Le principali notizie e informazioni di natura economica, finanziaria, giuridica e politica relative alla Cina

giovedì 31 marzo 2011

Nel 2013 la Cina potrebbe essere il primo Paese per ricerca scientifica

Con 100 miliardi di dollari all’anno di investimenti in R&S, la Repubblica Popolare contribuisce ad oltre il 10% della produzione scientifica mondiale, attestandosi al secondo posto nella classifica globale.

Secondo uno studio della Royal Society, Accademia delle scienze inglese, la Cina si è attestata al secondo posto nella classifica mondiale per la produzione scientifica e si prepara a sorpassare nel giro di due anni gli USA. La ricerca, denominata “Knowledge, Networks and Nations”, si è basata sul numero di articoli e studi pubblicati nelle riviste scientifiche più prestigiose a livello mondiale mettendo a confronto il decennio 1993-2003 al quadriennio 2004-2008.
Attualmente la classifica vede la massiccia presenza delle potenze occidentali, con gli Stati Uniti al primo posto, avendo il 20% della produzione scientifica globale e investendo 400 milioni di dollari all’anno per ricerca e sviluppo, seguita dalla Cina con il 10,2% del contributo scientifico. Tuttavia, i margini delle nazioni occidentali si sta progressivamente riducendo a favore delle nazioni emergenti (l’India è entrata quest'anno in classifica alla decima posizione): le pubblicazioni di scienziati cinesi sono passate da 25.474 nel 1996 a 184.080 nel 2008; se la tendenza dovesse rimanere stabile il Dragone supererebbe gli USA nel 2020, ma tenendo conto della riduzione della produttività americana, ciò potrebbe accadere già nel 2013.
Le ragioni di tale sviluppo sono da ricercare negli investimenti di Pechino in R&S: dal 1999 ad oggi il governo ha aumentato del 20% annuale i contributi in ricerca, arrivando oggi a 100 miliardi di dollari l’anno. I risultati si possono notare anche dal volume di lauree conseguite: dal 2006 ad oggi nella Repubblica Popolare si sono laureati 1,5 milioni di ingegneri e studenti di materie scientifiche. A ciò si deve aggiungere che l’educazione impartita ai giovani cinesi è abbastanza diversa rispetto a quella occidentale: i ragazzi vengono sin da piccoli spronati a puntare al massimo e ad esercitare memoria, ortografia e studio sistematico della matematica, delle scienze e della musica, arrivando così all’università con obiettivi chiari e metodo assimilato. Inoltre, l’accesso alle università è libero a tutti, indipendentemente dal reddito familiare.
Sebbene il rapporto della Royal Society non dimostri che ci sia una stretta correlazione tra quantità e qualità della produzione scientifica, visti anche i ripetuti fenomeni di corruzione e plagio nell’ambito accademico, i dati pubblicati denotano un risveglio intellettuale del Paese asiatico, che andrà a beneficio anche della comunità internazionale.

mercoledì 30 marzo 2011

Ducati scommette sulla Cina

La casa automobilistica italiana pianifica un massiccia presenza sul mercato asiatico, Cina in particolare, dove lancia quest’anno il modello da strada “Diavel”.

Dopo aver conquistato il Giappone due anni fa, ora Ducati ha deciso di espandere la propria presenza in tutta l’area del Far East presentando in Asia la nuova moto da strada “Diavel”, un modello adatto al mercato asiatico per le sue caratteristiche di innovazione, sportività, potenza e facilità di guida.
E’ nella regione dell’Asia-Pacifico, infatti, che il mercato delle due ruote sembra presentare ottime opportunità di sviluppo per il futuro non troppo lontano: in questa area del mondo la moto è uno dei mezzi più utilizzati e l’aumento del reddito permette di puntare su un target in continua espansione; giovani tra i 35 e i 40 anni con alta capacità di spesa, appunto, sono i primi clienti delle case motociclistiche occidentali.
Ducati nel 2010 ha venduto in Asia 1.100 moto e nel 2011 prevede di raddoppiare le vendite. Inoltre, a novembre la casa motociclistica inaugurerà un nuovo stabilimento produttivo in Tailandia che entro il 2015 rifornirà i negozi di Cina e India, con gran risparmio di dazi, che oggi impongono un costo finale del prodotto abbastanza elevato e quindi accessibile a pochi (la Diavel in Cina costa 32 mila euro). La Cina, in particolare, è il Paese su cui il Gruppo punta maggiormente: quest’anno aprirà nel Dragone 3 nuovi punti vendita che si aggiungeranno a quelli già esistenti a Pechino e a Shanghai. La Repubblica Popolare, nonostante qualche problematica legata alle normative sulla circolazione che nelle grandi città prevedono forti limitazioni, può contare su un bacino di 18 milioni di motociclisti, destinati ad aumentare esponenzialmente. Proprio per questo Ducati ha già scelto Shanghai come centro coordinativo delle proprie attività.

martedì 29 marzo 2011

Agroalimentare Made in Italy: prime registrazioni di prodotti Dop e Igp in Cina

L’agroalimentare italiano continua a riscuotere successo in Cina ed ora arrivano riconoscimenti per due prodotti tipici della tavola italiana. Inoltre, la registrazione di beni di alta qualità si applica per la prima volta anche a prodotti cinesi venduti in Occidente.

