero i cittadini con oltre 30.000 dollari pro capite, ha raggiunto la quota di 95 milioni di individui e raddoppierà ogni cinque anni almeno fino al 2020. Entro il 2015 i benestanti potrebbero arrivare a 201 milioni di individui (il 14,5% della popolazione) ed entro il 2020 addirittura a 424 milioni, quanto l’intera popolazione dell’Europa Occidentale.
Con il numero di persone, aumenterà anche il loro peso in termini di Pil: se nel 2010 questo corrispondeva al 4,2% del Pil mondiale, nel 2015 raddoppierà sino al 7,1% e nel 2020 potrebbe arrivare a rappresentare il 12,2% del Pil mondiale. Anche i consumi privati della classe benestante, di conseguenza, subiranno un incremento rispetto all’attuale 36% del Pil cinese, pari al 2,6% dei consumi mondiali.
Le opportunità di business, per chi fosse interessato al mercato cinese, sono molteplici a fronte di tale scenario, soprattutto per il settore del lusso, che già registra buone performance nel Dragone per ciò che riguarda abbigliamento, automobili ed edilizia.
Tuttavia, potrebbe svilupparsi anche un nuovo ambito, ovvero quello del turismo, già in graduale crescita in Cina. Lo spunto in questo comparto proviene da un’azienda italiana, la Dream Italy, che ha saputo cogliere le potenzialità della classe di milionari cinesi unita al loro interesse per l’Italia. Dream Italy organizza, infatti, viaggi personalizzati di alto livello nel nostro Paese per i ricchi cinesi, che comprendono: residenze storiche, auto di lusso e ristoranti rinomati. Visto il successo del progetto, si aprono le porte per iniziative simili, quali viaggi itineranti all’estero, resort di lusso e crociere.

mercoledì 23 febbraio 2011

Più visibilità alle aziende italiane in Cina

In un’intervista al quotidiano cinese Shanghai Daily, il Console Generale dell’Italia a Shanghai, Vincenzo De Luca, ha dichiarato che tra gli obiettivi  del Sistema Italia in Cina ci sarà quello di dare maggiore visibilità alle imprese italiane in loco.

Più promozione e visibilità per le aziende italiane presenti in Cina: è questo l’obiettivo principale del nuovo Console Generale dell’Italia a Shanghai, Vincenzo de Luca, dichiarato in una recente intervista al quotidiano Shanghai Daily. La tendenza nei prossimi mesi, quindi, sarà quella di favorire l’organizzazione di eventi che facciano conoscere i prodotti italiani nel Dragone, anche attraverso missioni di settore in loco che diano riconoscibilità alle grandi, piccole e medie imprese italiane. Inoltre, si fornirà supporto alle aziende cinesi che, invece, vorranno investire in Italia.
Il crescente interesse dei cinesi per il Bel Paese e l’intenso interscambio commerciale tra le due realtà determinano, infatti, la necessità di operare sul territorio asiatico in modo più sistematico.
L’Italia, attualmente, è il terzo partner commerciale della Cina tra le nazioni europee, il quinto per investimenti diretti in loco e il terzo per importazione di tecnologia; mentre la Repubblica Popolare rappresenta per il nostro Paese il principale partner asiatico. Gli scambi commerciali, nel 2010, sono arrivati alla cifra di 45 miliardi di dollari, con un incremento del 44% rispetto al 2009.
Nell’area delle province di Shanghai Zhejiang, Jiangsu e Anhui sono presenti, al momento, circa 1000 aziende italiane, le cui attività di business si concentrano nei settori dei macchinari elettrici, della plastica, degli strumenti ottici, della moda, delle calzature e delle automobili. Saranno inizialmente proprio questi gli ambiti che verranno coinvolti nelle nuove iniziative promozionali.

martedì 22 febbraio 2011

Primi segnali di rallentamento del settore siderurgico cinese

Grazie alle misure intraprese dalla Cina per contrastare l'inflazione, si sta assistendo ad una frenata della produzione siderurgica cinese.

Il settore siderurgico cinese registra da anni un eccesso di capacità produttiva: nel 2010, infatti, l’acciaio prodotto dal Dragone è ammontato a 627 milioni di tonnellate, segnando una crescita del 9,3% ed un tasso di utilizzo degli impianti dell’82%. Per il 2011, invece, le stime prevedono una crescita del 5%, registrando quindi un lieve calo rispetto all’anno precedente, ma pur sempre con una quantità di acciaio prodotto pari a 660 milioni di tonnellate.
Tuttavia, le misure intraprese dal governo di Pechino per contrastare l’inflazione e moderare la crescita economica, sembrano aver frenato la produzione siderurgica nel mese di gennaio. Rispetto al 2010, infatti, il primo mese dell’anno ha registrato un aumento dello 0,5%, con 52,8 milioni di tonnellate di acciaio prodotte; inoltre, la quota di mercato si è ridotta fino al 44,2%, rispetto al 46,35 di dicembre. Tale calo segna la tendenza che si sta registrando anche in India, a fronte di una rivitalizzazione del comparto a livello mondiale, che ha visto un aumento del 5,3% in gennaio, grazie agli output di nazioni più colpite dalla crisi economica, quali Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e Paesi europei.
Il ridimensionamento e l’efficienza della produzione siderurgica sono tra gli obiettivi che le autorità cinesi si sono prefissate nell’ambito industriale; il miglioramento del processo produttivo, infatti, è stato ribadito anche nel dodicesimo piano quinquennale della Repubblica Popolare, in cui l’Associazione cinese dell’industria e dell’acciaio indica come priorità del settore lo sviluppo di ambiti quali l’alta velocità, l’ingegneria marittima ed il trasporto urbano su rotaie.

