La crisi economica che ha colpito le PMI italiane ha contribuito all’incremento delle delocalizzazioni produttive, che sempre più spesso scelgono la Cina.
I conflitti valutari sul piano internazionale, in particolare tra USA e Cina, hanno importanti effetti anche sul tessuto imprenditoriale italiano. Le svalutazioni di yuan e dollaro, infatti, contribuiscono a rafforzare l’euro, con la conseguenza che le esportazioni italiane vengono penalizzate, soprattutto nei settori della meccanica, tessile, calzature, alimentare e arredo, mentre sono avvantaggiate le importazioni di materie prime, energia e semilavorati. Per contrastare la crisi dell’export, quindi, molte imprese scelgono di internazionalizzare le produzioni o di affidarsi ai consorzi per le esportazioni. Nel primo caso, si tratta di una scelta strategica per potersi ricavare un ruolo di rilievo nel Paese sede della delocalizzazione. Tra i mercati più interessanti vi è ancora una volta la Cina, dove, secondo quanto dichiarato dal direttore dell’ufficio ICE di Pechino, Antonio Laspina, «se in passato si sbarcava alla ricerca di fattori produttivi convenienti, oggi si produce qui per rivolgersi al mercato cinese».
D'altronde, l’interesse per la Repubblica Popolare Cinese da parte dell’Italia è in continua crescita, così come dichiarato anche dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita fino al 30 ottobre proprio nel Paese asiatico, dove si recherà a Pechino, Shanghai, Macao e Hong Kong. In un’intervista rilasciata al magazine “Globe”, giornale di promozione del Made in Italy in Cina, Napolitano ha detto:« Roma e Pechino oggi possono vantare un maturo dialogo politico, un intenso scambio economico e commerciale, una crescente collaborazione in campo culturale, un'interazione sempre più ricca nei settori della scienza e della tecnologia e un confronto aperto e costruttivo sui temi di maggiore respiro globale, come quelli della pace, della stabilità e sicurezza internazionale, del riconoscimento universale dei diritti umani».
I conflitti valutari sul piano internazionale, in particolare tra USA e Cina, hanno importanti effetti anche sul tessuto imprenditoriale italiano. Le svalutazioni di yuan e dollaro, infatti, contribuiscono a rafforzare l’euro, con la conseguenza che le esportazioni italiane vengono penalizzate, soprattutto nei settori della meccanica, tessile, calzature, alimentare e arredo, mentre sono avvantaggiate le importazioni di materie prime, energia e semilavorati. Per contrastare la crisi dell’export, quindi, molte imprese scelgono di internazionalizzare le produzioni o di affidarsi ai consorzi per le esportazioni. Nel primo caso, si tratta di una scelta strategica per potersi ricavare un ruolo di rilievo nel Paese sede della delocalizzazione. Tra i mercati più interessanti vi è ancora una volta la Cina, dove, secondo quanto dichiarato dal direttore dell’ufficio ICE di Pechino, Antonio Laspina, «se in passato si sbarcava alla ricerca di fattori produttivi convenienti, oggi si produce qui per rivolgersi al mercato cinese».
D'altronde, l’interesse per la Repubblica Popolare Cinese da parte dell’Italia è in continua crescita, così come dichiarato anche dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita fino al 30 ottobre proprio nel Paese asiatico, dove si recherà a Pechino, Shanghai, Macao e Hong Kong. In un’intervista rilasciata al magazine “Globe”, giornale di promozione del Made in Italy in Cina, Napolitano ha detto:« Roma e Pechino oggi possono vantare un maturo dialogo politico, un intenso scambio economico e commerciale, una crescente collaborazione in campo culturale, un'interazione sempre più ricca nei settori della scienza e della tecnologia e un confronto aperto e costruttivo sui temi di maggiore respiro globale, come quelli della pace, della stabilità e sicurezza internazionale, del riconoscimento universale dei diritti umani».
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