Una buona notizia per l’agroalimentare italiano in Asia: la Cina ha riconosciuto due Indicazioni Geografiche italiane, il Grana Padano e il Prosciutto di Parma. Nei giorni scorsi, infatti, è entrato in vigore il protocollo sperimentale “dieci più dieci” approvato cinque anni fa tra Europa e Cina per le registrazioni di prodotti Dop e Igp. Si tratta di un’importante tappa per il settore tricolore, dato che gli alimenti italiani sono quelli con più mercato nella Repubblica Popolare; inoltre, tale accordo permetterà, da oggi in avanti, di evitare problematiche legate alla contraffazione e all’imitazione di marchi nel mercato asiatico, soprattutto alla luce dell’aumento considerevole dell’export dell’agroalimentare italiano. Nel 2010, precisamente, l’export di prodotti alimentari Made in Italy è arrivato a 21 miliardi di euro (+10,6%) con ottime performance non solo negli Stati Uniti ed in Europa ma anche in Cina, dove ha visto un incremento del 63%. Sempre l’anno scorso, il Prosciutto di Parma ha segnato un incremento record pari al 9,5% delle esportazioni, mentre il Grana Padano, assieme al Parmigiano Reggiano, ha avuto un aumento del 26%.
Tutto ciò a fronte di tradizioni alimentari fortemente diverse; nel Dragone, effettivamente, il consumo di prodotti lattiero-caseari è sempre stato limitato e solo ora inizia a farsi strada nella cultura locale. Per i prossimi anni si prevede un balzo ulteriore dei beni alimentari italiani, che potranno contare su un bacino di consumatori che arriverà a 120 milioni di persone nel prossimo decennio.
Il riconoscimento di alimenti di qualità, comunque, è reciproco: nel novembre scorso la pasta alimentare cinese “Longkou Fen”, la pasta Doc Made in China, è stata registrata a livello europeo tra gli alimenti a indicazione geografica protetta. In attesa di registrazione ci sono anche prodotti quali il tè alle mele e pere cinesi e l’aceto tipico dello Zhejiang.
Tuttavia, non va dimenticato che l’importazione di beni alimentari dalla Cina non è sempre sinonimo di qualità ed etica: molti prodotti agricoli che l’Italia acquista, in realtà, si è scoperto che provengono dai terreni lavorati da attivisti o dissidenti politici detenuti nei campi di riabilitazione.

lunedì 28 marzo 2011

Gli approvvigionamenti cinesi mettono in crisi il tessile italiano

Cotone e lana iniziano a scarseggiare e il loro costo aumenta; mentre le aziende cinesi sono disposte a pagare di più per l’approvvigionamento tessile, le imprese italiane rimangono prive di materie prime.

Negli ultimi mesi la speculazione sulle materie prime ha messo in ginocchio il settore tessile italiano, comportando oneri molto alti per le imprese nell’approvvigionamento delle fibre: solo nell’ultimo anno il prezzo del cotone, ad esempio, è aumentato del 66%.
Inoltre, la difficoltà a reperire materiali come lana e cotone ha permesso la diffusione di un sistema praticato da molti mercanti della Repubblica Popolare, i quali acquistano i quantitativi di fibre dei commercianti già promessi ad altri clienti, essendo anche disposti a pagare la penale prevista in questi casi. Il risultato è che le aziende cinesi, che al momento hanno maggiore disponibilità economica ed un mercato tessile in continua crescita, possono permettersi di pagare prezzi più alti per l’approvvigionamento delle materie prime, riducendo così la disponibilità di fibre per le imprese italiane. Infatti, la lana, venduta alle aste dai commercianti australiani, neozelandesi e sudafricani, viene aggiudicata in maggioranza da cinesi, così come il prezioso cashmere sta diventando sempre più raro in Italia perché trattenuto dagli operatori del Dragone. Questa tendenza è rafforzata, poi, dal nuovo sistema di commercio cinese, caratterizzato ora dall’esportazione del prodotto finito, per alzare i guadagni, anziché dal bene grezzo.
A ciò si aggiunge che, mentre le scorte mondiali diminuiscono e i prezzi di approvvigionamento salgono, la domanda nel tessile continua ad aumentare: la produzione mondiale di fibre nel 2009 è arrivata a 71 milioni di tonnellate ed il consumo medio è salito a 10,4 chili a persona. Ciò pone un problema non indifferente alle aziende del Made in Italy, in uno dei settori più rappresentativi del manifatturiero tricolore.

venerdì 25 marzo 2011

La Cina è la preferita tra i Bric dalle imprese italiane

Gli investimenti italiani nella Repubblica Popolare Cinese sono in aumento nonostante la crisi e dimostrano l’appetibilità del Paese per molti settori del Made in Italy.

