Le principali notizie e informazioni di natura economica, finanziaria, giuridica e politica relative alla Cina

venerdì 28 gennaio 2011

Opportunità professionali in Cina

Sempre più giovani occidentali, negli ultimi anni, scelgono di andare a lavorare nei Paesi emergenti: la Cina si presenta come uno dei mercati professionali più favorevoli e ricchi di opportunità in numerosi ambiti.

Il mercato del lavoro in Cina si rivela particolarmente vivace e promettente, in virtù anche della felice congiuntura economica che il Paese sta attraversando. Si aprono così le porte a chi desidera fare esperienza e carriera nella Repubblica Popolare, mercato particolarmente favorevole per i giovani e per la crescita professionale.
Approdare in Cina per lavorare richiede, naturalmente, alcuni requisiti fondamentali. In primo piano, le conoscenze linguistiche: l’inglese è ancora il principale passepartout ovunque, ma sono sempre più apprezzati e richiesti gli stranieri che conoscano il mandarino e la cultura locale, per poter instaurare rapporti commerciali solidi. Di notevole interesse, però, sono le conoscenze economiche, giuridiche e di marketing. Molte sono, infatti, le figure professionali particolarmente richieste in Cina e gli ambiti di inserimento. In campo finanziario, ad esempio, si spazia dalla consulenza, alle vendite e marketing, gestione di risorse umane, analisi finanziaria, contabilità, Venture Capital, Private Equity e supporto manageriale. Notevole anche il comparto moda, dove si richiedono figure di supporto per collaborare con designer cinesi o da inserire nelle riviste di settore. Anche l’ambito della ristorazione offre buone opportunità, così come il campo dell’ingegneria e dell’Information Technology. A ciò si aggiungono il settore giuridico, con necessità di specialisti per la consulenza legale e contrattuale, quello del giornalismo e della comunicazione, soprattutto in campo pubblicitario. Visto il crescente sviluppo delle fonti rinnovabili e l’interesse della Cina nei confronti della tutela dell’ambiente, risultano particolarmente ambiti gli esperti di energie alternative, nonché chi opera nei centri di ricerca e organizzazioni non governative.
L’inserimento lavorativo nella Repubblica Popolare è agevolato, negli ultimi anni, dall’offerta di programmi specifici per l’apprendimento della lingua cinese e possibilità di internship aziendale nelle città cinesi più dinamiche, come Pechino, Shanghai, Dalian, Xi’an e Qingdao. Numerose sono le agenzie italiane che offrono programmi ed esperienze lavorative in Cina in diversi settori, nonché servizi di formazione e consulenza professionale.

giovedì 27 gennaio 2011

La crescita economica cinese incrementa la classe dei ricchi

I dati economici della Cina, i successi imprenditoriali e la crescita della classe più ricca confermano che la Cina rimane il luogo più ambito per investire ed avere successo.

La Repubblica Popolare Cinese, ormai, sembra inarrestabile: da oltre 30 anni la sua economia cresce ad un ritmo medio del 10% del PIL, confermato anche per l’anno appena concluso. La ricchezza del Paese ha effetti inevitabili sulla società, sia da un punto di vista culturale che materiale. La popolazione cinese, infatti, vive con aspettative decisamente rosee e gode di un benessere economico destinato ad aumentare anche nei prossimi anni. Lo confermano, d’altronde, i dati statistici ufficiali: oggi in Asia ci sono tanti ricchi quanto in Europa e si parla di tre milioni di persone in tutto il continente che possiedono beni per più di un milione di dollari, un target decisamente appetibile per le aziende occidentali.
L’ottimismo e la fiducia con cui si affronta il futuro permette, inoltre, di fare qualche passo rischioso, motivo per cui negli ultimi decenni sono stati numerosi i cinesi che si sono improvvisati imprenditori e hanno ottenuto grandi successi. Con lo sviluppo economico alcuni settori sono cresciuti del 20-30% e alcune aziende anche del 50 e 80%; la quota cinese nella produzione mondiale oggi si attesta al 14%, quasi triplicata rispetto a 30 anni fa. In questo modo la Cina continua ad essere una delle mete privilegiate anche per gli investitori stranieri: ancora oggi è in Asia che le multinazionali riescono a moltiplicare i propri investimenti e solo nel 2010 in Cina sono arrivati 105 miliardi di dollari in investimenti dall’estero.
Se il benessere è visibile nelle grandi metropoli, in quanto la ricchezza delle persone agiate viene particolarmente ostentata, deve però confrontarsi con gli evidenti disagi che la prosperità economica inevitabilmente provoca, come il traffico delle città, che è ormai invivibile, e i prezzi degli appartamenti, che salgono alle stelle.

mercoledì 26 gennaio 2011

La grande festa del Capodanno cinese

Si avvicina la festa più importante dell’anno per la Cina: il Capodanno. Per 15 giorni le fabbriche resteranno chiuse e le banche saranno sommerse dalle richieste di liquidità.

