Cotone e lana iniziano a scarseggiare e il loro costo aumenta; mentre le aziende cinesi sono disposte a pagare di più per l’approvvigionamento tessile, le imprese italiane rimangono prive di materie prime.
Negli ultimi mesi la speculazione sulle materie prime ha messo in ginocchio il settore tessile italiano, comportando oneri molto alti per le imprese nell’approvvigionamento delle fibre: solo nell’ultimo anno il prezzo del cotone, ad esempio, è aumentato del 66%.
Inoltre, la difficoltà a reperire materiali come lana e cotone ha permesso la diffusione di un sistema praticato da molti mercanti della Repubblica Popolare, i quali acquistano i quantitativi di fibre dei commercianti già promessi ad altri clienti, essendo anche disposti a pagare la penale prevista in questi casi. Il risultato è che le aziende cinesi, che al momento hanno maggiore disponibilità economica ed un mercato tessile in continua crescita, possono permettersi di pagare prezzi più alti per l’approvvigionamento delle materie prime, riducendo così la disponibilità di fibre per le imprese italiane. Infatti, la lana, venduta alle aste dai commercianti australiani, neozelandesi e sudafricani, viene aggiudicata in maggioranza da cinesi, così come il prezioso cashmere sta diventando sempre più raro in Italia perché trattenuto dagli operatori del Dragone. Questa tendenza è rafforzata, poi, dal nuovo sistema di commercio cinese, caratterizzato ora dall’esportazione del prodotto finito, per alzare i guadagni, anziché dal bene grezzo.
A ciò si aggiunge che, mentre le scorte mondiali diminuiscono e i prezzi di approvvigionamento salgono, la domanda nel tessile continua ad aumentare: la produzione mondiale di fibre nel 2009 è arrivata a 71 milioni di tonnellate ed il consumo medio è salito a 10,4 chili a persona. Ciò pone un problema non indifferente alle aziende del Made in Italy, in uno dei settori più rappresentativi del manifatturiero tricolore.
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