lunedì 21 febbraio 2011

La Cina annuncia le zone per l’estrazione pianificata di terre rare

Al fine di tutelare le risorse di terre rare e di salvaguardare l’ambiente, il Dragone annuncia la creazione di 11 zone per l’estrazione di terre rare. Tuttavia, la riduzione delle esportazioni cinesi spinge i Paesi occidentali a cercare nuove riserve in aree vicine.

La riduzione di riserve nell’ambito delle terre rare porta ad una nuova misura in Cina, primo produttore mondiale dei minerali preziosi: il Ministero della Terra e Risorse, infatti, ha annunciato la creazione di 11 zone per l’estrazione pianificata dei metalli di terre rare. L’insieme delle aree individuate occupa una superficie di 2.500 kmq e si stima possegga 760 mila tonnellate di riserve. La prima zona interessata a questo scopo sarà quella di Ganzhou, nello Jiangxi, a cui seguiranno altre due zone a Panzhihua, nello Sichuan, che rappresenteranno, quindi, le nuove frontiere per l’approvvigionamento nazionale e internazionale.
La decisione è stata presa anche in vista di una maggiore sostenibilità del processo di recupero delle terre rare; l’estrazione, infatti, ha conseguenze negative su foreste, terreni e suolo coltivabile. La tutela ambientale è una carta già giocata dalla Cina, che l’aveva usata come giustificazione nel momento in cui annunciò la stretta sulle esportazioni ai Paesi sviluppati. Le riduzione sull’export, comunque, non ha comportato cali nell’attività commerciale: tra gennaio e novembre 2010, infatti, le esportazioni dei minerali dal Dragone sono cresciute del 14,5% rispetto al 2009, con 35 mila tonnellate di metalli vendute.
Nonostante ciò, le limitazioni della Repubblica Popolare nell’estrazione e nel commercio di terre rare stanno costringendo le potenze mondiali, particolarmente bisognose di questi metalli, a ricercare altrove nuove fonti di approvvigionamento. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno individuato la Mongolia come interessante partner commerciale: il Paese, infatti, detiene il 16,77% di riserve mondiali e si colloca al secondo posto in qualità di produttore, dopo la Cina.

venerdì 18 febbraio 2011

Trasporto aereo: nuovi collegamenti tra Italia e Cina

Sarà la Cina il Paese dove il trasporto aereo crescerà maggiormente nei prossimi anni, motivo per cui aggiudicarsi le rotte tra l’Italia e il Dragone sta diventando una strategia vincente per le compagnie e uno spunto per lo sviluppo del turismo.

Secondo le previsioni della IATA (Associazione Internazionale del Trasporto Aereo), il settore del trasporto aereo vedrà una forte crescita nei prossimi anni, determinata dall’aumento di circa 800 milioni di passeggeri a livello mondiale, di cui 214 milioni solo in Cina. Nella Repubblica Popolare, infatti, i voli verso le principali metropoli hanno visto un incremento del traffico pari al 15% circa, sia per le rotte nazionali che intercontinentali. Per queste ragioni, aggiudicarsi i collegamenti diretti con il Paese asiatico diventa ora una priorità da non perdere.
Alitalia, proprio in questi giorni, ha annunciato l’avvio di due voli diretti che collegheranno Roma con Pechino e con Shanghai a partire dalla prossima estate. La novità è frutto di un accordo di partnership in codesharing tra la compagnia di bandiera italiana e China Eastern, una delle compagnie asiatiche più importanti. I voli avranno una frequenza di quattro volte a settimana e opereranno con Airbus A430 per la rotta Roma-Shanghai e con Airbus A330 per quella Roma-Pechino, entrambi con tre classi di viaggio.
Con tale iniziativa, Alitalia espanderà la propria presenza nell’Estremo Oriente, in cui è già attiva per i voli da e per il Giappone, mentre China Eastern inaugurerà i propri collegamenti con l’Italia. L’accordo, tra l’altro, prevede la possibilità di estendere il codesharing ad altre destinazioni italiane e cinesi e l’eventuale sviluppo di nuove forme di collaborazione nei settori dell’handling, della manutenzione, del cargo e dei servizi di fidelizzazione della clientela.
L’interesse per i collegamenti aerei tra Cina e Italia trova conferma, inoltre, anche in un’altra compagnia, la Cathay Pacific, che la scorsa settimana aveva annunciato l’inaugurazione di voli giornalieri tra Milano e Hong Kong. La corsa alle rotte tra i due Paesi sembra cominciata e probabilmente si estenderà ad altre compagnie italiane e straniere interessate ad investire in questa direzione. Inoltre, lo sviluppo del trasporto aereo avrà importanti ripercussioni anche sul flusso turistico tra le due mete.

