Secondo un rapporto dei servizi segreti, uno dei maggiori rischi delle imprese italiane in Cina è lo spionaggio industriale.
Tra i vari rischi che un’impresa italiana può correre in Cina, rimane quello dello spionaggio industriale “organizzato”. E’ questo lo scenario descritto all’inizio dell’anno dal vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tajani, che ha richiamato l’attenzione della Ue sul problema, e confermato poi dal servizio di intelligence italiana.
Sono molti, infatti, i casi di società nostrane che vengono acquisite da cinesi esclusivamente per apprenderne il know how tecnologico e sfruttarlo a proprio vantaggio facendo poi chiudere l’azienda italiana. Il fenomeno si è accresciuto in questi tempi a causa della crisi internazionale che ha indebolito le imprese all’estero e riguarda maggiormente le aziende con grandi capitali operanti in diversi settori: telecomunicazioni ed elettronica in primis, ma anche energia, biotecnologie e giochi on line. Molto spesso l’attività di spionaggio del patrimonio tecnologico, abilità tecniche e conoscenze acquisite, nonché di alterazione delle condizioni di mercato, avviene grazie ai soggetti cinesi che vengono inseriti nell’organico dell’impresa italiana. Ciò permette, tra l’altro, di sfruttare il territorio locale in cui è insediata l’impresa per affrontare il mercato europeo con più facilità.
La situazione di allarme riguarda, quindi, tutto il sistema imprenditoriale del Vecchio Continente; sono recenti i casi della Renault, che proprio in Cina avrebbe subito sottrazioni di tecnologie elettriche, e della società inglese City, a cui uomini di Pechino avrebbero rubato importanti segreti aziendali. Ciò richiede una soluzione imminente: tra le proposte vi è l’attuazione di un sistema di controllo ed autorizzazione degli investimenti stranieri applicato già in Paesi come Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, Russia e Cina.
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