Le principali notizie e informazioni di natura economica, finanziaria, giuridica e politica relative alla Cina

venerdì 29 luglio 2011

Il vino italiano prova la strada verso la Cina

Negli ultimi anni il mercato cinese si sta aprendo anche al settore vitivinicolo, con interessanti opportunità di investimento per il Made in Italy. Quest’anno Enoteca Italiana ha, quindi, avviato un progetto pilota per diffondere le migliori etichette italiane nei ristoranti cinesi.

Il settore vitivinicolo, dopo un periodo di crisi, ha iniziato a registrare una buona ripresa dall’inizio di quest’anno, soprattutto nei nuovi mercati; in termini di valore, infatti, Cina e Russia hanno dimostrato di apprezzare maggiormente il vino, con una percentuale di crescita rispettivamente del 145% e del 69%. Anche per volume di vendita la Cina si colloca al primo posto (+218%), seguita da Russia (+123%), Canada (+50%) e Corea del Sud (+34%). Secondo le statistiche ufficiali, la Repubblica Popolare diventerà il sesto mercato al mondo per consumo di vino entro il 2014, con un aumento annuo del 19,6% nel giro di quattro anni.
I potenziali consumatori cinesi sono milioni, motivo per cui Enoteca Italiana, l’ente nazionale dei vini, ha appena avviato un progetto pilota che si svilupperà da luglio a dicembre di quest’anno a Shanghai. Si tratta di un programma di formazione e promozione delle migliori etichette italiane rivolto al mondo della ristorazione cinese. Inizialmente si partirà con i vini toscani, grazie al supporto della sede cinese di Enoteca italiana a Shanghai, Yishang, e di Toscana Promozione; si organizzeranno una serie di corsi di formazione rivolti a direttori, sommelier e chef dei migliori ristoranti di Shanghai per imparare ad abbinare il vino toscano alla cucina locale. In seguito, i ristoranti che aderiscono al progetto avranno a disposizione una lista dei vini per i clienti con le etichette toscane.
Se il programma di Enoteca Italiana avrà il successo sperato, si potrà poi estendere alle denominazioni di altre regioni italiane e si allargherà anche ad altre metropoli di seconda e terza fascia con un interessante sviluppo economico e tecnologico, quali: Chengdu, Dalian, Nanjing, Qingdao, Shenzhen, Suzhou, Tianjin.

giovedì 28 luglio 2011

Eni firma un Memorandum con Sinopec

Eni è interessata alle numerose opportunità energetiche della Cina e ha firmato due accordi d’intesa con PetroChina, in gennaio, e con Sinopec, ora. Gli investimenti più appetibili, secondo la società, sono nel campo dello shale gas.

Prosegue l’interesse di Eni per le opportunità di investimento in terra cinese. In gennaio, la società italiana aveva firmato un Memorandum of Understanding con PetroChina per una serie di attività e analisi sulle opportunità nel Dragone, ma anche fuori dal Paese asiatico, in particolare in Africa, dove si concentrano le maggiori risorse cinesi. Nei giorni scorsi un altro Memorandum d’intesa è stato siglato tra Eni e Sinopec, gigante energetico della Cina. L’accordo prevede l’analisi delle opportunità di collaborazione nel settore sia in Cina che al di fuori del Paese.
Ciò che emerge da queste collaborazioni è, da un lato l’interesse cinese per investimenti in terra africana attraverso la cooperazione con Eni e, dall’altro la volontà della società italiana di sfruttare le nuove opportunità dello shale gas. Questo, conosciuto anche come gas da scisti, è metano contenuto nei sedimenti di scisti dal costo altamente competitivo e, attualmente, rappresenta la miglior risorsa di gas per la Cina. Pur non necessitando di tecnologie complesse per l’estrazione, Eni è dotato del giusto know how per lavorare con lo shale gas, competenze acquisite grazie all’investimento Quicksilver in Texas. Con l’accordo appena firmato, quindi, Eni sarà in grado di individuare e studiare le aree adeguate per lo shale gas ed eventualmente scavare dei pozzi. In seguito, se la Repubblica Popolare dovesse mettere a disposizione le zone individuate, la società italiana potrebbe acquisire la proprietà del gas e diventare uno dei maggiori operatori del settore.

mercoledì 27 luglio 2011

La Cina apre il mercato delle emissioni

I media cinesi annunciano l’avvio di un progetto pilota per la riduzione di gas inquinanti attraverso un mercato di compravendita delle emissioni di CO2.

Il problema dell’inquinamento in Cina rimane serio e uno dei punti focali del programma governativo, motivo per cui diverse sono le iniziative intraprese da parte delle autorità. Per ridurre le emissioni di CO2 il Paese asiatico ha tracciato alcune linee guida che serviranno a fronteggiare, da un lato l’elevato tasso di inquinamento e, dall’altro la crescente urbanizzazione e il consumo energetico in aumento.
Tra le iniziative, il Dragone ha deciso di avviare un progetto pilota per la creazione di un mercato nazionale di compravendita delle emissioni di carbone. Il programma prevede l’introduzione di un tetto massimo di emissioni industriali e l’applicazione di tariffe punitive per le industrie che supereranno tali limiti. In sostanza, le aziende inquinanti e che dispendono maggior energia acquisteranno i diritti di emissione delle imprese più virtuose; a ciò verranno aggiunte anche nuove politiche in materia. Il progetto partirà inizialmente nelle principali città, che lo attueranno entro il 2013, dopodiché si estenderà al resto del Paese entro il 2015.
Con questa iniziativa la Repubblica Popolare potrà essere in grado di rispettare il proprio impegno che consiste nella riduzione tra il 40% e il 45% dei gas dannosi entro il 2020. Nonostante la Cina, come gli altri Paesi emergenti, non sia vincolata dal Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni entro il 2012, rimane una delle nazioni che più si impegna per contrastare il fenomeno.

martedì 26 luglio 2011

Le falle dell’alta velocità cinese

Le polemiche che accompagno il sistema ad alta velocità delle ferrovie cinesi hanno trovato riscontro nel tragico incidente lungo la tratta tra Hangzhou e Wenzhou. Ora le autorità impongono severi controlli sulla sicurezza dei treni.