Sono iniziati i preparativi per la festività più importante dell’anno in Cina, ovvero il Capodanno o Festa della Primavera, evento che comincerà il prossimo 3 febbraio, per proseguire con due settimane di celebrazioni. Il Capodanno cinese è uno dei momenti in cui si rispolverano le antiche tradizioni cinesi: si tratta di una giornata simbolo di rinascita in cui è uso comune eliminare tutto ciò che è vecchio e ricoprirsi di oggetti nuovi per ostentare ricchezza. L’intero Paese sarà in festa con tanto di fuochi d’artificio, musica, canti, la danza del Leone e del Dragone e l’immancabile processione delle Lanterne. I festeggiamenti, infatti, si concluderanno il 18 febbraio con la celebre Festa delle Lanterne.
La lunga pausa che coinvolgerà la Cina avrà importanti effetti sull’economia del Dragone, ma anche dei Paesi partner. Durante i 15 giorni di festa, infatti, tutte le fabbriche rimarranno chiuse, operai e contadini torneranno, chi dalle grandi città e chi dall’estero, ai propri villaggi per restare con la famiglia. Si calcola che circa 200 milioni di cinesi si metteranno in viaggio per fare rientro a casa, con conseguente incremento del traffico aereo, ferroviario e stradale. Chi teme maggiormente le ricadute delle celebrazioni sono i grandi distributori americani, i quali sanno che ci verificheranno ritardi nelle forniture dalla Cina e che resteranno a lungo privi della manodopera cinese, tornata in patria per la ricorrenza.
Tuttavia, le difficoltà maggiori saranno per le banche cinesi: durante le vacanze del Capodanno, infatti, i prelievi e le richieste di liquidità da parte dei cinesi aumentano esponenzialmente. Per questo motivo, i principali istituti bancari stanno già prendendo le misure necessarie: le banche concederanno un tasso record del 5,9% sui depositi a sei mesi, mentre la Banca Centrale ha sospeso la vendita dei titoli sul mercato per la seconda settimana e la People’s Bank of China ha riacquistato titoli, per la seconda volta nei giorni scorsi, per aumentare la circolazione di moneta.

martedì 25 gennaio 2011

Eni firma un accordo con Petrochina

Il gigante italiano dell’energia Eni firma un’intesa con Petrochina per sviluppare nella Repubblica Popolare Cinese una nuova strategia basata sullo shale gas e per potenziare la propria presenza in Africa.

Il colosso del gas italiano Eni ha recentemente siglato un memorandum con Cncp-Petrochina, leader mondiale degli idrocarburi nonché la maggiore società petrolifera quotata al mondo, per rafforzare le potenzialità di business del settore in Cina. La Repubblica Popolare, infatti, offre interessanti opportunità in questo ambito, sia a livello di mercato che di upstream. Il mercato cinese del gas, d’altronde, è destinato a crescere enormemente nei prossimi anni: oggi nel Paese asiatico solo il 3% dei consumi energetici (per lo più concentrati nell’elettrico) è rappresentato dal gas, addirittura meno dell’Italia; tuttavia, la Cina si è prefissata di ridurre del 40% le emissioni di CO2 entro il 2020 e sarà quindi costretta a cercare nuove fonti di energia alternative al carbone.
Eni, quindi, che è presente nel Mar Cinese Meridionale sin dal 1984, mira a divenire nei prossimi anni uno dei principali fornitori di gas del Dragone grazie alla collaborazione con le società locali del settore, che le permetteranno di inserirsi nel mercato, nonostante la Repubblica Popolare prediligerà il gas domestico. Per il prossimo futuro, però, la società italiana punterà sullo shale gas, ovvero gas contenuto in alcune pietre porose, fornendo l’esperienza maturata nel campo in Nord America.
Tramite l’accordo, inoltre, il gigante italiano si impegnerà a livello economico, di ricerca e tecnologia nell’estrazione del gas non convenzionale e otterrà la partnership con la Cina per l’avvio di una serie di operazioni negli idrocarburi convenzionali e non convenzionali in Africa, dove Eni è già ben radicato. La Cina è già presente diffusamente nel Continente nero e si rivela quindi un prezioso collaboratore per la ricerca di nuove risorse nel territorio africano. D'altro canto, Eni garantirà ai cinesi l’opportunità di partecipare in alcuni asset italiani.
Nel documento d’intesa le due realtà si impegnano, inoltre, a sviluppare congiuntamente le tecnologie avanzate, grazie alle quali si potranno sfruttare giacimenti lasciati a riposo, focalizzando l’attenzione sull’utilizzo di risorse di olio e gas non convenzionali. Proprio per questo, il memorandum prevede sei mesi di analisi sia sui giacimenti che sulle nuove tecnologie, prima di mettere in pratica l’accordo tra Eni e Petrochina.