E’ la Cina la meta preferita per gli investimenti italiani tra i Paesi dei Bric; secondo un monitoraggio di Assolombardia, il Paese asiatico ospita circa duemila aziende tricolore, per 100.000 dipendenti e con 8 miliardi di fatturato. Sebbene ci sia un netto disavanzo tra le voci di import ed export dell’Italia, i beni Made in Italy stanno affermandosi sempre più nella Repubblica Popolare e nel 2009 le esportazioni italiane sono state pari al valore di 6,6 miliardi d dollari.
Al momento, le imprese leader sul mercato cinese sono quelle di grandi dimensioni; tuttavia, grazie al nuovo Piano Quinquennale della Cina si apriranno nuove opportunità anche per le medie imprese nei settori delle tecnologie ambientali, delle infrastrutture, della sanità e dell’agroalimentare.
Tra le grandi aziende italiane che hanno investito maggiormente nel Dragone molte hanno in programma ulteriori ampliamenti. Candy, ad esempio, ha pianificato la costruzione di un complesso industriale e direzionale a Jiangmen, nel Guangdong, dove lavoreranno 2.000 persone. Nuovo stabilimento produttivo a Zhongshan anche per PiQuadro, nella moda, e per Kopron, nel settore della logistica. Le nuove norme ambientali, inoltre, possono essere lo spunto per progetti innovativi, come ha fatto Merloni, che sta pianificando la costruzione di un sito per il riciclo del piombo.
Tra le aree geografiche più interessanti rimangono le grandi città come Shanghai, che grazie all’Expo ha attirato numerosi stranieri, e la Provincia del Guangdong, molto ambita anche dai settori del design e del lusso, dove marchi come Prada e Bulgari stanno investendo in progetti produttivi.
Nonostante le numerose esperienze positive, non va dimenticato che la Cina rimane un Paese difficile da approcciare, dove servono dosi quali umiltà e pazienza. In una recente intervista all’imprenditore Airaldo Piva, fondatore di Hengdian Group Europe che vive in Cina da anni, sono emerse due difficoltà principali nell’investire nel Dragone: l’importanza delle relazioni umane basate sulla fiducia personale e la prevalenza dell’etica sul diritto. Entrambi gli aspetti denotano come per i cinesi i rapporti di lavoro siano determinati dalla conoscenza personale e non dalla formalità, caratteristica occidentale. Questa differenza spesso causa incomprensioni nello sviluppo di relazioni lavorative tra cinesi e italiani, motivo per cui la conoscenza del contesto culturale risulta fondamentale per il successo delle attività in loco.

mercoledì 23 marzo 2011

La Cina cresce anche nel settore moda

Il Paese asiatico inizia ad emergere sul piano internazionale anche nel comparto della moda, per il quale rappresenta un grande bacino di consumatori ma anche di stilisti emergenti di talento e senso estetico.

Sempre più stilisti italiani vedono emergere grandi potenzialità nel mercato cinese della moda, un settore che si rivela interessante non solo per l’export di capi Made in Italy, molto richiesti grazie all’aumento della classe media, ma anche per l’individuazione di nuovi stilisti cinesi. Sembra, infatti, che negli ultimi anni molti nuovi creativi del fashion provengano dalla Repubblica Popolare e che ciò decreti una nuova immagine della Cina in questo ambito: non più bassa qualità ma grande senso dell’estetica.
Ad aver individuato questo lato del Dragone sono grandi nomi della moda italiana: Elio Fiorucci, che scommette sul talento dei giovani cinesi, ma anche Prada e Dolce e Gabbana. Prada, ad esempio, ha investito nel gennaio scorso in une enorme evento al Central Academy of Fine Arts Museum di Pechino, dove ha organizzato una sfilata di modelli esclusivi a cui hanno partecipato molti vip asiatici. Tale manifestazione dimostra il crescente interesse per un mercato che finora è stato sfruttato scarsamente.
Si aggiungono ora Dolce e Gabbana, i quali hanno annunciato nei giorni scorsi il nuovo piano commerciale del loro marchio: sono in programma 15 nuovi punti vendita nelle grandi città della Cina, che si andranno ad aggiungere ai 26 già operativi. L’abbigliamento di alta moda proveniente dall’Italia continua a riscuotere un grande successo e rappresenta uno status symbol per i nuovi ricchi del Paese. Infatti, l’area dell’Asia e della Cina rappresenta il 16% delle vendite del Gruppo D&G; inoltre, la presenza del marchio verrà presto rafforzata da una linea di cosmetici per il mercato in collaborazione con la Procter & Gamble.
Il duo D&G ha partecipato anche ad un incontro con i giovani stilisti emergenti cinesi, ancora una volta presso il Central Academy of Fine Arts di Pechino: qui hanno spiegato i segreti del loro successo, dimostrando un forte interesse per i talenti locali. Peraltro, nella loro boutique milanese Spiga2, dedicata alle collezioni di stilisti emergenti, si trova la linea di Lu Kun, ormai affermato fashion designer di Shanghai, premiato come miglior stilista del 2004 dalla Shanghai Fashion Federation e già approdato sulle passerelle internazionali.

martedì 22 marzo 2011

La Cina è il secondo mercato d’arte

Il commercio artistico in Cina è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni ed ora il Paese asiatico si colloca dopo gli Stati Uniti nella classifica mondiale.