Il sistema ad alta velocità delle ferrovie cinesi non riesce a decollare come previsto e colleziona una serie di note negative, culminate nell’incidente di sabato scorso lungo la tratta tra Hangzhou e Wenzhou. I treni superveloci cinesi, infatti, sono stati caratterizzati da ritardi, polemiche sulla sicurezza e fenomeni di corruzione. Il ministro delle Ferrovie cinesi, Liu Zhijun, è indagato per tangenti, contratti illegali e liaison sessuali; il suo ministero, che gestisce scuole, ospedali e telecomunicazioni, è tra le istituzioni più potenti del Paese e ha incassato negli ultimi tre anni ingenti fondi statali: nel 2009 ha ricevuto circa 87 miliardi di dollari per modernizzare le linee ferroviarie, ai quali si aggiungono i 370 miliardi di euro previsti con il piano quinquennale 2011-2015 per costruire altri 8.000 chilometri di linee ad alta velocità.
La tratta Pechino-Shanghai, inaugurata con un anticipo di due anni e mezzo il primo luglio scorso, sembrava aver battezzato la Cina come il Paese con la linea ferroviaria più efficiente al mondo, ma in realtà si è contraddistinta finora per guasti e problemi di vario tipo che hanno provocato enormi ritardi. Inoltre, la velocità con cui sono stati portati a termine i 1.500 chilometri che collegano le due metropoli ha fatto ricadere sospetti sulla gestione del progetto.
A completare il quadro delle ferrovie cinesi si è aggiunto sabato scorso il drammatico incidente che ha coinvolto due convogli sulla tratta Hangzhou-Wenzhou in località Shuangyu, nella Provincia di Zhejiang, causato da un fulmine. L’episodio ha provocato oltre 30 vittime, tra cui una ragazza italiana, e un centinaio di feriti. La tragedia ha scatenato una nuova serie di polemiche sui treni veloci della Repubblica Popolare e ha imposto alle autorità cinesi un controllo a tappeto sulla sicurezza del sistema ferroviario.

lunedì 25 luglio 2011

La Cina cerca aziende italiane per lo smaltimento dei rifiuti

Lo smaltimento dei rifiuti è uno dei settori con maggiori opportunità di business per le imprese italiane: la Cina inquina ma non ha il know how adeguato per riciclare e smaltire i metalli non ferrosi tossici.

Le aziende cinesi hanno bisogno di know how specializzato per smaltire le 1.200 tonnellate di metalli non ferrosi tossici, come rame, alluminio e piombo, che utilizzano per scopi industriali. Il Governo di Pechino, infatti, ha avviato un intenso programma per ridurre l’inquinamento provocato dalle fabbriche: entro il 2015 il 40% del rame e del piombo e il 30% dell’alluminio dovranno essere riciclati, mentre le industrie più inquinanti dovranno convertire gli impianti. Nel piano dell’esecutivo sono state individuate dieci zone a cui destinare i finanziamenti per sostenere le imprese, tra cui Zhejiang, Guangdong, Shandong, Tianjin e Jiangxi per il rame, Guangdong, Zhejiang, Chongqing, Shanghai e Henan per l’alluminio e Henan, Shandong, Jiangsu e Hubei per il piombo.
Tuttavia, le imprese cinesi non dispongono del know how necessario per smaltire correttamente i rifiuti tossici e hanno bisogno di impianti efficienti, come quelli costruiti dalle aziende italiane che dispongono di tecnologie adeguate. Un esempio è la Merloni Progetti, già attiva nel Dragone dove opera nel settore dello smaltimento delle batterie esauste grazie ad un contratto con la municipalità di Chongqing. Le opportunità di business in questo campo, quindi, sono enormi per le realtà tricolore; solo nel 2010 sono state smaltite 2 miliardi di tonnellate di rifiuti urbani, con una crescita dell’11% negli ultimi 5 anni. Lo stesso governo italiano ha attivato 200 progetti da 324 milioni di euro e il ministero dell’Ambiente ha in programma altri importanti investimenti per la sostenibilità ambientale in Cina.
Tra le strategie più adeguate per penetrare il mercato cinese in questo ambito si parla molto di consorzi; nei giorni scorsi Cmra (China non ferrous metal industry association) e Cobat (consorzio per lo smaltimento dei rifiuti industriali) hanno firmato a Roma un accordo quadro per l’avvio di una collaborazione di sistema. Il progetto prevede l’adesione delle aziende con il know how adeguato e una missione nei prossimi mesi per aderire al protocollo anche a Pechino.

venerdì 22 luglio 2011

Frattini in Cina: nuovi accordi tra Italia e Dragone

Terminata la missione di quattro giorni di Frattini nella Repubblica Popolare: si rafforza la diplomazia e la collaborazione economica tra i due Paesi .

Si è conclusa ieri, giovedì 21 luglio, la missione in Cina del Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini; Pechino, Shanghai e Canton sono state le tappe della visita diplomatica.
A Pechino, Frattini ha incontrato il direttore del Fondo sovrano cinese Cic (China Investment Corporation), Gao Xiqing, con il quale ha discusso di potenziali investimenti esteri e cinesi in Italia, in particolare per tre settori chiave: restauro di edifici pubblici di interesse storico, la piattaforma logistica in Alto Adriatico e alta velocità.
Dopo Pechino è stata la volta di Shanghai, dove il ministro italiano ha presentato il nuovo padiglione italiano post-expo che da marzo 2012 costituirà la vetrina permanente dell’Italia nella metropoli.
Molto proficua è stata la visita a Canton, nella Provincia del Guangdong, area ad alto sviluppo industriale tra le più redditizie della Repubblica Popolare. Qui è stata firmata con il segretario del Partito comunista locale, Wang Yang, una lettera d’intenti per una partnership tra Italia e Cina che coinvolgerà studenti e giovani manager per uno scambio formativo e professionale. Il nostro Paese, inoltre, ha proposto la decisione di esentare i visti per i passaporti diplomatici; non è escluso che tale iniziativa venga in futuro estesa anche ai passaporti di servizio per studenti, turisti e imprenditori al fine di favorirne la circolazione. La collaborazione economica nel Guangdong è una scelta strategica dettata dal fatto che l’area, oltre a essere tra le più produttive, è anche quella più aperta a riforme e dallo spirito internazionale.
Con questa missione l’Italia ha confermato l’importanza strategica della Cina nel mondo del business, evidenziando come questo sia un momento positivo per gli accordi bilaterali tra i due Paesi.

