Per la seconda volta quest’anno le autorità italiane hanno sequestrato confezioni di concentrato di pomodoro cinese distribuito con l’etichetta “Made in Italy”.
La Cina minaccia ancora una volta il settore agroalimentare italiano attraverso l’importazione in Italia di concentrato di pomodoro che, pur essendo prodotto parzialmente nel Paese asiatico, reca l’etichetta “Prodotto in Italia”. E’ il caso del maxisequestro avvenuto lunedì scorso nella provincia di Salerno, dove sono stati incettati dai carabinieri 4.500 quintali di doppio concentrato di pomodoro cinese per un valore di circa 400 mila euro.
Il problema delle etichette era già stato lanciato da Coldiretti nel giugno scorso, sostenendo che per tutelare l’economia italiana, i marchi e la salute dei cittadini, è necessario introdurre l’obbligo di indicazione dell’origine del prodotto e non solo del confezionamento, come esige la normativa attuale. A sostenere la causa è intervenuto anche il Ministero delle Politiche agricole, che ha istituito una task force per avviare ispezioni sull’importazione di pomodoro cinese.
L’importazione del semilavorato cinese, per poi venire trattato in Italia, riguarda il 10% degli industriali italiani del settore e nei soli primi tre mesi del 2010 è aumentata del 174%; entro fine anno si stima che potrà riguardare circa il 15% della produzione italiana di pomodoro.
Nell’agroalimentare italiano, così come anche in altri ambiti, l’utilizzo di materie prime straniere è un fenomeno molto diffuso, che riguarda un terzo delle produzioni (pari a 51 miliardi di euro). I Paesi extraeuropei come la Cina, infatti, rappresentano ancora ottime opportunità per ridurre i costi di produzione, non essendo vincolati dagli obblighi e dagli standard della UE. Tuttavia, è bene ricordare che quando i prodotti sono diretti alla Repubblica Popolare Cinese, essi vengono sottoposti a severi e restrittivi controlli di qualità.
La Cina minaccia ancora una volta il settore agroalimentare italiano attraverso l’importazione in Italia di concentrato di pomodoro che, pur essendo prodotto parzialmente nel Paese asiatico, reca l’etichetta “Prodotto in Italia”. E’ il caso del maxisequestro avvenuto lunedì scorso nella provincia di Salerno, dove sono stati incettati dai carabinieri 4.500 quintali di doppio concentrato di pomodoro cinese per un valore di circa 400 mila euro.
Il problema delle etichette era già stato lanciato da Coldiretti nel giugno scorso, sostenendo che per tutelare l’economia italiana, i marchi e la salute dei cittadini, è necessario introdurre l’obbligo di indicazione dell’origine del prodotto e non solo del confezionamento, come esige la normativa attuale. A sostenere la causa è intervenuto anche il Ministero delle Politiche agricole, che ha istituito una task force per avviare ispezioni sull’importazione di pomodoro cinese.
L’importazione del semilavorato cinese, per poi venire trattato in Italia, riguarda il 10% degli industriali italiani del settore e nei soli primi tre mesi del 2010 è aumentata del 174%; entro fine anno si stima che potrà riguardare circa il 15% della produzione italiana di pomodoro.
Nell’agroalimentare italiano, così come anche in altri ambiti, l’utilizzo di materie prime straniere è un fenomeno molto diffuso, che riguarda un terzo delle produzioni (pari a 51 miliardi di euro). I Paesi extraeuropei come la Cina, infatti, rappresentano ancora ottime opportunità per ridurre i costi di produzione, non essendo vincolati dagli obblighi e dagli standard della UE. Tuttavia, è bene ricordare che quando i prodotti sono diretti alla Repubblica Popolare Cinese, essi vengono sottoposti a severi e restrittivi controlli di qualità.
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