Negli ultimi tre anni la Cina ha incrementato notevolmente il proprio commercio d’arte a livello globale, tanto che, dopo aver superato la Francia nel 2007 nella classifica mondiale di mercati d’arte, nel 2011 ha rubato il posto al Regno Unito conquistando la seconda posizione dopo gli Stati Uniti. Nel 2010, infatti, il Dragone ha avuto un traffico d’arte pari a 8,3 miliardi di euro, con il 33% delle vendite globali di Belle Arti.
I centri più attivi in questo ambito sono le grandi metropoli di Pechino, Shanghai ed Hong Kong, che fanno diretta concorrenza alle gallerie delle città occidentali e alle aste mondiali. Le aste cinesi, infatti, registrano dati record: ad Hong Kong, Sotheby’s ha ottenuto l’anno scorso il 2% delle entrate, mentre Christie’s il 2,5%.
Tra gli artisti più quotati provenienti dalla Repubblica Popolare si trova Zhang Daqian, il cui volume di affari è stimato oltre 185 milioni di euro; altri figure di spicco riconosciute nella top ten di Artprice sono Qi Baishi, Zhang Daqian, Xu e Fu Baoshi Bihong, mentre per l’arte contemporanea risaltano nomi quali Zeng Fanzhi, Chen Yifei, Yidong Wang, Zhang Xiaogang, Liu Xiaodong e Liu Ye.
Lo sviluppo del mercato artistico cinese è strettamente collegato con la crescita economica del Paese, la quale ha permesso di dare lustro ed esportare la millenaria cultura locale in tutto il mondo, grazie anche ai numerosi incentivi del governo; inoltre l’aumento della ricchezza tra la popolazione ha fatto crescere il numero di collezionisti che acquistano principalmente opere nazionali. Alla luce di ciò, il futuro del settore sembra essere più che positivo e potrebbe portare la Cina a conquistare il primato mondiale.

lunedì 21 marzo 2011

La Cina rallenta la corsa al nucleare

In seguito al dramma del Giappone e all’allerta radiazioni, anche la Cina ha deciso di rivedere il suo programma di potenziamento nucleare previsto per sopperire all’enorme domanda energetica del Paese.

Il Consiglio di stato cinese, presieduto dal premier Wen Jiabao, ha deciso nei giorni scorsi di rivedere il programma di potenziamento nucleare del Paese, visto l’allarme di Fukushima in Giappone. Il Dragone, difatti, aveva pianificato la realizzazione di un grande numero di centrali (circa il 40% delle centrali mondiali), di cui una dozzina già in fase di costruzione e 25 in fase di progettazione, per un totale di 400 gigawatt entro il 2050. L’obiettivo era quello di soddisfare il fabbisogno energetico del Paese, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili provenienti dall’estero e limitando l’impatto ambientale del carbone, che attualmente copre il 70% della domanda energetica e produce l’83% delle emissioni di gas serra della Repubblica Popolare.
Fino a qualche tempo fa il nucleare in Cina è stata una voce poco sentita: al momento il Paese dispone di 13 reattori distribuiti in 4 centrali che producono il 2% dell’elettricità nazionale; inoltre, la tecnologia a disposizione in questo campo non è mai stata particolarmente avanzata e il Dragone ha sempre dovuto importare il know how necessario dall’estero. Solo negli ultimi anni si è presa in considerazione l’idea di puntare sull’energia nucleare per soddisfare il crescente fabbisogno, tanto che la Cina ha dichiarato di aver sviluppato una nuova tecnologia per riprocessare il combustibile nucleare esaurito.
Ora, però, la paura proveniente dal Giappone sta rimettendo in gioco i programmi nucleari di molte nazioni, Cina compresa. Il governo di Pechino ha predisposto un test sia sui reattori già in funzione che su quelli in fase di progettazione, per verificarne il rispetto degli standard di sicurezza. L’esito dei test e, presumibilmente, l’evoluzione della situazione giapponese decreteranno il futuro energetico della Cina e di altri Paesi, con un probabile ed ulteriore sviluppo delle fonti rinnovabili.

venerdì 18 marzo 2011

In Cina più tutela di marchi e proprietà intellettuale stranieri

Negli ultimi anni la Cina sta dimostrando una minor tolleranza nei confronti di fenomeni quali la contraffazione e la concorrenza sleale a danno delle imprese straniere; la recente vittoria giudiziaria di Ariston sembra confermarlo.

Nella Repubblica Popolare Cinese si sta assistendo ad un’evoluzione giudiziaria riguardante il rafforzamento della tutela di marchi e proprietà intellettuale, anche stranieri. Il 31 marzo prossimo, infatti, si concluderà un’importante campagna promossa dal governo cinese il cui lo scopo era diffondere l’importanza della tutela di proprietà intellettuale e dimostrare l’impegno delle autorità cinesi in questo ambito dinnanzi alla comunità internazionale. Difatti, tra le principali difficoltà riscontrate dagli investitori esteri in Cina si rilevano la contraffazione di marchi e la concorrenza sleale, tuttora fenomeno molto diffuso. I tribunali locali, inoltre, hanno sempre manifestato un certo favoritismo nei confronti di soggetti locali, compromettendo le attività straniere. Ora, però, sembra che le cose siano migliorate, grazie anche a nuove interpretazioni di leggi emanate in materia; negli ultimi anni, la Corte del Popolo di Shanghai e le autorità dei grandi centri urbani hanno dimostrato di risolvere le controversie con professionalità ed imparzialità, garantendo la certezza della giustizia agli operatori esteri.
Un esempio di recente rilievo per il nostro Paese è la vittoria giudiziaria di Ariston: un competitor cinese del gruppo tricolore, infatti, aveva utilizzato per anni il nome “Arisitun”, commerciando prodotti quasi uguali all’impresa italiana. M&B Marchi e Brevetti srl e Ariston Thermo China Co. Ltd, quindi, hanno deciso di citare in giudizio la concorrente ottenendo dal tribunale di Shanghai la condanna di Foshan Shunde Arizhu Electric Appliance Co.Ltd per contraffazione del marchio, concorrenza sleale e uso di ragione sociale simile al marchio italiano. L’azienda cinese è stata condannata a risarcire 300.000 yuan, a cancellare il proprio sito web e a pubblicare l’ammissione dell’atto di contraffazione e concorrenza sleale. Si tratta di una vittoria doppiamente significativa, in quanto rappresenta il primo caso per aziende produttrici di beni di riscaldamento e comfort; infatti, rimangono ancora i prodotti di beni ad alta tecnologia i più tutelati e con una protezione estesa del marchio.
Nonostante il clima di cambiamento, comunque, si consiglia sempre di tutelarsi sin dall’inizio delle proprie attività nel Paese asiatico, registrando i propri marchi e i titoli di proprietà industriale, anche stipulando contratti previsti dall’ordinamento cinese.