giovedì 21 luglio 2011

Made in Italy in Cina: le regole per non sbagliare

Non sempre investire in Cina è sinonimo di successo per le imprese italiane: è importante conoscere quali sono i rischi e le scelte più adeguate.

Nonostante la Cina rappresenti per il nostro Paese un partner fondamentale, le aziende italiane che vi approdano non sempre hanno avuto il successo sperato, registrando clamorosi fallimenti. Sulla base degli errori commessi da alcune imprese, anche molto note, le società di consulenza cercano in questo periodo di fornire consigli per non ricadere negli stessi tranelli.
Due sono gli errori più comuni che si commettono: Il primo consiste nel penetrare il mercato cinese con lo stesso approccio che si applica in Italia o in altri Paesi, senza capire che non tutti i prodotti o servizi possono essere adattati nel Dragone. La diversità culturale nei Paesi emergenti è fondamentale e anche nelle contrattazioni può fare la differenza: un classico esempio è la diversa concezione del tempo.
Il secondo errore, soprattutto negli ultimi tempi, è pensare ancora che la Cina sia un Paese low cost, dove produrre e commerciare costa poco; ormai la Repubblica Popolare non può più essere considerata in questo modo, basta pensare ai recenti aumenti di salari per la manodopera, all’elevata inflazione e agli aumenti dei costi anche delle materie prime.
Parlando di risorse umane, molti sono i passi falsi: spesso non ci sono i manager adeguati da spendere nel Paese asiatico e si mandano figure che lavorano in Italia, ma non specializzate per il mercato asiatico.
Per quanto riguarda il metodo di penetrazione del mercato, molte aziende si limitano ad esportare senza investire in progetti a lungo-medio termine in loco; inoltre, spesso ci si affida ad un unico partner locale, mentre sarebbe consigliabile cercare un controllo diretto tramite proprie filiali in più zone o stipulando accordi commerciali senza partecipazione societaria.
In termini finanziari, è utile conoscere a fondo la situazione fiscale del Paese, al fine di valutare correttamente il fabbisogno finanziario; in un territorio così vasto, poi, ogni distretto avrà un sistema differente. Analogo discorso vale per le questioni giuridiche: è importante monitorare non solo i cambiamenti normativi, piuttosto frequenti in Cina, ma anche le diversificazioni a livello locale. In questo campo, inoltre, è opportuno fare attenzione al metodo di applicazione delle leggi, spesso affidate alla libera interpretazione delle autorità. Regola fondamentale in Cina è poi quella di tutelare sin dall’inizio la proprietà intellettuale, visti i numerosi casi di contraffazione.
Infine, è sbagliato pensare che le opportunità della Repubblica Popolare si concentrino esclusivamente nelle grandi metropoli: negli ultimi anni sono sorti importanti distretti industriali anche nelle aree meno conosciute del Paese, zone dall’elevato valore di produttività e di business che andrebbero conosciute e sfruttate.

mercoledì 20 luglio 2011

L’economia cinese regge nonostante l’inflazione

Dati incoraggianti per l’economia cinese che, a fronte dell’inflazione galoppante, non manifesta evidenti segni di cedimento ma cresce del 9,5%.

L’inflazione in Cina non lascia tregua: i dati del National Bureau of Statistics confermano la salita dei prezzi al consumo, aumentati del 6,4% in giugno, con picco dei beni alimentari il cui costo è aumentato fino al 14,4%. Parallelamente, negli ultimi mesi, l’economia della Repubblica Popolare ha manifestato segnali di rallentamento: il mese scorso le importazioni sono cresciute in modo moderato (+19,3%) contro una risalita delle esportazioni (+17.9%); il calo dell’import si è verificato in seguito alla diminuzione della domanda interna ed è stato particolarmente evidente in alcune commodities, come greggio (-11.5%), alluminio, minerale di ferro. L’effetto è stato la dilatazione del surplus commerciale, che in giugno ha raggiunto la cifra di 22,7 miliardi di dollari (il dato più alto dallo scorso novembre).
Tuttavia, il sistema economico cinese regge ancora e, nonostante le pesanti misure varate dal Governo per contrastare il fenomeno inflattivo, stanno emergendo dati incoraggianti per il Dragone. Nel secondo trimestre del 2011, infatti, il Paese è cresciuto del 9,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; il PIL trimestre su trimestre è salito del 2,2%, con lieve aumento rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Anche la produzione industriale ha registrato una ripresa: in giugno l’incremento annuo è stato del 15,1%, il migliore risultato degli ultimi 13 mesi, mentre nel primo semestre la produzione è cresciuta del 14,3%. Dati positivi per i primi sei mesi del 2011 ci sono anche per gli investimenti nominali fissi nelle aree urbane (+25,6%) e le vendite al dettaglio (+16,8% e +17,7% a giugno).
Tutto ciò fa pensare che, nonostante il rallentamento, l’economia della Cina possa reggere anche in situazioni critiche come quella in cui sta versando attualmente; inoltre, se come sostengono molti economisti l’inflazione si attenuerà a fine estate, potrà dimostrare ancora una discreta ripresa prima della fine dell’anno.

martedì 19 luglio 2011

Industrie tessili in Cina avvelenano il Fiume Azzurro

Due importanti fornitori di brand occidentali, impiegati nel comparto tessile, sono accusati da Greenpeace di scaricare nel Fiume Azzurro e nel Fiume delle Perle sostanze altamente inquinanti e dannose per l’uomo.