giovedì 17 febbraio 2011

Riassetto dell’agricoltura mondiale: il connubio Africa-Cina

Il continente africano esporta da decenni petrolio e minerali preziosi verso la Cina, ma la situazione attuale dell’agricoltura cinese potrebbe estendere questi rapporti anche ai prodotti agricoli grazie a investimenti, tecnologia e finanziamenti.

Da sempre il Dragone ha puntato sull’autosufficienza alimentare, ma la siccità nel nord del Paese, le alluvioni e le nevicate record hanno messo in ginocchio la produzione agricola. In particolare la siccità, definita come la peggiore degli ultimi sessant’ anni, ha avuto delle forti ripercussioni sul raccolto del grano, tanto che, secondo le previsioni, Pechino sarà costretta ad importarne dall’estero circa tre milioni di tonnellate, contro l’1.2 milioni del 2010 e le 893.700 tonnellate del 2009. Un altro fattore scatenante è legato al diffuso inquinamento e alla drastica riduzione di terre coltivabili, impiegate per costruire nuove zone industriali e quartieri residenziali: nell’arco di 15 anni sono stati persi circa otto ettari di terre agricole, mentre l’Africa dispone di 733 milioni di ettari di terra agricola (sei volte più della Cina). La collaborazione tra la Cina e il continente africano potrebbe costituire un vantaggio per entrambi: il Sudafrica rappresenta già il secondo partner commerciale cinese dopo l’Angola e sul mercato cinese si possono già trovare olive provenienti dalla Tunisia, caffè dall’Uganda e sesamo proveniente dall’Etiopia. Se i prodotti agricoli hanno rappresentato solo il 3% delle importazioni cinesi dall’Africa negli ultimi anni, questo dato potrebbe aumentare vertiginosamente in relazione al contesto attuale.

mercoledì 16 febbraio 2011

Merce irregolare dalla Cina

La Cina primeggia nell’esportazione verso l’Europa di beni fuori norma; l’allarme proviene da due settori importanti per l’Italia: il distretto della piastrella e il comparto alimentare.

La Repubblica Popolare Cinese non detiene posizioni da leader solo nello sviluppo economico, ma anche nelle irregolarità delle merci. Negli ultimi mesi, infatti, si è potuto assistere ad un crescente allarmismo nel Vecchio Continente dovuto all’importazione dalla Cina di beni contraffatti e illegali.
Il primo segnale viene dal comparto italiano della piastrella, impegnato da tempo nella lotta alla contraffazione di articoli clonati provenienti dal distretto della ceramica cinese, a Dongguan. In questa zona, infatti, viene prodotta da colossi cinesi quali Dugres, Dongpeng e Marco Polo, tramite aziende satellite sotto altro nome, una piastrella clone di quella italiana brevettata a Fiorano Modenese. Gli articoli in ceramica Made in China utilizzano materiali contraffatti e applicano nomi ed etichette "italianeggianti" che traggono facilmente in inganno. Tale situazione rischia di compromettere il mercato e le dinamiche competitive delle imprese italiane ed europee; a questo proposito il Cet, associazione europea dei prodotti di ceramica, nel 2010 ha ottenuto l’apertura di un dossier antidumping sull’importazione di piastrelle cinesi.
Altro fronte su cui l’Europa si sta battendo nei confronti della Cina è il settore alimentare; nel 2010 la Repubblica Popolare ha ottenuto il primato per la produzione di beni alimentari contenenti sostanze illegali nella UE e tossiche, quali microtossine, additivi e coloranti. La Coldiretti, infatti, ha denunciato che il 13% dei prodotti irregolari importati è di origine cinese. Anche in questo caso il rischio è che, per contrastare il commercio cinese, nel settore si ricorra al ribasso, con conseguenze gravi per la sicurezza degli alimenti.
Questi segnali dimostrano come il Dragone, pur essendo la seconda potenza economica mondiale, non è ancora in grado di contrastare fenomeni illeciti che danneggiano le attività di import-export dei suoi partner commerciali. Ciò comporta che gli operatori che hanno a che fare con la Cina dovrebbero sempre tutelarsi e mantenere un rigido controllo sulle attività e le dinamiche nel Paese asiatico.

martedì 15 febbraio 2011

La Cina verso l’equilibrio economico

Il surplus commerciale della Cina registrato a gennaio 2011 risulta notevolmente ridimensionato rispetto ai mesi precedenti, grazie ad un forte aumento delle importazioni, segno che il Paese si sta avviando verso un maggior equilibrio economico e commerciale.