lunedì 24 gennaio 2011

La Cina supera il Giappone sulla scena mondiale

Con un Pil superiore alle aspettative la Cina si conferma la seconda economia mondiale, sorpassando il Giappone, ma deve ancora fronteggiare la critica questione dell’inflazione.

La Cina chiude il 2010 con un aumento del Pil pari al 10,3% (contro il 9,2% del 2009), un dato superiore alle attese della Banca Mondiale e il più elevato dalla crisi del 2008. Tale progresso incorona definitivamente il Dragone come la seconda potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti, scavalcando così il Giappone, che con una crescita del 2% circa perde la posizione conquistata nel 1968.
Tuttavia, lo sviluppo economico della Repubblica Popolare si accompagna da qualche mese ad un fenomeno di inflazione galoppante, contro il quale le autorità hanno varato alcune misure che per ora non hanno portato a grandi risultati. Lo scorso novembre i prezzi al consumo hanno registrato un livello record, aumentando del 5,1%, salvo poi calare lievemente in dicembre arrivando al 4,6%. Un innalzamento, comunque, oltre il 3,5% che il governo si era prefissato. Nei prossimi mesi gli analisti prevedono un tasso ancora piuttosto alto, dovuto anche alla normale impennata delle festività, che si apriranno il prossimo 3 febbraio con il Capodanno cinese. L’unica soluzione efficace sembra essere quella della rivalutazione dello yuan, operazione che consentirebbe al Paese asiatico di ottenere merci dall’estero a condizioni più convenienti e potendo così mantenere i prezzi bassi sul mercato. A questo proposito, la Cina aveva annunciato un apprezzamento della valuta del 5% entro quest’anno e la questione è stata al centro di un acceso dibattito nell’incontro a Washington tra Hu Jintao e Obama dei giorni scorsi. Tuttavia, nonostante le pressioni americane, finora non sembra esserci stata nessuna mossa in questa direzione.

venerdì 21 gennaio 2011

Uno sbocco in Cina per i salumi italiani

Nonostante gli scandali alimentari che occupano la cronaca cinese e le normative inefficienti nel settore alimentare, c’è chi riesce a collocare con successo i salumi italiani sul mercato asiatico.

Nella Repubblica Popolare Cinese si verificano con una certa frequenza episodi di scandali alimentare. Ultimamente è stato coinvolto il marchio occidentale Lipton, che le scorse settimane ha dovuto ritirare dal mercato cinese quattro lotti di tè al latte solubile in quanto il latte risultava contaminato da melamina. Stessa sorte per il gruppo britannico Cadbury che, invece, ha ritirato i suoi prodotti di cioccolato dai negozi di Pechino, e così è stato per molte altre aziende. Oltre al latte anche gli spaghetti di riso sono stati protagonisti di altri scandali: nella città di Dongguan, vicino ad Hong Kong, si è scoperto che alcune fabbriche producono quotidianamente 500 tonnellate di spaghetti con chicchi avariati e con l’aggiunta di sostanze chimiche cancerogene.
La sicurezza alimentare in Cina è un problema non indifferente e in alcuni casi porta a conseguenze drammatiche, come ricordano i numerosi episodi di intossicazione, che coinvolgono spesso i bambini. La mancanza di un adeguamento agli standard internazionali è dovuto alla brama di produrre grandi quantitativi di prodotti alimentari con il minor costo possibile, lesinando sulla qualità e la commestibilità di alcuni ingredienti. Eppure, una legge in materia esiste: il nuovo testo è entrato in vigore il 1 giugno 2009 e detta la normativa generale in materia di sicurezza alimentare applicabile a tutti i prodotti del settore. Il testo stabilisce, inoltre, quali sono gli standard da seguire, affidando ad organi centrali il compito di gestire e monitorare le situazioni critiche. Tuttavia, la norma risulta debole nella sua efficacia e applicabilità, in quanto il legislatore ha rimandato a futuri atti normativi la definizione del testo nel dettaglio.
Nonostante ciò qualche azienda italiana che ha conquistato la Cina c’è: un esempio di successo è quello della Beretta di Trezzo sull’Adda, impresa produttrice di salumi e oggi leader del comparto nel Dragone. La Beretta ha siglato un patto con l’azienda cinese di Nanchino, Yurun Group, grazie alla quale produce direttamente in loco; per la distribuzione, invece, si è affidata alla catena internazionale Carrefour. Una delle strategie utilizzate da Beretta per superare le barriere della piazza cinese è stata quella di firmare con il ministero della Salute cinese un memorandum per agevolare l’esportazione di salumi italiani in Cina. Ciò apre le strade agli operatori italiani del settore in un mercato che genera già un giro di affari di 600 milioni di euro l’anno.