Greenpeace ha pubblicato recentemente un rapporto dal titolo “Dirty Laundry: Unravelling the corporate connections to industrial water pollution in China” in cui lancia l’allarme inquinamento provocato da alcune industrie del tessile cinesi. Secondo le indagini dell’organizzazione ambientalista, che si sono protratte per oltre un anno, il Textile Complex di Youngor e il Well Dying Factory Ltd di Hong Kong scaricherebbero sostanze velenose in due importanti fiumi del Paese, il Fiume Azzurro e il Fiume delle Perle. Le analisi, infatti, hanno rilevato la presenza di agenti chimici, quali alchilfenoli e composti perfluorurati, che in Occidente sono proibiti. Assieme a queste, inoltre, sono stati riscontrati metalli, come cromo, rame e nichel, e composti organici, tra cui cloroformio e tertracloroetano. Tutti questi contaminanti, oltre a danneggiare l’ecosistema, provocano seri danni alla salute dell’uomo, come l’alterazione del sistema ormonale. L’allarme è ancora più grave se si considera che questi due corsi d’acqua attraversano gran parte della Cina e solo il Fiume Azzurro fornisce acqua potabile a oltre 20 milioni di abitanti.
L’accusa di Greenpeace è rivolta a due importanti fornitori cinesi delle principali multinazionali di marchi sportivi e di abbigliamento, tra cui Nike, Adidas, puma, Converse, Calvin Klein, Lacoste e Abercrombie & Fitch. Queste aziende risultano a norma in Europa e negli USA per ciò che riguarda l’utilizzo di composti tossici, ma sembra non si facciano carico dell’uso che ne viene fatto in alcuni Paesi di produzione dove i limiti non sono vincolanti, come appunto la Repubblica Popolare.
Per questo Greenpeace ha invitato, in occasione del rapporto citato, i grandi brand occidentali a imporre l’eliminazione di sostanze inquinanti negli stabilimenti cinesi; tuttavia, finora la reazione delle multinazionali coinvolte non è stata positiva: alcune delle aziende hanno negato che si faccia utilizzo di principi tossici tra i loro sussidiari e si sono dimostrate poco collaborative.
L’episodio in questione è solo uno dei tanti che si possono riscontrare in Cina, così come in altri Paesi emergenti dove le produzioni occidentali si sono imposte negli ultimi decenni. Ciò dimostra che per svariate multinazionali la presenza in alcune aree del mondo è anche motivata dal maggior livello di tolleranza e dai minori vincoli, tanto in ambito lavorativo che ambientale.

lunedì 18 luglio 2011

Missione strategica italiana in Cina

Il Ministro degli Esteri Franco Frattini sarà in Cina dal 18 al 21 luglio per rafforzare i rapporti economici, politici e strategici tra Italia e Dragone.

Il Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, si trova in Cina per un missione economico-politica che si svolgerà dal 18 al 21 luglio. La visita ufficiale punta al potenziamento delle relazione sino-italiane, non solo nel campo economico, in cui già si sono avviate importanti collaborazioni in diversi settori, ma anche in ambito politico e strategico. L’Italia ritiene che il partenariato con il Dragone sia di importanza fondamentale, dato che dal punto di vista commerciale il nostro Paese è il quindicesimo partner della Repubblica Popolare e in Europa è il quarto, dopo Germania, Gran Bretagna e Olanda. I due Paesi, inoltre, hanno avviato un piano triennale per raddoppiare l’interscambio che nel 2011 è di 45 miliardi di dollari.
La missione attuale è volta a sviluppare alcune tematiche di grande interesse, tra cui i timori legati al debito sovrano; in questo caso l’Italia punta a rafforzare la cooperazione con l’Unione Europea per arginare la crisi, in quanto la Banca Centrale cinese detiene circa il 13% del debito pubblico italiano, oltre al fatto che il 70% delle riserve valutarie cinesi sono estere e ¼ i queste sono in euro. La Cina è molto interessata all’euro per la diversificazione del proprio portafoglio e, di conseguenza, auspica la stabilità della moneta europea.
Altro punto su cui verterà la visita di Frattini riguarderà le questioni internazionali del momento, quali la crisi libica, il G20, il cambiamento climatico e il consiglio di sicurezza. Si discuterà, inoltre, della qualifica della Cina come economia di mercato, riconoscimento che dovrebbe scattare nel 2016 ma che Pechino vorrebbe anticipare, e la fine dell’embargo sulle armi. Appuntamenti fondamentali della missione saranno l’incontro tra Frattini e il vicepremier Li Keqiang, che dal 2013 potrebbe essere il nuovo premier cinese, l’intervento del ministro italiano alla scuola centrale di partito e l’incontro con Gao Xiqing, vicepresidente del fondo sovrano cinese, China Investment Cooperation.
Non mancheranno temi legati ai diritti umani, anche se inquadrati in un’ottica più amplia che non analizzerà singoli casi ma dovrebbe servire ad avvicinare le due culture.
Intanto, questa mattina sono già state firmate due intese con il capo della segreteria tecnica del ministro Sacconi, Lorenzo Malagola, in occasione della riunione del comitato intergovernativo Italia-Cina, istituito nel 2004. Gli accordi riguardano il sistema di welfare: la salute e la sicurezza sul lavoro, la protezione sociale e previdenziale, la riqualificazione professionale e della riabilitazione, la regolamentazione delle migrazioni per lavoro, la tutela dei disabili, degli anziani e dei non autosufficienti.

venerdì 15 luglio 2011

Moody’s tiene sotto controllo 60 società cinesi

Moody’s ha pubblicato un dossier in cui segnala che 60 società cinesi, operanti in diversi settori, presenterebbero forti rischi sulla governance e il bilancio.