Con la conquista definitiva del secondo posto in qualità di economia mondiale, la Repubblica Popolare Cinese sembra ora assestare il proprio sviluppo. Il surplus commerciale del Dragone, infatti, ha registrato, a gennaio, il livello più basso degli ultimi mesi, vedendo un forte aumento delle importazioni (+51% annuale), con un valore pari a 144 miliardi di dollari. Le esportazioni, pur essendo aumentate del 37,7% su base annuale per un valore di 150 miliardi di dollari, hanno portato ad una diminuzione del disavanzo commerciale, che è passato così dai 13,1 ai 6,45 miliardi di dollari.
Nonostante tali dati siano distorti dalle festività cinesi, che hanno fatto diminuire le attività nel periodo del Capodanno cinese, la tendenza sembra comunque essere quella di un maggior equilibrio negli scambi internazionali. Infatti, anche il 2010 si era concluso con un ridimensionamento del surplus commerciale, attestatosi a 183 miliardi di dollari (13 miliardi in meno rispetto al 2009).
L’aumento delle importazioni è stato possibile grazie alla crescita dei consumi interni, ma anche degli acquisti di semilavorati e beni di investimento, nonché di materie prime. La riduzione delle riserve, infatti, ha portato la Cina ad importare maggiori quantità di soia (+26%), petrolio (+12%), rame (+25%) e minerale di ferro (+48%) rispetto all’anno scorso.
L’equilibrio economico cinese non solo permetterà al Paese asiatico di mantenere salda la propria posizione sullo scenario mondiale, e probabilmente a superare gli Stati Uniti entro il 2020 come dicono le stime, ma metterà il Dragone in buona luce all’imminente G20 di Parigi, in cui all’ordine del giorno sono previste le misure per prevenire gli squilibri economici mondiali.
Per gli operatori esteri interessati alla Repubblica Popolare, tale direzione è segno da un lato, di numerose opportunità per le attività di export in Cina e dall’altra, di una maggiore stabilità del Sistema Paese a vantaggio degli investimenti diretti.

lunedì 14 febbraio 2011

Cina e religione

Per anni la Cina si è dichiarata una nazione atea, ma una recente indagine rivela che la maggior parte dei cinesi ha una credenza religiosa o ha partecipato almeno una volta a una cerimonia sacra.

Dalla Rivoluzione Culturale in poi, le autorità cinesi hanno cercato di sopprimere qualsiasi forma di credo religioso nel Paese, anche attraverso la violenza e la persecuzione. Ai membri del Partito Comunista e della Lega Giovanile, infatti, è vietato professare una confessione religiosa e il governo rifiuta di accettare la presenza di numerosi credenti tra la sua popolazione, affermando che solo 100 milioni di persone non sarebbero atee.
Tuttavia, la realtà sembra essere diversa: secondo quanto emerso dall’Indagine sulla Vita Spirituale dei Cinesi, solo il 15% degli adulti sarebbero atei, mentre l’85% pratica una religione. Anche all’interno dello stesso Partito di Stato e della Lega Giovanile, il 17% dichiara di avere una fede e il 65% di aver partecipato ad una cerimonia spirituale. La religione più seguita in Cina è, secondo l’indagine, il Buddismo con il 18% di credenti (185 milioni di persone), di cui il 12% all’interno del Partito Comunista. Segue il Cristianesimo, con il 3,2% della popolazione (33 milioni di persone). Tra le altre confessioni, si trovano il tradizionale culto degli antenati, praticato ancora da 754 milioni di persone, e il feng shui, i cui precetti sono seguiti da 45 milioni di individui.
Tali risultati dimostrano come il Dragone sia ben lontano dal poter essere considerato uno Stato ateo e che, invece, sia una nazione ricca di tradizioni e spiritualità. Sebbene le autorità tenteranno ancora di rimuovere qualsiasi riferimento religioso, la tendenza del Paese verso una religiosità si rafforzerà nei prossimi anni, anche grazie all’influenza e ai contatti con l’Occidente, aprendo le porte a nuove prospettive e approcci.

venerdì 11 febbraio 2011

La ricerca e sviluppo della Cina verso energia e chimica

La Repubblica Popolare Cinese non frena il proprio attivismo nei settori che a livello globale mostrano maggiori potenzialità: energia e produzione chimica, in forte crescita in tutto il mondo, vedono, infatti, affermare la leadership cinese.