giovedì 20 gennaio 2011

La Cina è ancora un mercato complicato per la moda maschile italiana

Nonostante le buone prospettive, la Cina è ancora un Paese di difficile conquista per le piccole imprese italiane della moda maschile, le quali sempre più spesso approcciano il mercato asiatico passando per Hong Kong.

Oggi si conclude ad Hong Kong la Fashion Week dedicata alle collezioni autunno/inverno 2010-2011; un settore, quello della moda, trainante nel nostro Paese e alla guida del Made in Italy in tutto il mondo.
Hong Kong, nell’ambito del mercato asiatico, rappresenta uno degli sbocchi principali anche per il comparto dell’abbigliamento maschile e si configura come l’accesso principale per le aziende interessate al difficile mercato cinese. La Repubblica Popolare, infatti, è tutt’oggi un Paese piuttosto intricato per il settore e richiede investimenti elevati, soprattutto nella ricerca di un distributore locale affidabile e che condivida la cultura improntata sulla qualità del prodotto. Il vincolo principale rimane però la tutela del marchio, che se per i grandi nomi può godere di una protezione più ampia, per i soggetti minori è un ostacolo non indifferente.
Hong Kong, invece, si pone come l’accesso ideale per la Cina e proprio qui alcuni marchi di fama internazionale hanno la possibilità di “tastare il terreno” per un’eventuale approccio al Dragone. Un esempio è il progetto in cantiere di Prada, che aprirà a breve nell’ex colonia britannica un nuovo centro di stile e ricerca allo scopo di promuovere le risorse asiatiche e consolidare la propria presenza nell’area. Anche le statistiche confermano questa tendenza: Hong Kong si posiziona al decimo posto tra i mercati di sbocco del comparto moda maschile italiano (con una quota pari al 3,5% sul totale e 123 milioni di euro spesi tra gennaio e settembre 2010), in coda ai Paesi europei e agli Stati Uniti che tuttora rimangono le destinazioni principali dell’export tricolore.
Al momento, tuttavia, soprattutto per le piccole imprese la scelta di orientarsi verso la Cina, ma in generale verso tutti i mercati emergenti, è ancora una sfida eccessivamente impegnativa che richiede strutture consolidate e organizzate.

mercoledì 19 gennaio 2011

Incontro storico tra Hu Jintao e Obama a Washington

In questi giorni a Washington si terrà la visita della delegazione cinese negli USA, un evento di grande importanza a livello globale in quanto rappresenta la volontà di incontro di quelle che sono oggi le due potenze mondiali con la maggior influenza

Sono ancora in corso gli incontri previsti tra la delegazione cinese negli Usa e i funzionari statunitensi in questi giorni. Il 18 gennaio scorso si è tenuta la prima cena di Stato, dopo 13 anni, tra il presidente cinese, Hu Jintao, e quello americano, Barack Obama, evento significativo che sottolinea l’importanza attribuita dagli americani alla Repubblica Popolare. Nella stessa giornata la delegazione cinese, composta da 120 funzionari e uomini d’affari, ha firmato a Huston alcuni accordi commerciali per 600 milioni di dollari nei settori del cotone, della meccanica e dell’energia rinnovabile e altri accordi economici seguiranno nei prossimi giorni a Boston, Chicago, Minneapolis e altre città. Oggi, 19 gennaio, invece, si svolgerà l’attesissimo incontro tra i due Presidenti, che toccherà diversi punti di reciproco interesse: dalla rivalutazione dello yuan ai dazi commerciali e rapporti esteri.
Si tratta, probabilmente, dell’appuntamento più significativo per un leader cinese degli ultimi 30 anni, il cui rilievo è ancora maggiore se si considerano le attuali difficili relazioni tra i due Paesi: numerosi sono i punti di disaccordo nell’ambito degli affari, dell’economia, del mondo finanziario e monetario e delle strategie militari. Proprio per questo le decisioni che verranno prese in questi giorni determineranno il nuovo scenario economico-politico per i prossimi anni. Analogamente, in campo commerciale sussistono diversi squilibri, dato che la Cina detiene un surplus commerciale sugli Stati Uniti pari a 181 miliardi di dollari.
Due sono le questioni fondamentale che verranno quindi discusse durante gli incontri: le concessioni economiche e le concessioni politiche. Per ciò che concerne il primo punto, molte sono le pressioni sul Dragone affinché apprezzi la valuta ed elimini i vincoli alle importazioni, che hanno causato un sostanziale abbassamento dell’export americano. Tuttavia, anche la Cina si aspetta che gli USA facciano concessioni sul tasso di cambio e sul sistema di commercio estero, concedendo trattamenti di favore per le esportazioni cinesi.
Per quanto riguarda il piano politico, la questione è più complicata. Gli americani vorrebbero che Hu Jintao diminuisse il proprio peso e aprisse le porte alla politica americana su questioni quali il programma nucleare iraniano, la Corea del Nord e la questione pakistana.