Per venire incontro alle preoccupazioni di molti imprenditori nazionali ed esteri, l’agenzia di rating internazionale Moody’s, dopo aver segnalato il rischio delle banche cinesi, ora punta il dito verso alcune compagnie del Dragone. Si tratta di un gruppo di società quotate su listini internazionali di Cina, USA e UE, sulle quali Moody’s ha pubblicato un dossier in cui annuncia di averle messe sotto stretto controllo.
Queste compagnie sarebbero, infatti, a forte rischio in merito alla governance e al bilancio; in particolare, si riscontrerebbero fragilità nella governance, modelli di business poco trasparenti, cash flow di scarsa qualità, timori sulla revisione dei conti e strategie poco orientate al medio-lungo termine. I settori in cui operano le società coinvolte sono, per la maggior parte, il real estate, seguito dal campo delle energie rinnovabili. Tuttora molti analisti di mercato, tra cui la statunitense SEC, stanno valutando l’affidabilità finanziaria di tutte le compagnie cinesi quotate in borsa, al fine di rassicurare gli operatori internazionali e mettere a nudo il proprio metodo di approccio.
In questi ultimi giorni l’agenzia di rating sta monitorando con attenzione il mercato cinese, vista anche la delicata congiuntura economica della Repubblica Popolare. Solo qualche settimana fa, infatti, si era espressa negativamente sull’Outlook delle banche cinesi, coinvolte in operazioni di finanziamenti opachi che avevano portato all’indebitamento delle amministrazioni locali.
Per quanto riguarda le 60 società coinvolte in quest’ultimo dossier, Moody’s fa sapere che non ci sarà, almeno per ora, un abbassamento del rating, ma semplicemente una segnalazione attraverso l’assegnazione di bandiere rosse.

giovedì 14 luglio 2011

Mobili cinesi venduti come Made in Italy

Da Vinci, distributore di mobili dall’estero nella Repubblica Popolare, è ora sotto inchiesta per aver venduto pezzi spacciati per italiani al 100% ma che in realtà erano fabbricati in Cina.

In Cina, una truffa ai danni dei consumatori nel settore del mobile di lusso ha dimostrato come le aziende italiane corrano ancora forti rischi nel Paese asiatico a causa delle contraffazioni. La vicenda riguarda il mobilificio “Da Vinci Forniture Co Ltd”, fabbricante di Pechino e distributore di mobili provenienti dall’estero, anche italiani, in tutto il Dragone tramite una propria rete di negozi. Da Vinci è ora sotto inchiesta, dopo che è stato accusato da alcuni clienti di vendere arredi italiani a prezzi molto elevati, ma di pessima qualità; alcuni mobili dichiarati in legno massello si sono rivelati in compensato, la vernice di altri ha iniziato d emanare fastidiosi odori.
In realtà i pezzi erano prodotti nei laboratori di Dongguan, nel Guangdong, a Shenzhen e in altre zone dell’Asia, che poi venivano esportati in Italia e da lì re-importati in Cina e spacciati per autentici mobili Made in Italy. Il traffico è durato per molto tempo, grazie anche alla buona reputazione che il mobilificio si era costruito in questi anni con la sua attività e pubblicizzando il proprio spazio espositivo come “negozio dell’amicizia”, simbolo di unione tra anima italiana e cinese.
Tuttavia, l’aspetto positivo che può rassicurare le nostre imprese è dato dal forte connubio che i consumatori cinesi riconoscono tra marchio italiano e qualità del prodotto e per il quale sono disposti a spendere. Proprio la mancanza di qualità, infatti, ha fatto scattare il sospetto che i mobili Da Vinci non fossero effettivamente italiani e ha fatto in modo che un tale episodio di falsificazione venisse alla luce per la prima volta.

mercoledì 13 luglio 2011

Fiat lancia la 500 anche in Cina

Il Gruppo Fiat ritorna in Cina con il modello che più la rappresenta: la Fiat 500. La vettura sarà presentata sul mercato a settembre ma l’azienda torinese ha lanciato, nel frattempo, un’edizione speciale in versione limitata.

E’ stata presentata nei giorni scorsi a Shanghai la nuova Fiat 500 destinata al mercato cinese, con la quale l’azienda torinese intende farsi strada nel Dragone per promuovere il marchio. Si tratta della “First Edition”, una versione limitata a soli 100 veicoli che è stata creata in vista del lancio ufficiale della 500 in Cina, previsto per il 15 settembre prossimo. La vettura Limited Edition è legata, infatti, ad un’iniziativa promozionale che prevede l’estrazione di alcuni fortunati, tra chi ordinerà una 500 entro il 12 luglio, che potranno sostituire l’auto acquistata con la sfiziosa “First Edition”. L’auto è disponibile esclusivamente in bianco perlato tristato, con interni in pelle rossa e alcuni motivi grafici realizzati da 5 giovani designer cinesi.
La 500 per la Repubblica Popolare è stata realizzata dal gruppo Fiat-Chrysler assieme al partner cinese GAC (Guangzhou Automobile Group). La vettura che verrà commercializzata dall’autunno è stata progettata sulla base della 500 Lounge ed è prodotta in Messico, a Toluca; avrà un prezzo a partire da 190.000 yuan e offrirà tre tipi di allestimenti (Pop, Sport e Lounge), 12 colori esterni, 9 combinazioni di colori per i sedili e 2 per gli interni. Sono previste, inoltre, numerose altre versioni speciali, tra cui il modello convertibile 500 c e la lussuosa 500 by Gucci.
Il ritorno di Fiat in Cina segna la fine di tre anni di assenza dal Dragone del marchio italiano, giustificati dal flop della partnership con Nanjing nel 2007. Oggi il Gruppo si sente più solido, grazie anche all’alleanza con Chrysler e alle innovazioni sviluppate negli ultimi anni nell’ambito della tecnologia verde (gamma Natural Power e motori TwinAir). Dopo la 500, Fiat lancerà sul mercato cinese una nuova berlina progettata con GAC esclusivamente per la Repubblica Popolare, che verrà commercializzata nel 2012 e prodotta nello stabilimento di Changsha.

martedì 12 luglio 2011

Nestlé si espande in Cina

Nestlé vuole aprirsi la strada verso il mercato cinese ed ha avviato negoziati per l’acquisto della quota maggioritaria di Hsu fu Chi, azienda dolciaria locale.