Nonostante la difficile situazione economica legata all’inflazione, la Cina dichiara che proseguirà con una serie di investimenti destinati a renderla leader nei settori più attuali della scienza, tecnologia e industria.
Secondo un recente documento del Ministero per la Scienza e la Tecnologia, infatti, il settore energetico sarà il campo in cui verranno concentrate le maggiori risorse nei prossimi cinque anni: nel piano quinquennale 2011-2015 sono già previsti dieci accordi energetici con gli Stati Uniti per un valore di 10 miliardi di dollari. L’obiettivo del Dragone è quello di sostituire l’energia del carbone con le fonti energetiche pulite, ivi per cui, nucleare, eolico e solare saranno gli ambiti che vedranno un certo sviluppo. Tuttavia, anche la ricerca di combustibili fossili tramite lo sfruttamento di nuovi giacimenti sarà tra le priorità della Cina: il Paese si sta già attivando nell’esplorazione marina intensiva per trovare petrolio, gas, metano e minerali nei fondali.
La direzione intrapresa dalla Repubblica Popolare non solo rappresenta una risposta alle nuove necessità globali, ma è una mossa indispensabile alla luce dell’enorme fabbisogno e consumo energetico del Paese, direttamente proporzionale alla crescita economica.
Oltre all’energia, comunque, la Cina si afferma anche nella produzione chimica, la cui quota è cresciuta notevolmente negli ultimi dieci anni, passando dal 5,8% al 22,2% attuale. L’industria chimica globale ha avuto uno sviluppo del 60% dal 1999 al 2009, dove, però, i Paesi occidentali hanno visto ridurre il proprio peso a fronte dell’aumento di quello di nazioni come Cina e India. In questo campo, per l’Europa, una delle soluzioni per risollevare il settore potrebbe essere l’apertura ad investimenti provenienti dalle economie emergenti, dato il loro dinamismo e potenzialità.

giovedì 10 febbraio 2011

La Cina alza il costo del denaro per contenere l’inflazione

Pechino continua a varare provvedimenti per ridurre il tasso di inflazione: nei giorni scorsi la People’s Bank of China ha alzato i tassi di interesse per la terza volta in 4 mesi.

L’inflazione in Cina continua a rappresentare una grande minaccia per l’economia nazionale: la forte domanda interna, i crediti bancari, che a gennaio sono arrivati a quota 1.200 miliardi di yuan, e la necessità di creare liquidità per far fronte alle ricche riserve di valuta straniera generano un aumento della moneta circolante nel Paese. Il risultato è che, per contenere il fenomeno inflattivo e diminuire la liquidità, la People’s Bank of China ha alzato, nei giorni scorsi, il costo del denaro di 25 punti base, portando così il cambio dello yuan sul dollaro ad un vero record da 17 anni e facendo salire i tassi di interesse sui depositi al 3% e i tassi bancari al 6,06%. Tali misure hanno fatto in modo che lo yuan, in un anno, venisse apprezzato del 3,84% sul dollaro, pur rimanendo sottostimato secondo le maggiori economie mondiali.
Tuttavia, il tasso di interesse in Cina è ancora relativamente basso rispetto ad altre economie emergenti: il tasso del Brasile è dell’11,25%, quello della Russia del 7,75%, mentre quello dell’India è del 6,5%. Ciò rende il Dragone attraente per gli investimenti esteri e vantaggioso per la produzione industriale, a fronte, però, dell’inflazione galoppante. L’indice inflattivo, infatti, potrebbe aumentare ancora nei prossimi mesi: si stima che i prezzi al consumo potrebbero alzarsi al 5,3% in marzo e nell’arco dell’anno arrivare al 6%.
Per ora, l’obiettivo del governo di Pechino è quello di contenere l’inflazione al 4% entro il 2011 e si prevede, quindi, che seguiranno nei prossimi mesi ulteriori misure di contenimento.

mercoledì 9 febbraio 2011

La siccità mette a rischio i raccolti cinesi

La siccità che sta colpendo la Repubblica Popolare Cinese ha messo in ginocchio le principali coltivazioni nazionali, con conseguente aumento dei prezzi dei beni alimentari. Se le condizioni meteo non miglioreranno ci saranno ripercussioni sul commercio a livello internazionale.