mercoledì 16 marzo 2011

La Cina è il primo produttore manifatturiero mondiale

La Repubblica Popolare supera gli Stati Uniti nella produzione manifatturiera mondiale; tra le industrie più fiorenti nel Paese asiatico si affaccia quella della carta.

Non solo seconda economia mondiale: secondo un'analisi di Global Insight, ora la Cina ha superato gli Stati Uniti anche nella produzione manifatturiera, collocandosi al primo posto con il 19,8% della quota globale, pari a 1.995 miliardi di dollari, contro il 19,4% americano. A livello mondiale la produzione manifatturiera del 2010 ha un valore pari a 10.078 miliardi di dollari. Tuttavia, gli Usa detengono ancora il primato in termini di produttività e la Cina ha comunque mostrato segnali di rallentamento del settore nel mese di febbraio, un dato incoraggiante per l’assestamento dell’economia e la riduzione dell’inflazione.
Tra le industrie fiorenti del settore manifatturiero sembra che la Cina, per il 2011, punti molto su quella cartaria. Sebbene i maggiori competitor mondiali, Usa ed Europa, siano particolarmente agguerriti e abbiano innalzato barriere commerciali sulle importazioni applicando elevati dazi sui prodotti cinesi, le aziende cartarie cinesi si sono rafforzate grazie alla forte domanda interna che, a partire dal 2000, è crescita annualmente del 10%. Inoltre, i leader cinesi del comparto sono particolarmente avanzati a livello qualitativo e di produzione, nonché nella cattura di carbonio, nel risparmio energetico e nella tutela ambientale. Negli anni scorsi l’industria cartaria nazionale ha investito molto nella costruzione di fabbriche d’eccellenza e ha seguito clienti in tutto il mondo, attualmente i leader del settore stanno premendo per ottenere nuove politiche per il risparmio energetico e la riduzione dell’inquinamento. Il sistema integrativo “Plantation-Pulp-Paper” sembra essere la soluzione sostenibile più adeguata per il successo del comparto della carta in Cina, sia ad opera dei produttori nazionali che internazionali.

martedì 15 marzo 2011

L’ANP si conclude con nuove misure per il real estate e per il sistema pensionistico

Si è conclusa l’Assemblea Nazionale del Popolo in Cina: tra gli argomenti trattati, la diminuzione del divario tra ricchi e poveri, da risolvere agendo sull’edilizia e le pensioni.

Il 14 marzo scorso si è conclusa a Pechino la sessione invernale dell’Assemblea Nazionale del Popolo, in cui si è discusso il Dodicesimo Piano Quinquennale della Cina. Se da un lato, si sono messi al centro l’importanza di proseguire con una crescita economica equilibrata attraverso un nuovo modello di sviluppo, che sarò più incentrato sul consumo interno, e investimenti in nuovi settori strategici (come il rinnovabile), dall’altro, si sono affrontate anche le diverse problematiche del Paese. Inflazione, speculazione nel real estate, riforma finanziaria, corruzione e occupazione sono le questioni più delicate al momento per il Dragone.
In particolare, la diminuzione del divario tra ricchi e poveri è stato uno dei temi più discussi nel dibattito politico dell’ANP; per ovviare a questo fenomeno sociale si sono presentati due programmi: uno nel settore immobiliare e l’altro nel sistema pensionistico. Il real estate sta vivendo un periodo particolarmente difficile in Cina, a causa dell’aumento dei prezzi e del rischio di una bolla speculativa. In occasione dell’incontro a Pechino, il viceministro per lo Sviluppo Rurale e Urbano Qi Ji ha annunciato un programma di investimenti per il 2011 pari a 1.300 yuan per progetti di edilizia popolare, 500 dei quali stanziati da governo e amministrazioni locali e i rimanenti da investitori privati. Ciò rappresenta l’ennesima misura da parte delle autorità per mitigare il problema dell’’innalzamento indiscriminato dei prezzi delle case.
Analogamente, il viceministro per le Risorse Umane e la Sicurezza Sociale Hu Xiaoyi ha esposto il time planning del programma di welfare rurale approvato nel 2009: se ora il sistema pensionistico copre il 24% de contadini, nel 2011 dovrà arrivare al 40% ed entro il 2015 ad una copertura totale delle contee del Paese. Il vero problema in questo caso è l’inevitabile invecchiamento della popolazione; attualmente il 12,8% dei cinesi ha più di 60 anni, ma il numero è destinato a crescere con il conseguente aumento del valore delle pensioni.
Il documento finale dell’Assemblea del Popolo, comunque, verrà pubblicato tra circa due settimane e solo allora si potrà effettivamente sapere quali saranno le linee guida della Repubblica Popolare per i prossimi anni.

venerdì 11 marzo 2011

La nautica italiana è al primo posto in Cina per gli yacht

Gli yacht di lusso Made in Italy registrano ottimi risultati in Cina, con prospettive di crescita interessanti grazie alla crescita economica e al rafforzamento della domanda.