Nestlé, azienda leader mondiale nel settore dell’agroalimentare, ha avviato una fase di espansione in Cina, Paese che negli ultimi anni ha visto aumentare la domanda di prodotti dolciari. La conquista del mercato cinese è iniziata con l’avvio dei negoziati per l’acquisizione del 60% della compagnia cinese Hsu Fu Chi, una delle maggiori aziende locali del comparto, fondata nel 1992 a Dongguan, nel Guangdong, e oggi quotata sulla piazza di Singapore. Per l’acquisto della quota maggioritaria, il colosso svizzero comprerà il 16,48% delle azioni dalla compagnia cinese ed il restante 43,52% dagli azionisti di Baring Private Equity e Arisaig, per un’offerta totale pari a 1,2 miliardi di euro, ovvero 4,35 dollari di Singapore ad azione.
La Hsu fu Chi manterrebbe comunque il 40% restante e il fondatore taiwanese Hsu Chen rimarrebbe nel consiglio di amministrazione della joint-venture. Infatti, l’azienda svizzera vuole sfruttare la popolarità del brand cinese nel Dragone ed espandersi attraverso la catena di distribuzione della stessa. Inoltre, Nestlé assicura che non porterebbe alcun tipo di cambiamento interno, ma anzi, secondo l’accordo, aggiungerà quattro nuove fabbriche e creerà16.000 nuovi posti di lavoro.
L’obiettivo dell’azienda svizzera è quello di ampliare il proprio portafoglio di brand sia locali che internazionali.
Tuttavia, l’accordo non è ancora definitivo e serviranno ancora dai tre ai cinque mesi per avere la conferma. Servono, infatti, l’approvazione del Ministero del Commercio cinese e quello della Corte delle isole Cayman, oltre che degli azionisti di Hsu Fu Chi. Non sussistono in realtà grandi difficoltà, in quanto il mercato di riferimento è un mercato di nicchia e la compagnia coinvolta è taiwanese.
Se andrà a buon fine, l’avventura di Nestlé potrebbe essere di ispirazione anche a marchi italiani del settore che vogliano espandersi nei mercati emergenti come quello cinese.

lunedì 11 luglio 2011

Inflazione al 6,4% in giugno: per il governo la lotta è la priorità

Non si placa il fenomeno inflattivo cinese: il tasso ha stabilito un nuovo record arrivando al 6,4%, il più elevato negli ultimi tre anni.

Anche il mese di giugno 2011 è stato caratterizzato dalla continua ascesa dell’inflazione cinese che ha toccato un nuovo record negativo, attestandosi al 6,4% in più rispetto allo stesso periodo del 2010, il più alto degli ultimi tre anni. L’impennata dei prezzi sta colpendo maggiormente i generi alimentari di prima necessità; tra questi, la carne di maiale, uno dei principali alimenti della cucina cinese, che ha visto alzare i prezzi del 57,1% rispetto al giugno dell’anno scorso, favorendo gli agricoltori da un lato, ma minacciando i consumatori dall’altro. I costi di riso e soia, inoltre, sono saliti a causa delle frequenti inondazioni dei mesi precedenti.
Questo nuovo aumento del costo della vita potrebbe avere delle ripercussioni sociali che preoccupano non poco le autorità cinesi. Perciò, il governo ha messo come priorità assoluta la riduzione del fenomeno inflattivo, nonostante diverse misure siano già state intraprese negli ultimi mesi, senza però risultati concreti. Dall’inizio dell’anno, infatti, i tassi di interesse sono stati alzati ben tre volte e numerosi sono stati i freni ai crediti bancari. Anche il premier cinese Wen Jiabao, ha ribadito, attraverso un recente comunicato, che la politica macroeconomica del Paese deve avere come obiettivo principale la stabilità dei prezzi.
L’inflazione che sta colpendo il Dragone è per molti economisti un chiaro segno della debolezza dell’economia nazionale: il fenomeno nasce come reazione al rallentamento della crescita, per non ricorrere ad un irrigidimento della politica monetaria. Attualmente, oltre ai generi alimentari, sono anche altri i settori colpiti e, se non si troverà un piano adeguato, probabilmente il fenomeno si estenderà a molti altri ambiti. Tuttavia, secondo alcuni analisti una speranza c’è: nella seconda parte del 2011, infatti, l’inflazione potrebbe scendere con la diminuzione del costo del petrolio.

venerdì 8 luglio 2011

WTO: discriminatorie le restrizioni sull’export della Cina

La WTO condanna le misure restrittive sull’export di minerali applicate dalla Cina, dichiarandole discriminatorie e contro i principi del libero mercato.