C’è preoccupazione in Cina per le gravi condizioni metereologiche che stanno colpendo il Paese: la siccità, infatti, sta mettendo a repentaglio i raccolti di grano, granturco e riso del Dragone, con conseguenze negative sui prezzi mondiali, che sono già cresciuti notevolmente. A dare l’allarme è stata, nei giorni scorsi, l’agenzia alimentare delle Nazioni Unite, il cui timore dichiarato ha già portato i prezzi del frumento al massimo da circa tre anni.
Le aree più colpite dal clima arido al momento sono: la zona intorno a Pechino, le province di Hebei, dello Shangdong, di Henan e Jiangsu. Si parla di circa 5,16 milioni di ettari di terreno agricolo a rischio, di cui circa 150 ettari di piantagioni di grano; inoltre, la siccità ha impedito l’accesso all’acqua potabile a 2,5 milioni di persone e a 2,8 milioni di animali. Le previsioni non sembrano, tra l’altro, promettere grandi cambiamenti: anche per i prossimi giorni non accenna a piovere e, se la situazione non evolverà, c’è il rischio di perdere circa 10 milioni di tonnellate di grano.
L’allarme siccità in Cina può avere ripercussioni a livello mondiale: la Repubblica Popolare, infatti, è il primo produttore di grano al mondo, e ciò l’ha resa finora autosufficiente per il fabbisogno alimentare interno. Se la penuria di cui si parla dovesse concretizzarsi in una carestia, il Paese sarebbe costretto a dare fondo alle proprie riserve, che però, al momento, potrebbero garantire il soddisfacimento solo di metà della domanda interna. Come già segnalato nei giorni scorsi, il Paese asiatico dovrà quindi aumentare le importazioni dall’estero dei beni alimentari, provocando un ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti. Se a ciò si aggiunge che gli altri due grandi produttori mondiali di grano, Russia e Australia, stanno vivendo condizioni meteo altrettanto critiche (siccità in Russia, inondazioni e ciclone in Australia), è facile immaginare le conseguenze per gli altri Paesi: i più sviluppati potranno ottenere i beni ad un prezzo maggiorato, mentre per i più poveri sarà sempre più difficile acquistarne.

martedì 8 febbraio 2011

La Cina è ancora il primo produttore mondiale di oro

Per il terzo anno consecutivo la Cina è il primo produttore di oro al mondo, seguita immediatamente dal Sudafrica, che perse il primato nel 2007.

Ancora record per la Repubblica Popolare cinese nella produzione aurifera; se nel 2009, infatti, aveva prodotto livelli storici di oro pari a 340,88 tonnellate, l’8,57% in più rispetto al 2008, nel 2010 si conferma per il terzo anno consecutivo il primo gold producer mondiale, secondo i dati forniti dalla China Gold Association.
La produzione cinese del metallo prezioso si concentra per il 60% nelle province dello Shandong, Henan, Jianxi, Yunnan e Fujian ed è principalmente nelle mani dei primi dieci produttori cinesi che detengono il 49,19% della produzione totale. Tale concentrazione è frutto di una misura governativa presa nel 2002 e volta a consolidare il settore, che aveva portato alla fusione dei 1.200 produttori di allora che si sono così ridotti ad appena 700 operatori.
Tuttavia, le enormi quantità prodotte non bastano a soddisfare la domanda interna del Paese asiatico, che detiene record anche per ciò che riguarda il consumo: il Dragone, infatti, sta vivendo da qualche anno una vera e propria corsa all’oro, incentivata anche dalla recente impennata dell’inflazione, per cui il metallo prezioso rappresenta uno strumento di stabilità economico-finanziaria per molti investitori. Per tali ragioni, la Cina è costretta ad importare oro anche dall’estero, come hanno dimostrato i dati relativi ai primi 10 mesi del 2010, quando l’import aurifero era stato pari a 209,72 tonnellate, sei volte i quantitativi del 2009.

lunedì 7 febbraio 2011

First Italy China Career Day

Il 16 febbraio a Milano si terrà la fiera del lavoro che promuoverà l’incontro tra le aziende italiane interessate al mercato cinese e i giovani cinesi immigrati di seconda generazione in Italia.

La Fondazione Italia-Cina, il cui obiettivo è la promozione dei rapporti e scambi commerciali tra le due economie, ha organizzato con Assolombardia e Associna la prima fiera italiana dedicata all’incontro tra grandi aziende italiane, dei settori dell’automotive e dell’alimentare, e giovani di madrelingua cinese. Infatti, in occasione dell’appuntamento, che si terrà a Milano il prossimo 16 febbraio, i rappresentanti delle imprese coinvolte potranno conoscere e valutare ragazzi di origine cinese, ma italiani di seconda generazione, da poter inserire nel proprio staff al fine di potenziare gli scambi commerciali con l’Asia. In questo modo si potranno sfruttare, da un lato la conoscenza della lingua cinese dei candidati, e dall’altro la loro dimestichezza con il guanxi, ovvero il sistema di relazioni fondamentale all’interno della società cinese e altrettanto importante per le contrattazioni.
I ragazzi che hanno già presentato i loro curricula per partecipare all’evento sono attualmente una sessantina e si tratta di giovani con un buon profilo: hanno frequentato l’università in Italia e sono in genere ben disposti a recarsi con frequenza, se non a trasferirsi, in città come Pechino e Shanghai per conto delle aziende italiane. La maggior parte di loro, infatti, pur essendo ben integrata nel nostro Paese, manifesta in età adulta il desiderio di ritornare alle origini e riprendere i contatti con la madrepatria.
Per le multinazionali italiane si tratta di una grande opportunità per la creazione di un legame solido con il Dragone, potendo fare affidamento su persone che conoscano bene i sistemi economici e culturali di entrambi i Paesi. In Italia, grazie alla massiccia immigrazione cinese degli ultimi anni, tra l’altro, si stima che possano esserci circa 50.000 potenziali candidati. D’altronde, l’idea di cooperazione e integrazione tra Italia e Cina è stata anche ribadita nei giorni scorsi dal nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha sottolineato come sia importante assumere una atteggiamento di apertura nei confronti della Repubblica Popolare, e imparare a conoscerla sia sul piano economico che politico oltre che culturale.