Il mercato degli yacht di lusso permette il lancio della nautica italiana in Cina. Nella classifica stilata dalla rivista cinese China Boating, l’Italia vede posizionate 15 barche tra i 30 yacht più lussuosi. Azimut, Ferretti, Pershing, Dominator e Admiral sono i marchi tricolore più gettonati nel Dragone; Azimut, inoltre, detiene il 40% del market share delle imbarcazioni tra i 40 ai 120 piedi.
Le barche di lusso italiane nella Repubblica Popolare sono particolarmente avvantaggiate per il valore aggiunto rappresentato dal fattore del “Made in”; molte sono le aziende cinesi che hanno provato ad acquisire stabilimenti italiani: dall’Admiral, che stava per essere ceduta alla Nauticstar, al gruppo InRizzardi, che aveva avviato una trattativa di vendita ad un gruppo cinese del settore; riuscita, invece, l’operazione di acquisto della veneta Dalla Pietà, comprata dalla Millennium Marine di Zheiang, che ha mantenuto il cantiere in Italia.
Il settore della nautica in Cina è ancora in una fase iniziale di sviluppo; tuttavia, le prospettive di crescita sono buone. Il governo locale, infatti, ha avviato una serie di agevolazioni fiscali e un processo di semplificazione burocratica che faciliteranno l’entrata nel mercato cinese. Inoltre, le autorità hanno avviato grandi opere di investimento per potenziare il settore, come la creazione del polo nautico nell’isola di Hainan, con hotel, scali aeroportuali e porti turistici.
Con l’aumento della ricchezza e della classe benestante, anche la domanda è destinata a crescere, con futuri successi per il lusso Made in Italy anche in questo comparto. Da segnalare il prossimo mese la fiera dedicata al settore della nautica a Shanghai: dal 14 al 17 aprile prossimi, infatti, si svolgerà la manifestazione “International Boat Show”.

giovedì 10 marzo 2011

Rischio bolla immobiliare in Cina

Secondo l’agenzia di rating Fitch, l’inflazione che caratterizza attualmente il settore immobiliare cinese potrebbe causare una bolla speculativa mettendo a rischio il sistema finanziario del Dragone.

L’agenzia di rating Fitch assegna a Pechino un grado di rischio MPI3, in quanto ritiene che ci sia il 60% di possibilità che si verifichi una bolla speculativa nel settore immobiliare entro il 2013, mettendo così a repentaglio il sistema finanziario cinese.
I timori sono fondati su alcuni “segnali premonitori” che l’istituto avrebbe individuato e che in genere portano poi a quella che è definita “crisi sistemica”: crescita annuale dei prestiti oltre il 15% e aumento dei prezzi immobiliari del 5% in un biennio. La Repubblica Popolare Cinese presenta entrambe le situazioni; per fronteggiare la crisi economica ed evitare il collasso dei mercati di credito, infatti, le banche cinesi hanno immesso nel sistema una grande massa di liquidità: gli istituti di credito hanno concesso nel periodo 2009-2010 prestiti per 17.500 yuan (1.900 miliardi di euro), denaro utilizzato in gran parte nel settore immobiliare che ha, quindi, causato forti aumenti dei prezzi delle proprietà, arrivati anche oltre il 18% nel 2010. Per frenare la speculazione, il governo ha varato una serie di misure, tra cui la crescita dei tassi di interesse (arrivati al 6,06% sui prestiti a un anno e al 3% sui depositi) e dei coefficienti di riserva obbligatoria delle banche (al 19,5% per gli istituti maggiori e al 16% per quelli minori).
Una grande responsabilità l’hanno avuta anche le amministrazioni locali che dal 2008 hanno creato, allo scopo di ottenere maggiori finanziamenti, le Local Investment Companies, agenzie semipubbliche che ottengono crediti dalle banche fornendo come garanzia la terra; con questo sistema le LIC hanno ottenuto prestiti pari a 7.660 yuan (839 miliardi di euro).
Con una situazione simile, in definitiva, la Cina corre il rischio di una crisi del sistema: l’eventuale crollo della domanda nel real estate provocherebbe una diminuzione dei prezzi, scatenando così una serie di bolle speculative. I costruttori sarebbero indebitati e non potrebbero più pagare gli interessi dei prestiti e le banche si rifarebbero sulle società insolventi provocando una serie di fallimenti. Tuttavia, le altre agenzie di rating non hanno la stessa visione pessimista: per Standard & Poor’s le banche cinesi hanno rafforzato la propria capitalizzazione nel corso del 2010 e sarebbero quindi in grado di far fronte ad eventuali perdite.

mercoledì 9 marzo 2011

La Cina attacca il know how italiano

Secondo un rapporto dei servizi segreti, uno dei maggiori rischi delle imprese italiane in Cina è lo spionaggio industriale.