Martedì scorso la WTO si è pronunciata sulla disputa tra USA, UE e Messico da un alto, e la Cina dall’altro, in merito alle restrizioni applicate dal Dragone sulle esportazioni di materie prime. Il report dell’Organizzazione giudica discriminatorio l’atteggiamento della Repubblica Popolare e incompatibili alle regole della WTO le restrizioni applicate.
La controversia era cominciata nel 2009, dopo che il Paese asiatico aveva diminuito le quote sull’export di alcuni minerali utilizzati dalle industrie chimiche e siderurgiche, come manganese, silicio, molibdeno e tungsteno; tale comportamento aveva avuto come conseguenza una riduzione delle forniture mondiali delle materie prime in questione e un loro aumento di prezzi, svantaggiando le industrie del settore e i Paesi che non dispongono di questi minerali.
La Cina si è sempre difesa, sostenendo che si trattava di una misura presa per ridurre l’impatto ambientale: difatti, l’estrazione di terre rare e la loro lavorazione producono sostanze tossiche che aumentano l’inquinamento. Tuttavia, le indagini della WTO hanno riscontrato che a fronte di questo provvedimento non vi era poi una diminuzione dei consumi interni cinesi. Ora l’Organizzazione chiede alla Repubblica Popolare di adeguare il regime di esportazioni alle norme del commercio internazionale basate sul libero mercato, permettendo il libero accesso ai minerali terre rare.
La reazione della Cina, pur se non ancora ufficiale, non sembra finora positiva: il quotidiano del Partito Comunista Cinese sostiene che il Paese non abbia violato nessuna regola internazionale, mentre l’agenzia Xinhua accusa l’influenza di altre nazioni sul verdetto della WTO. I funzionari cinesi, intanto, pare che presenteranno appello. Secondo il ministero della Terra e delle Risorse, il governo di Pechino avrebbe innalzato il tetto massimo di esportazioni tra il 2010 e il 2011 del 5%, portandolo a 93.800 tonnellate.
Comunque sia, la repubblica Popolare non gode di buoni rapporti con la WTO sin dal suo ingresso nel 2001: negli ultimi cinque anni, infatti, il Paese asiatico è stato coinvolto in 26 degli 84 casi di disputa presentati dall’Organizzazione internazionale.

giovedì 7 luglio 2011

Per Moody’s l’outlook delle banche cinesi è a rischio

L’agenzia Moody’s minaccia di far diventare negativo l’outlook sul credito delle banche cinesi a causa di operazioni di prestito poco chiare.

La situazione dei governi locali in Cina è alquanto delicata, soprattutto per ciò che riguarda i prestiti a loro concessi. Secondo l’agenzia di rating Moody’s, infatti, le banche cinesi avrebbero fatto prestiti alle amministrazioni periferiche per somme pari a 3.500 miliardi di yuan (540 milioni di euro), oltre ai 10.700 miliardi (1.141 euro) dichiarati dal rapporto dell’Ufficio Nazionale Revisore dei Conti. Molte delle operazioni legate a questi prestiti, però, risultano poco trasparenti e la stessa agenzia di rating ha segnalato che ci sono delle discrepanze tra ciò che dichiarano i revisori dei conti e le informazioni che provengono dalle authority bancarie. Per questo, Moody’s ha minacciato le banche cinesi di declassare l’Outlook sul credito facendolo diventare negativo.
In realtà, l’indebitamento delle amministrazioni locali è una situazione sotto controllo già da tempo, a causa della nascita delle agenzie semipubbliche L.I.C. (Local Investment Companies) e LGFP (Local Government Financing Platfrom) che chiedono finanziamenti alle banche per conto dei governi periferici offrendo come garanzia la terra e ottenendo così danaro per progetti in infrastrutture e nell’immobiliare. Esistono 6.500 agenzie di questo tipo in tutta la Cina e molto spesso sono gestite da personaggi vicini alla politica locale la cui attività non è sempre regolare. Il risultato è che si può stimare una percentuale dei crediti in sofferenza compresa tra l’8 e il 12%.
Per evitare il declassamento dell’Outlook la Repubblica Popolare dovrà, quindi, realizzare un piano per risanare i debiti dei governi locali e fare chiarezza sulle modalità di prestito alle amministrazioni da parte delle banche.

mercoledì 6 luglio 2011

Le due ruote conquistano la Cina

Con il recente successo del salone delle due ruote in Cina, i motocicli si preparano al mercato cinese; Piaggio intanto ha messo a disposizione della polizia di Chongqing l’Aprilia Mana 850.

Concluso da pochi giorni il salone delle due ruote EICMA CHINA a Pechino, in collaborazione con Ancma (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo e Accessori), la società Genertec e la CCCMA (China Chamber of Commerce for Motorcycles), i risultati sono più che positivi per il comparto del motociclo. Se fino a qualche tempo fa la moto era vista come un mezzo per le classi sociali più basse, ora è ambita da gran parte della popolazione per divincolarsi con facilità nelle metropoli asiatiche. Per questo, al salone erano presenti molti marchi italiani, tra cui: Ducati, Aprilia, MV Agusta, Garelli, Piaggio, Momo design, Givi, Giannetti Ruote e Italspares.
Piaggio conferma l’andamento positivo del settore in Cina, tanto che ha avviato nella Repubblica Popolare la produzione del nuovo Scarabeo 125 e 200 cc, con controlli tecnici effettuati in loco, pur secondo gli standard europei. La vera rivoluzione, però, è legata alla sua nuova collaborazione con la polizia di Chongqing, a cui ha fornito 30 motociclette Aprilia Mana 850 che saranno in dotazione del corpo. Il debutto di questa due ruote è stato in occasione della scorta dell’ex Segretario di Stato Americano, nonché Premio Nobel per la Pace, Henry Kissinger, in Cina per celebrare i quarant’anni dalla sua prima visita nel Dragone. La moto è dotata del nuovo cambio automatico SportGear e si adatta perfettamente all’ambiente urbano e metropolitano del capoluogo. Inoltre, la versione cinese è stata modificata sulle esigenze della polizia locale.
Piaggio è riuscita ad aggiudicarsi questa importante collaborazione grazie alla sua presenza ormai consolidata in Cina tramite la joint-venture Piaggio Zongshen Foshan Motorcycle Co.Ltd, di cui Piaggio detiene una quota del 45% assieme alla cinese Zongshen, e il restante 10% è della Municipalità di Foshan, nel Guangdong.

martedì 5 luglio 2011

Anche il terziario è in crisi

Si concretizzano i segnali di un indebolimento dell’economia cinese: dopo il settore manifatturiero, anche il terziario è in discesa.