martedì 18 gennaio 2011

Gli gnocchi vanno in frigo

Noi italiani non ce ne curiamo. Produciamo le nostre eccellenze e le mandiamo nel mondo, cerchiamo importatori cinesi che se ne occupino e si ripresentino di tanto in tanto con quel modesto rendimento che ci permetta di vantare una presenza in Cina. Ma quali sono le implicazioni di questa attitudine da “terzisti” comune alla maggior parte delle nostre PMI?
In cerca di ispirazione per una “cena all’italiana”, cedo alla tentazione di spingermi fino al più grande supermercato per “expats” (espatriati) di Shanghai e mi aggiro tra gli scaffali colmi di costose specialità d’oltremare, tra cui scorgo dei pacchi di gnocchi freschi accatastati in un angolo. Incuriosita domando al personale dove intendano collocarli e, anche qui, come mi era già capitato di vedere altrove, il ragazzo si dirige con passo sicuro verso la mensola dedicata alla pasta italiana e simil.
Che sapore avranno quegli gnocchi (ammesso che chi li compra abbia un’idea di come cucinarli)? Il sapore amaro di chi ha rinunciato a seguire il proprio prodotto fino all’ultimo stadio della catena del valore e ora si vede privato del controllo delle politiche di pricing e posizionamento, per non menzionare la rinuncia ai margini di distribuzione e alla comunicazione vincente del proprio brand.
Finchè le nostre aziende in prima persona non si convinceranno della necessità di investimenti diretti nel commerciale e nel presidio stabile del proprio business cinese, l’aggettivo “Italiano” continuerà a essere una semplice leva di marketing sfruttata da chiunque, che non trova giustificazione nella qualità del prodotto. Certo le dimensioni costituiscono un ostacolo non da nulla, ma le alternative non sono poi molte. Le nostre aziende si trovano a un bivio. Crescere per conquistare l’Oriente o bearsi del “piccolo e (è) bello” e rimanere incastrate nella propria nicchia? Non esiste una risposta migliore, si tratta di una scelta strategica, un diverbio che solo un’azione concertata delle piccole, supportate dalle istituzioni, potrebbe essere in grado di ricomporre.
A cura di Marta Caccamo

giovedì 13 gennaio 2011

Economia cinese: un bilancio del 2010 e le previsioni per il nuovo anno

Con l’inizio del 2011 è tempo di bilanci anche per la Cina, Paese che nello scorso anno ha stabilito numerosi record in ambito commerciale ma che dovrà affrontare un 2011 leggermente in salita.

La Repubblica Popolare Cinese ha chiuso il 2010 con una lieve ripresa del surplus commerciale rispetto al 2009, ma ancora lontana dai record degli anni precedenti alla crisi. 183 miliardi di dollari è l’ammontare del saldo commerciale del Paese asiatico dell’anno appena concluso, che ha visto però il raggiungimento di un primato per quanto riguarda il commercio estero. Le esportazioni cinesi, infatti, sono cresciute, rispetto al 2009, del 18% arrivando alla cifra di 154 miliardi di dollari, a cui è peraltro seguita l’affermazione del Made in China a livello internazionale. Dato eccellente anche quello delle importazioni, aumentate del 39% nel 2010 e che si sono confermate superiori del 31% rispetto alle esportazioni.
Tra i settori trainanti dell’economia del Dragone, ottimi risultati sono stati ottenuti nel comparto dell’automotive: solo nel 2010 le vendite di auto in Cina sono state 13,8 milioni, con una crescita del 33%. Importante ed emergente settore è poi quello delle energie rinnovabili, di cui la Repubblica Popolare si è fatta promotrice con enormi investimenti nell’eolico e fotovoltaico, direzione che il Paese seguirà anche nel nuovo anno.
Per ciò che riguarda il 2011, comunque, le prospettive rimangono positive, pur con un calo rispetto all’anno precedente. La Banca Mondiale, infatti, stima la crescita economica della Cina all’’8,7%, contro il 10% del 2010, e per il 2012 probabilmente il tasso scenderà all’8,4%. Tali considerazioni sono fatte sulla base delle politiche previste e già in atto per
contenere l’inflazione e i fenomeni speculativi che hanno messo a rischio il sistema economico cinese nei mesi scorsi.