Tra i vari rischi che un’impresa italiana può correre in Cina, rimane quello dello spionaggio industriale “organizzato”. E’ questo lo scenario descritto all’inizio dell’anno dal vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tajani, che ha richiamato l’attenzione della Ue sul problema, e confermato poi dal servizio di intelligence italiana.
Sono molti, infatti, i casi di società nostrane che vengono acquisite da cinesi esclusivamente per apprenderne il know how tecnologico e sfruttarlo a proprio vantaggio facendo poi chiudere l’azienda italiana. Il fenomeno si è accresciuto in questi tempi a causa della crisi internazionale che ha indebolito le imprese all’estero e riguarda maggiormente le aziende con grandi capitali operanti in diversi settori: telecomunicazioni ed elettronica in primis, ma anche energia, biotecnologie e giochi on line. Molto spesso l’attività di spionaggio del patrimonio tecnologico, abilità tecniche e conoscenze acquisite, nonché di alterazione delle condizioni di mercato, avviene grazie ai soggetti cinesi che vengono inseriti nell’organico dell’impresa italiana. Ciò permette, tra l’altro, di sfruttare il territorio locale in cui è insediata l’impresa per affrontare il mercato europeo con più facilità.
La situazione di allarme riguarda, quindi, tutto il sistema imprenditoriale del Vecchio Continente; sono recenti i casi della Renault, che proprio in Cina avrebbe subito sottrazioni di tecnologie elettriche, e della società inglese City, a cui uomini di Pechino avrebbero rubato importanti segreti aziendali. Ciò richiede una soluzione imminente: tra le proposte vi è l’attuazione di un sistema di controllo ed autorizzazione degli investimenti stranieri applicato già in Paesi come Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, Russia e Cina.

martedì 8 marzo 2011

La futura dirigenza cinese proviene dalle guardie rosse

Dal 2012 al governo attuale succederanno nuovi leader politici che rimarranno in carica fino al 2022: il profilo della nuova dirigenza, caratterizzata da un gruppo di ex rivoluzionari, condizionerà il futuro della Cina e del mondo intero.

Il Dragone si trova in una fase di transizione politica molto delicata: da un lato, il Paese si sta avvicinando al cambio della guardia nella dirigenza, e dall’altro, sta attraversano un clima di tensione inaugurato dalla modesta “rivoluzione dei gelsomini” delle ultime settimane.
Per quanto riguarda i nuovi leader politici, è ormai confermato che i futuri presidente e premier saranno, rispettivamente, Xi Jinping e Li Keqiang. Il primo, laureato in economia e legge, ha la fama di un uomo duro e volitivo ed è un ex capo delle guardie rosse; Keqiang, giurista, è cresciuto nella gioventù comunista e tra spiriti liberali. Il profilo dei due politici, di impronta rivoluzionaria, evidenzia già un forte cambiamento rispetto alla dirigenza attuale, invece molto più tecnico. Terzo dirigente supremo sarà Li Yuanchao, capo del dipartimento organizzazione del partito; si tratta di uno dei pochi politici cinesi che parla correttamente l’inglese, anch’egli ex militante nella gioventù comunista. Infine, altro esponente sarà Bo Xilai, forse la figura più occidentale del gruppo: agile nelle relazioni politiche e nel rapporto con la stampa ed il pubblico è un uomo schietto e attivo politicamente.
La futura dirigenza del Partito dovrà probabilmente fare i conti con una società cinese in continuo mutamento. Sebbene la maggior parte della popolazione rimanga filogovernativa, si affacciano anche in Cina i primi segnali di una rivoluzione che molto gradualmente potrà cambiare il Paese. Le ultime due domeniche di febbraio, infatti, sono state organizzate alcune manifestazioni nelle piazze di alcune città della Cina, ispirate alle sommosse del mondo arabo. L’adesione all’appello è stata a dir poco modesta, con poche centinaia di partecipanti, ma è stata sufficiente per scatenare le forze dell’ordine, che hanno attirato l’attenzione internazionale per la durezza e l’eccesso con cui hanno reagito nei confronti della popolazione. La piccola rivoluzione è forse il segnale che la Repubblica Popolare nei prossimi anni, con la stabilità economica ed il benessere diffuso, vedrà sorgere nuove esigenze da parte dei cittadini: crescenti aspettative politiche ma, soprattutto, maggiore libertà.

lunedì 7 marzo 2011

Le opportunità nel campo delle rinnovabili in Cina

La forte domanda energetica del Dragone e gli incentivi del governo facilitano gli investimenti italiani nell’energia verde in Cina.

