Il Paese asiatico è al centro delle polemiche per aver dichiarato nei giorni scorsi di voler ridurre le esportazioni di terre rare. Nonostante la smentita ufficiale, si sono avviate delle indagini per violazione delle regole del WTO.
Sono confuse le voci riguardanti le decisioni di Pechino in merito alle terre rare. Martedì scorso, infatti, il China Daily e il Wall Streer Journal avevano riportato la notizia riguardante la possibilità di riduzione fino al 30% nel 2011 delle esportazioni dei mineali verso Stati Uniti ed Europa. Ciò aveva particolarmente allarmato le aziende occidentali, dato che per terre rare si indicano 17 metalli dalle caratteristiche magnetiche, indispensabili per le produzioni all’avanguardia come auto ibride, turbine eoliche, armamenti e high tech. La Cina è il primo fornitore mondiale di tali metalli e, infatti, detiene il 95% della produzione di beni ottenuti con questi materiali.
E’ arrivata, tuttavia, nelle ultime ore la smentita da parte delle autorità di Pechino, le quali rassicurano sul fatto che il Paese continuerà a rifornire le aziende internazionali. Nonostante ciò, la preoccupazione rimane: già nei primi sei mesi del 2010 la Cina ha ridotto del 72% le esportazioni, penalizzando soprattutto il Giappone, e i prezzi sono saliti con percentuali tra il 22% e il 720%. Inoltre, si stima che le riserve cinesi di terre rare potrebbero esaurirsi nel giro di 15-20 anni; basti pensare che nel 2009 i giacimenti sono arrivati a 27 milioni di tonnellate, quando solo nel 1996 ammontavano a 43 milioni.
Le mosse della Cina sono intanto sotto indagine per sospetto di violazione delle regole del WTO: si pensa, infatti, che un’eventuale riduzione o blocco delle esportazioni nel settore abbia come obiettivo lo spostamento delle multinazionali occidentali nelle aree cinesi dove abbondano le terre rare, con conseguente rischio di spionaggio industriale. Tutto questo si aggiunge all’altra inchiesta in corso, avviata dagli Stati Uniti nei giorni scorsi per verificare gli incentivi statali forniti da Pechino alle aziende esportatrici nel campo delle energie rinnovabili.
Sono confuse le voci riguardanti le decisioni di Pechino in merito alle terre rare. Martedì scorso, infatti, il China Daily e il Wall Streer Journal avevano riportato la notizia riguardante la possibilità di riduzione fino al 30% nel 2011 delle esportazioni dei mineali verso Stati Uniti ed Europa. Ciò aveva particolarmente allarmato le aziende occidentali, dato che per terre rare si indicano 17 metalli dalle caratteristiche magnetiche, indispensabili per le produzioni all’avanguardia come auto ibride, turbine eoliche, armamenti e high tech. La Cina è il primo fornitore mondiale di tali metalli e, infatti, detiene il 95% della produzione di beni ottenuti con questi materiali.
E’ arrivata, tuttavia, nelle ultime ore la smentita da parte delle autorità di Pechino, le quali rassicurano sul fatto che il Paese continuerà a rifornire le aziende internazionali. Nonostante ciò, la preoccupazione rimane: già nei primi sei mesi del 2010 la Cina ha ridotto del 72% le esportazioni, penalizzando soprattutto il Giappone, e i prezzi sono saliti con percentuali tra il 22% e il 720%. Inoltre, si stima che le riserve cinesi di terre rare potrebbero esaurirsi nel giro di 15-20 anni; basti pensare che nel 2009 i giacimenti sono arrivati a 27 milioni di tonnellate, quando solo nel 1996 ammontavano a 43 milioni.
Le mosse della Cina sono intanto sotto indagine per sospetto di violazione delle regole del WTO: si pensa, infatti, che un’eventuale riduzione o blocco delle esportazioni nel settore abbia come obiettivo lo spostamento delle multinazionali occidentali nelle aree cinesi dove abbondano le terre rare, con conseguente rischio di spionaggio industriale. Tutto questo si aggiunge all’altra inchiesta in corso, avviata dagli Stati Uniti nei giorni scorsi per verificare gli incentivi statali forniti da Pechino alle aziende esportatrici nel campo delle energie rinnovabili.
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