venerdì 4 febbraio 2011

Entro il 2020 la Cina rappresenterà la metà del mercato mondiale del lusso

Grazie alla crescita economica e la conseguente diffusione del benessere, nel giro di dieci anni la Cina potrebbe diventare una delle mete più ambite per il luxury e attirare così sempre più aziende occidentali del comparto che già realizzano ne Paese quote di fatturato significative.

Secondo un recente studio di CLSA Asia Pacific Markets, la Repubblica Popolare Cinese assorbirà, entro il 2020, la metà del mercato mondiale dei viaggi e del lusso, passando da una quota odierna nelle vendite del luxury del 15% ad una pari al 44%. I motivi che inducono ad elaborare tali previsioni sono molteplici: la Cina registra una crescita annua del 23% che la rende appetibile per piazzare i beni di fascia alta grazie al diffondersi della ricchezza; inoltre, con la progressiva occidentalizzazione che anche il Dragone sta sperimentando, la cultura locale si è ormai adeguata al consumismo. Ormai il numero di milionari cinesi continua ad aumentare: si stima che le persone che possiedono oltre 110 milioni di euro siano aumentati del 50% negli ultimi dieci anni, arrivando a 1.363 individui. A ciò vanno aggiunte le peculiarità della classe ricca cinese, che sono principalmente due: quella di avere un’età media inferiore di 15 anni rispetto al livello mondiale e il desiderio di ostentare il proprio benessere, fattore che porta ad accumulare beni di prestigio che identifichino lo status symbol.
Molte aziende occidentali del comparto luxury hanno già individuato le potenzialità del mercato cinese e sono presenti con quote rilevanti: Luis Vitton trova in Cina la maggior parte dei suoi clienti, mentre Bulgari realizza nel Paese asiatico il 14% del proprio fatturato e sulla stessa linea sono anche altri marchi noti come Gucci ed Hermès.
Tuttavia, il comparto del lusso non apre le porte solo ai marchi occidentali, ma si fa strada anche tra quelli tradizionali Made in China, benché dietro questi ci siano sempre collaborazioni e idee europee. Tra i brand emergenti nel settore si trovano: Shanghai Tang, operante nell’abbigliamento e sostenuta da Richemond; Shang Xia, per abiti e arredo e appartenente ad Hermès; Qeelin, griffe di gioielli metà francese e metà cinese.
Ciò dimostra come le opportunità nel settore lusso siano ricche e possano attirare numerosi operatori italiani del comparto che vogliano esportare il proprio brand o collaborare con aziende locali per lanciare un prodotto tradizionale e vicino alla cultura cinese.

giovedì 3 febbraio 2011

La Cina investe nella green economy

La Repubblica Popolare Cinese vuole ridurre la dipendenza dell’industria locale dal know-how straniero e per questo annuncia grandi investimenti in ricerca e sviluppo e tecnologie all’avanguardia.

Sarà green economy la parola d’ordine della Cina per i prossimi anni: il portavoce del Ministro dell’Industria e dell’Innovazione cinese, infatti, ha annunciato, nei giorni scorsi, che il governo finanzierà lo sviluppo di nuove tecnologie in ambito energetico e industriale. Fonti pulite, auto elettriche, tecnologia mobile di ultima generazione, semiconduttori e biotecnologie sono i progetti per cui verranno stanziati i maggiori investimenti, allo scopo di creare nuove occasioni di business.
A sostenere la politica cinese, si sono mosse anche le principali istituzioni internazionali: il 3 dicembre scorso, infatti, Pechino ha firmato il Climate Change Framework Loan II con la Banca Europea degli Investimenti; si tratta di un piano di finanziamento che impegna la Cina a ridurre le emissioni di CO2 e a sviluppare le energie pulite e per il quale ha, quindi, ottenuto un contributo di 500 milioni di euro.
Infatti, con l’implementazione della green economy, la Cina potrà incentivare l’attenzione per l’ambiente, grazie ad una nuova politica di risparmio energetico e alla moderazione dell’impatto dell’industria del carbone e sarà, inoltre, in grado di ridurre notevolmente la sua dipendenza dai Paesi esteri per il rifornimento di carburante e fonti energetiche.
Con questi obiettivi, in linea con la tendenza globale di promozione delle energie pulite, il Dragone spera di migliorare e consolidare i rapporti con i maggiori Paesi occidentali, soprattutto con gli Stati Uniti. Tuttavia, i sussidi governativi annunciati dalla Cina, non fanno che preoccupare ulteriormente Washington: gli USA, infatti, ritengono che le misure intraprese dal Paese asiatico, in particolare nel comparto eolico e fotovoltaico, violino gli accordi di libero commercio dell’Organizzazione mondiale del Commercio e che possano togliere opportunità di lavoro e di profitto alle aziende occidentali impegnate nello sviluppo di nuove tecnologie.