La Repubblica Popolare Cinese rappresenta oggi il mercato più interessante per gli investimenti nelle rinnovabili. Il Paese asiatico, infatti, ha visto crescere, assieme allo sviluppo economico e alla produzione industriale, anche la domanda di energia ed elettricità. Nel 2010 il consumo elettrico nazionale è aumentato del 13,1%, quello di petrolio del 12,9%, mentre la richiesta di gas naturale è salita del 18,2% e quella di carbone del 5,3%. Sono numeri che hanno, però, anche contribuito a classificare il Paese asiatico come il maggior inquinatore mondiale.
La forte necessità energetica e l’enorme impatto ambientale hanno, quindi, incentivato negli ultimi anni una particolare sensibilità del governo cinese verso le energie pulite, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza del Dragone dai combustibili fossili. Per questo motivo, infatti, tra il 2007 e il 2010 la Cina ha investito 150 miliardi di dollari in energie verdi e nel nuovo Piano quinquennale ha espresso l’intenzione di ridurre del 17% l’energia impiegata per unità di Pil entro il 2015.
Tra i settori energetici in cui la Repubblica Popolare ha già manifestato interesse vi sono: l’idroelettrico, la principale fonte rinnovabile del Paese per cui si prevede di installare ulteriori 20 GW l’anno di capacità; l’eolico, per il quale nei prossimi 10 anni sono previsti 1.500 miliardi di dollari di spese; il solare, che entro il 2020 potrà garantire 1,9 GW di capacità installata.
In questo scenario favorevole le imprese italiane vedono buone opportunità di business: la produzione Made in Italy può contare, nel campo delle rinnovabili, su know-how e tecnologie sofisticate che si legano bene con un contesto caratterizzato da incentivi governativi, forte richiesta e disponibilità di manodopera locale, al momento ancora a costi contenuti. In questa ottica è stato organizzato dall’Osservatorio Internazionale sull’Industria e la Finanza delle Rinnovabili (Oir) un ciclo di seminari che si svolgeranno a partire dal prossimo 21 marzo a Milano, in cui verranno presentate e discusse le opportunità di business nel settore nei BRIC.

mercoledì 2 marzo 2011

Nuovo aumento dei salari minimi in Cina

Per far fronte alla recente crisi inflazionistica e alla diminuzione del consumo interno, le autorità cinesi hanno deciso di aumentare i salari minimi a partire da tre grandi città: Shanghai, Pechino e Nanchino.

Per raggiungere l’obiettivo di rafforzamento della domanda interna del Paese, esplicitata nel dodicesimo Piano Quinquennale, la Cina comincia intervenendo sugli stipendi dei lavoratori. Shanghai, Pechino e Nanchino saranno le tre città che nei prossimi mesi vedranno crescere il salario minimo mensile; la scelta di applicare la nuova misura in queste tre metropoli è dovuta al fatto che proprio qui si è registrata maggiormente la crisi inflazionistica dei mesi precedenti, con conseguenze negative sui prezzi e, quindi, sul consumo interno.
A Shanghai il salario aumenterà già dal 1 aprile prossimo e vedrà un innalzamento pari al 14% mensile, che porterà lo stipendio a 1.280 yuan (130 euro); la paga oraria crescerà, così, del 22% arrivando a 11 yuan. A Pechino, invece, l’applicazione della nuova paga si verificherà posteriormente ed i salari, attualmente pari a 800 yuan mensili (80 euro), aumenteranno del 10%; a Nanchino, invece, gli stipendi passeranno da 850 a 960 yuan.
A seguire, l’aumento dei salari minimi si estenderà progressivamente ad altre regioni, tra cui la provincia dello Zhejiang e quella del Guangdong.
Si tratta di una nuova misura, quella dell’aumento delle paghe dei lavoratori, che andrà a riguardare anche tutte le realtà produttive straniere presenti in Cina; l’aumento del costo del lavoro, infatti, sarà uno dei fattori che maggiormente incideranno sugli investimenti esteri nei prossimi anni.

martedì 1 marzo 2011

Obiettivi 2011-2015 della Cina: quali le prospettive per le imprese italiane?

La crescita del 7% e lo sviluppo sostenibile prefissati nel nuovo Piano Quinquennale della Cina delineano un nuovo Sistema Paese, in cui per le imprese italiane si aprono nuove opportunità di investimento.

Con il dodicesimo Piano Quinquennale, la Repubblica Popolare Cinese ha affermato i nuovi obiettivi economici del Paese: crescita moderata nel rispetto dell’ambiente e dell’equilibrio sociale. A fronte di questo cambiamento di vedute del gigante asiatico, anche per le imprese italiane interessate al Dragone si prospettano importanti mutamenti.
Sebbene gli Investimenti Diretti Esteri, infatti, saranno ancora favoriti dal governo centrale, molte saranno le questioni critiche da affrontare: la dura concorrenza locale in primis, ma anche i costi più elevati sia del lavoro che degli immobili, nonché i prezzi alti delle materie prime. Nonostante ciò, molti saranno gli ambiti favoriti in cui sarà possibile insediarsi: outsourcing, sistema bancario, sistema assicurativo, commercio elettronico, logistica e distribuzione saranno ancora le aree in cui le imprese italiane avranno buone opportunità di investimento.
Attualmente, nonostante i buoni rapporti commerciali tra i due Paesi, la presenza italiana in Cina è ancora ridotta: si contano circa 1.500 aziende in loco, che sono, comunque, molto competitive in quanto dispongono di una tecnologia efficiente legata principalmente al settore manifatturiero e infrastrutturale.
Con i nuovi obiettivi espressi dal Piano cinese, si prospettano nuove aree di interesse dove sarà più facile penetrare, in quanto esprimono le necessità della nuova Cina: l’industria estrattiva, la sanità (per la quale il governo ha già previsto di stanziare 125 miliardi di dollari), la trasformazione dei beni alimentari, le macchine utensili sofisticate, le tecnologie per il riciclo e gli impianti per l’eolico e le energie rinnovabili.
Le novità del futuro non riguardano solo nuovi settori, ma anche nuove aree dove localizzare impianti e stabilimenti: vista la saturazione delle aree dell’Est e delle grandi metropoli, la Cina cercherà di stimolare investimenti nelle aree interne del Paese e nelle città ancora da sviluppare in zone come la Mongolia, lo Shandong e il Guangdong.