Continua il rallentamento dell’economia cinese, i cui dati non sono confortanti: qualche settimana fa il Purchasing Manger Index del settore manifatturiero aveva registrato un calo dell’1,1%, attestandosi ai 50,1 punti secondo la società HSBC (su 430 imprese) e ai 50,9 punti secondo la China Federation of Logistics (su 820 società di 28 settori differenti).
Ora lo stesso segnale viene dal terziario, che ha raggiunto i peggiori risultati degli ultimi 4 mesi: il Purchasing Manager Index del non manifatturiero, elaborato su imprese dei settori immobiliare, dei trasporti, della distribuzione, della ristorazione e dei software è passato dai 61,9 punti del mese scorso ai 57 attuali.
Chi è maggiormente esposto a questi cali sono soprattutto le piccole imprese locali, strettamente legate alla stabilità economica del Paese. Per questo, il vice premier Wang Qishang ha chiesto alle banche cinesi di incrementare i finanziamenti alle piccole realtà , incoraggiando la nascita di istituti di microcredito. In particolare, il settore maggiormente colpito sarebbe quello immobiliare e le industrie ad esso connesse (come il cemento e l’acciaio), motivo per cui secondo Wang, il governo dovrebbe incentivare gli investimenti in abitazioni a prezzi accessibili; entro la fine del 2011, infatti, dovrebbero realizzarsi 10.000 case a prezzi popolari e nei prossimi 5 anni arrivare a quota 36 milioni di nuclei.
A completare la difficile situazione c’è ancora l’inflazione che, secondo il China Securities Journal, entro la fine del mese aumenterà del 6% anno su anno.

lunedì 4 luglio 2011

Più spazio alle joint-venture in Cina

Tra i diversi strumenti che si presentano oggi agli operatori stranieri interessati alla Cina, la joint-venture è tra le strategie più indicate, sia in termini di vantaggi che di riduzione dei rischi per entrambi i partner.

Investire in Cina oggi significa avviare una presenza complessa e articolata sul mercato, che si allontana sempre più dalla semplice delocalizzazione a basso costo, con cui i primi stranieri si affacciarono al Paese asiatico vent’anni fa. Oggi che l’obiettivo principale è produrre in loco per il mercato locale, o comunque vendere un prodotto di qualità realizzato all’estero, sono diverse le strategie che si presentano dinnanzi agli operatori esteri.
Tuttavia, la tendenza verso cui ci si sta orientando attualmente è quella della diminuzione delle acquisizioni per puntare maggiormente sulle joint-venture. Le prime, infatti, sono in netto calo tra le aziende europee, in quanto le imprese cinesi sono iper valutate, tanto da tenere lontane perfino le banche, e comunque non sempre in vendita da parte degli imprenditori che in pochi anni hanno avuto successo partendo da zero.
La soluzione migliore è quella, quindi, di creare una società terza per perseguire un progetto definito che porti vantaggi ad entrambi i contraenti. Da un lato, le aziende straniere hanno bisogno della produttività, e in qualche caso della liquidità delle imprese cinesi, e dall’altro, i cinesi vogliono il know-how e la qualità delle aziende estere. Sebbene fino a qualche anno fa le jv non erano le benvenute in Cina e il rischio di fallimento era quasi una certezza, ora la Repubblica Popolare ha fatto qualche passo in avanti per tutelare questa forma di collaborazione, introducendo una legislazione più efficace e attenta ai patti parasociali. I rischi di una società mista sono minori rispetto all’acquisizione, e anche gli stessi investitori stranieri hanno più spirito critico e investono nelle proprie risorse umane anziché affidarsi completamente ai cinesi.
Per quanto riguarda gli italiani, però, permane ancora una forte reticenza nel fondare una jv sino-italiana; molti imprenditori non si fidano sufficientemente dei partner cinesi e preferiscono fare di testa propria, con conseguenti fallimenti.

venerdì 1 luglio 2011

Probabile taglio a tasse sui beni di lusso

I beni di lusso importati in Cina potrebbero vedere una riduzione delle tasse ad essi applicate, con conseguente incremento del commercio nel settore.

E’ in corso la trattativa per mettere in atto una nuova manovra che agevolerà il già proficuo settore del lusso in Cina: il portavoce del ministro del Commercio cinese Yao Jian ha affermato che è in vaglio la proposta di ridurre le tasse sui beni di lusso importati nel Paese asiatico. La riduzione riguarderebbe beni di lusso in generale oltre a cosmetici, alcool e sigarette e dovrà ora essere sottoposta al Consiglio di Stato per l’eventuale approvazione
La scelta di avvantaggiare ulteriormente il luxury nel Dragone è dettata dall’andamento positivo di questo comparto: entro il 2012, infatti, la Repubblica Popolare sarà il più grande consumatore al mondo di beni di lusso, con un mercato dal valore di 14,6 miliardi di dollari. Tuttavia, si è constatato che l’acquisto di questi prodotti da parte dei consumatori è effettuato in misura maggiore all’estero piuttosto che all’interno dei confini nazionali. Questo fenomeno dipende dalle elevate tariffe doganali e dalle tasse che sono applicate in Cina sui beni di lusso, che ne aumentano il costo di una percentuale che oscilla tra il 45% e il 72% a seconda del tipo di articolo.
In constatazione di ciò, la proposta di riduzione delle tasse va incontro alla necessità di stimolare la domanda interna del Paese e di spingere i consumatori ad acquistare in Cina anziché all’estero. La manovra, inoltre, incrementerebbe le importazioni, con buona possibilità che queste raddoppino entro il 2020 come prefissato. A ciò si aggiunge il fatto che i beni di lusso non hanno mai avuto una riduzione delle tariffe doganali dall’entrata della Cina nella WTO nel 2001, contrariamente ad altre merci, e perciò, questa scelta farebbe si che la Repubblica Popolare possa rispettare le regole dell’organizzazione internazionale.
Non mancano, comunque, le polemiche, dal momento che si tratta di articoli acquistabili da una minoranza della popolazione, mentre i beni di prima necessità sono ancora penalizzati dall’inflazione.