mercoledì 2 febbraio 2011

La Cina espande le importazioni di beni agricoli

Secondo la nuova politica espansiva della Cina, il Paese ha necessità di riequilibrare le riserve di prodotti agricoli di base e pertanto dovrà incrementare le importazioni di materie prime dall’estero.

Le pressioni inflazionistiche che interessano la Repubblica Popolare da qualche mese hanno avuto conseguenze sulle scorte nazionali di materie prime: molti prodotti agricoli, infatti, sono stati portati al ribasso per evitare qualsiasi forma di speculazione e ora i livelli delle riserve sono notevolmente ridotti. A ciò si aggiunge la grave siccità che sta mettendo a repentaglio circa sei milioni di ettari di campi di grano in molte regioni del Dragone.
La soluzione presentata dal Ministro del Commercio cinese, Chen Deming, per riportare le riserve a livelli normali, consiste nell’aumentare le importazioni di beni agricoli di base dall’estero. Già nel corso del 2009 e 2010 i volumi di import di grano avevano registrato incrementi da record, così come quelli di mais, soia, cotone e zucchero, fenomeno dovuto soprattutto alla domanda in continua crescita. Per il 2011, le autorità ritengono che le priorità assolute riguardino anche la carne e ancora una volta lo zucchero.
Nel corso del nuovo anno, quindi, la crescita dell’export cinese dovrebbe diminuire del 10%, mentre l’import dovrebbe superare le esportazioni; si tratta di una tendenza, comunque, già evidente nel 2010, quando le importazioni di merci straniere hanno raggiunto un livello storico con 141 miliardi di dollari, il 26% in più rispetto a dicembre 2009.
Intanto sul fronte dell’inflazione, non sembrano esserci segnali di cambiamento: il costo dell’imput a gennaio si è, infatti, attestato a 69,3 contro il 66,7 di dicembre.

martedì 1 febbraio 2011

Nuove misure contro il surriscaldamento del settore immobiliare cinese

Cresce ancora la bolla immobiliare cinese ed il governo interviene con nuove misure per frenare la speculazione: stop all’acquisto della seconda e terza casa anche nelle città minori e aumenta l’anticipo da versare alla compravendita.

Nel 2010 la Cina si è confermata per il secondo anno consecutivo il primo mercato immobiliare con il 34% delle compravendite globali di immobili. Tuttavia, il real estate cinese sta attraversando da mesi una fase di speculazione che preoccupa il governo e le autorità internazionali. I prezzi delle abitazioni, infatti, continuano ad alzarsi vertiginosamente: in oltre 70 città del Dragone sono aumentati di un quinto e si calcola che a Shanghai e in altre 11 metropoli il valore degli immobili sia sopravvalutato del 30-50%. La preoccupazione è giunta sino al forum economico mondiale di Davos, svoltosi la settimana scorsa, dove la bolla immobiliare cinese è stato uno dei temi principali del meeting.
Le contromisure per frenare questo fenomeno sono state molteplici già nei mesi scorsi e proprio in questi giorni il governo centrale ha varato nuovi provvedimenti. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del ministero per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano e Rurale, le restrizioni sulla seconda e terza casa, che già erano state applicate nelle principali città, ora vengono estese alle zone urbane di seconda e terza fascia. Queste sono, comunque, realtà di almeno un milione di abitanti e sono caratterizzate da una fiorente economia; si tratta di città come Qingdao (nello Shadong), e centri delle province dello Shaanxi e del Guanxi. Tale decisione è stata presa in quanto, con le disposizioni applicate nelle metropoli maggiori e nelle aree costiere, molti investitori del settore si sono spostati nelle zone centrali e occidentali del Paese, dove si prevede, di conseguenza, un aumento dei prezzi delle case tra il 10% e il 20%. In sostanza, i residenti non potranno acquistare la terza casa, mentre i non residenti non potranno comperare una seconda abitazione.
A ciò si aggiunge l’ultima serie di norme approvate dal Consiglio di Stato, che impongono un aumento dell’anticipo da versare sull’acquisto della casa pari al 60% (precedentemente si era arrivati al 50%). Saranno, inoltre, le amministrazioni locali, ora, a dover controllare la situazione del mercato e a fissare, entro il prossimo marzo, il limite massimo dei prezzi applicabili nell’edilizia popolare.