mercoledì 12 gennaio 2011

I cittadini cinesi investono all’estero

Per i residenti di Wenzhou è stato avviato un programma che permetterà loro di avviare progetti di investimento all’estero nei settori più promettenti; l’Italia potrebbe essere la meta preferita per l’ambito tessile.

L’Ufficio di Cooperazione Economica e Commercio Estero di Wenzhou, nello Zhejiang, ha avviato un programma pilota che permetterà ai propri cittadini di investire all’estero 200 milioni di dollari l’anno. I potenziali investitori cinesi potranno, infatti, realizzare progetti, che non superino i 3 milioni di dollari, in vari settori, quali quello manifatturiero, tessile, commerciale e immobiliare, esclusi il settore minerario ed energetico.
Il programma riguarderà i Paesi di tutto il mondo con cui la Cina abbia rapporti diplomatici. L’Italia potrebbe giocare un ruolo interessante in tutto ciò: i rapporti con Wenzhou sono già avviati da tempo in quanto la maggior parte dei lavoratori immigrati in Italia proviene proprio da questa zona; inoltre il nostro Paese è da sempre una delle mete più attraenti per il tessile e proprio in questo ambito un afflusso di capitale dall’estero potrebbe risollevare il comparto dalla crisi subita in questi anni.
Con questo programma le autorità cinesi intendono incoraggiare gli investimenti all’estero, potendo così controllare maggiormente i flussi di capitali dalla Repubblica Popolare. Inoltre, si ipotizza che questa sia l’ennesima misura attuata per contrastare l’inflazione che da qualche mese sta preoccupando il Dragone.
Wenzhou è stata scelta come città di sperimentazione in quanto ospita già numerosi imprenditori cinesi che hanno investito all’estero con successo ed ha, inoltre, la più alta percentuale di capitale privato di tutta la Cina, con un PIL pari a 150 miliardi di dollari.

martedì 11 gennaio 2011

La Cina introduce l’ICI

Per la prima volta la Cina introduce una tassa sugli immobili, sperando così di contrastare anche l’inflazione crescente.

Novità in arrivo nel settore immobiliare in Cina: dopo gli aumenti del 20% dei prezzi degli appartamenti nelle principali municipalità nel corso del 2010, con picchi del +37,9% nel Chongqing e del 37,1% a Pechino, il nuovo anno si avvia con un tassazione sugli immobili paragonabile all’Ici italiano. La nuova misura si applicherà inizialmente alle case di lusso di Chongqing, nel Sud-Ovest della Cina e partirà già nel primo trimestre 2011. La tassa riguarderà un elevato numero di persone, dato che Chongqing è una delle aree più estese del Paese con 32,3 milioni di abitanti di cui 3,4 residenti nella sola zona urbana. Qui, inoltre, si concentrano gran parte degli investimenti occidentali grazie agli ingenti aiuti pubblici ,soprattutto nel settore delle infrastrutture.
Fino ad oggi l’unica forma di imposta sugli immobili era applicata agli edifici ad uso commerciale e veniva riscossa annualmente; con questa decisione il governo spera, inoltre, di frenare il fenomeno di inflazione che sta dilagando dalla fine dello scorso anno nella Repubblica Popolare, a cui seguirà una rivalutazione dello yuan del 5% nei prossimi mesi.

…E reality sia

Che la Cina sia un’altra storia ormai se ne sono accorti tutti, i più accorti studiando il mercato, i meno scottandosi nel tentativo di gestire il proprio business cinese come quello domestico. Certo è che al dilemma tra adattamento e standardizzazione della propria formula, una soluzione assoluta non esiste. Perché dunque sostenere l’impossibilità di una scelta strategica del secondo tipo applicata al mercato cinese? Perché la Cina viene da anni di isolamento e la base di consumatori, aldilà dei grandi centri è ancora lontana anni luce dallo sviluppo di una coscienza e conoscenza comparabile a quella occidentale nel processo d’acquisto. Non che ci si debba totalmente piegare alle richieste del Dragone, ma chiunque intenda approcciarlo deve essere pronto e disposto a riconoscere la necessità di una dual strategy, una per “casa” e una per la Cina nella definizione della quale è bene coinvolgere risorse umane locali. Questo non vuol dire necessariamente che dovrà essere il prodotto a cambiare implicando alti costi e una potenziale “mission drifting” (se voglio vendere un vero caffè italiano ci può stare che non mi vada di includere una linea di prodotti aromatizzati al tè verde), ma è possibile differenziarsi ed educare il consumatore cinese allo stesso tempo, attraverso canali di promozione ad hoc. Molte aziende, difatti, sottovalutano l’importanza di un piano marketing attento al differente stadio di sviluppo. Ed è con questa premessa che portiamo a esempio un caso di successo di casa nostra. Dopo l’innovativa “Elevator campaign”, campagna pubblicitaria andata in onda in esclusiva sui teleschermi all’interno degli ascensori di Beijing e Shanghai, Technogym ha replicato il successo dell’Indiano “The Biggest loser Jeetega” con “The Gym”: il reality dei palestrati cinesi. E se l’idea può far sorridere, in realtà quella delle sei persone normali seguite per oltre 3 mesi di allenamento in una delle palestre più all’avanguardia di Shanghai va ben oltre la sfida fisica; con la partecipazione di Barilla, vuole essere un vero e proprio tentativo di promozione dell’Italian way of living. Non ci credete? Cliccare per credere, la serie è visibile sul sito dedicato tramite Youku, lo Youtube cinese, e ancora una volta la scelta di un canale di comunicazione mirato ai giovani, principali utenti di internet non è un caso, ma frutto di una segmentazione vincente. Prendere appunti.

A cura di Marta Caccamo

lunedì 10 gennaio 2011

K-MGMT shi shen me? Che cos’è il K-MGMT?

Per “K-MGMT”, o per meglio dire Knowledge Management, si intende la capacità di un’azienda di ritenere il capitale intellettuale generato dai propri dipendenti una volta terminato l’impiego. Esiste un’ulteriore distinzione tra “capitale umano” e “capitale strutturale”, il primo legato all’inventiva e le conoscenze delle persone, il secondo ai processi e alle strutture organizzative che animano l’azienda e le permettono di generare knowledge e realizzare il proprio vantaggio competitivo. Manco a dirlo né le sussidiarie cinesi delle grandi multinazionali, né tanto meno delle PMI Italiane hanno mai prestato troppa attenzione alla questione sottostimandone il potenziale e coinvolgendole in maniera limitata nei processi di new product development. Ciò è dovuto principalmente al fatto che benché l’export cinese manifesti un’alta componente di prodotti ad alta intensità tecnologica, è controbilanciato da un import consistente di “intermediate goods” (semiconduttori, microprocessori,..): Cina-piattaforma d’assemblaggio, questa l’accezione più comune. Ma ha ancora senso ragionare in questi termini? No. Prima di tutto perché l’innovazione rientra tra le priorità della nuova strategia cinese; non ci si può più riferire all’R&D cinese come Receive and Duplicate laddove quest’anno è avvenuto il sorpasso sulla Germania per numero di brevetti e gli investimenti governativi preventivati per l’anno prossimo sono più alti che in Giappone. In secondo luogo le strategie aziendali stanno, e devono, cambiare per rispondere alla crescita della domanda interna e lo sviluppo dei mercati del consumo; la Cina è ancora il miglior posto dove produrre in termini di costo del lavoro e infrastrutture, ma lo sarà ancora per quanto? E con la crescita delle regolamentazioni, la delicata questione-exchange e la distanza geografica che rimane alta, ma affiancata da bassa protezione legale, i vantaggi di una delocalizzazione volta alla ricerca del cost-advantage non sussistono più in una gran parte dei casi. In terza istanza esiste la possibilità di beneficiare di quelle esternalità di network sorte di conseguenza all’agglomerazione di aziende dello stesso settore (per esempio i distretti IT delle multinazionali Taiwanesi) che possono diventare risorsa esterna di knowledge.
E’ importante, dunque, essere preparati al futuro e iniziare ora a mettere in moto il cambiamento. Le aree di criticità da tenere in considerazione per un’efficace implementazione delle pratiche di KM nella sussidiaria cinese sono una struttura organizzativa e di incentivi capace di riconoscere e apprezzare il contributo dei propri impiegati e sistemi di supporto IT sofisticati, ma più user friendly, spostando l’attenzione dalle classiche operazioni di data storage a un minor numero di transazioni con un’alta interazione umana. Banale quanto può sembrare la lingua e la distanza culturale costituiscono ancora ostacoli importanti su cui è strettamente necessario investire perché, con un maggior coinvolgimento dei dipendenti cinesi, da “local-to-local” l’innovazione possa diventare key success factor da replicare altrove nell’azienda.
I 4 passi fondamentali di un approccio vincente al KM
Step 1: Identificare l’impatto del knowledge sul successo aziendale
Step 2: Svolgere un’audit interna sul knowledge generato
Step 3: Mettere in moto il cambiamento top-down
Step 4: Diffondere una nuova cultura di knowledge sharing all’interno dell’organizzazione perché si generi un circolo virtuoso e l’innovazione sia stimolata anche bottom-up

A cura di Marta Caccamo

venerdì 7 gennaio 2011

La Banca Mondiale apre le porte allo yuan

Per la prima volta nella storia della finanza internazionale la Banca Mondiale ha collocato sul mercato un’obbligazione nella valuta cinese, esplicitando l’interesse dell’istituto per il mercato dello yuan.
La Banca Mondiale ha recentemente emesso un prestito obbligazionario in yuan dal valore di 500 milioni, pari a 57 milioni di euro. Il bond ha un rating di AAA, con rendimento dello 0,95% su base semiannuale e ha scadenza il 14 gennaio 2013. Tuttavia, la misura intrapresa non è una novità assoluta nel mondo finanziario: un anno fa anche la Asian Development Bank, McDonald’s e Caterpillar avevano emesso obbligazioni in yuan, mentre sul mercato di Hong Kong sono stati collocati bond in valuta cinese già da tre anni.
La decisione dell’istituto internazionale conferma il crescente peso della valuta cinese e l’interesse del mercato finanziario globale per la moneta della Repubblica Popolare e la sua promozione. Ciò sosterrà uno degli obiettivi prefissati da Pechino, ovvero quello di far diventare lo yuan una delle principali monete internazionali assieme al dollaro e all’euro entro il 2020. Inoltre, con una reputazione monetaria superiore, la Cina potrebbe presto diventare il terzo creditore mondiale di cartamoneta dopo Stati Uniti e Giappone.
Se la valuta cinese dovesse dimostrarsi in grado di sostenere la nuova sfida, lo yuan potrebbe diventare oggetto di interesse per molti altri investitori internazionali, tra cui le grandi multinazionali.

martedì 4 gennaio 2011

2011 con ulteriore riduzione di terre rare

Per il primo semestre 2011 il Ministro del Commercio Cinese Che Deming ha annunciato una nuova riduzione delle terre rare, contraddicendo così le rassicurazioni fatte nei mesi scorsi.

Nuova riduzione dell’export da parte della Cina: anche nel 2011 si proseguirà con un drastico taglio delle terre rare che saranno ridotte a 14.508 tonnellate (il 35% in meno dello stesso periodo dell’anno scorso) contro il limite di 30.000 che era stato deciso nel 2010. A fronte di questa riduzione, però, la domanda mondiale non cala, anzi nel 2010, secondo le stime della Industrial Minerals Company of Australia, è stata di 48.000 tonnellate e attualmente ammonta a 110.000 con un aumento previsto entro il 2015 a 250.000 tonnellate. La Cina trattiene per il consumo interno il 75% della produzione, che è pari al 90% delle risorse globali.
Per questo motivo, la reazione di molti Paesi, tra cui in primis gli stati Uniti, è stata di grande preoccupazione ed in alcuni casi, infatti, si sta cercando di diversificare le fonti di approvvigionamento, come si sta già facendo in Australia e in California. L’accusa rivolta alla Repubblica Popolare è di forte protezionismo ingiustificato, denuncia già espressa precedentemente dall’Unione Europea per l’esportazione di bauxite e magnesio. Per questo motivo il Paese asiatico dovrà rispondere sulla riduzione delle terre rare all’Organizzazione Mondiale del Commercio il prossimo aprile.
Il Dragone, a sua difesa, ha giocato la carta dell’ecologia, sostenendo che la riduzione dell’export è una misura necessaria per contrastare l’esaurimento delle materie prime. Inoltre, le autorità cinesi hanno dichiarato che a determinare il flusso di terre rare esportabili per la seconda metà dell’anno saranno fattori come l’andamento dei consumi, il mercato interno ed estero e i livelli di produzione.