Le attività in Cina erano iniziate a meraviglia; vendite “da paura”, così le definisce Andrea. Aveva conosciuto un cinese qualche anno fa in un locale durante un viaggio a Beijing e da lì si era deciso a mettere in pratica un’idea che lo stuzzicava da tempo: esportare nel nuovo El Dorado. Le cose in Italia non andavano bene e allora perché non provare? Perché non siglare un patto d’amicizia con quel giovane che, tuttavia, pareva avere grande esperienza e molte conoscenze nel settore? Presto fatto. Andrea torna a casa, si sposa, si compiace nel ricevere i ricavi del business cinese e quasi se ne dimentica. Due anni fa il primo campanello d’allarme, il mercato non tira più... poi la crisi... i numeri diventano sempre più bassi e sul bilancio d’azienda nuove voci in rosso. Il socio di Andrea, preoccupato, parte per Shenzen e si trova a constatare l’amara realtà. Non resta più nulla di quella “fonte dei miracoli”, Lan Bo ha aperto una sua fabbrica, produce i loro stessi prodotti, li ha studiati e brevettati: buona fattura, oltretutto. Terrorismo? No, precauzione. Ancora oggi, dopo anni che le aziende italiane vengono in Cina, storie come quelle di Andrea sono all’ordine del giorno e hanno tristi ripercussioni sugli affari di “casa nostra”.
Esaminando il caso possiamo identificare i principali errori che le PMI italiane si ostinano a commettere nella scelta d’internazionalizzazione.
Prima di tutto il motivo: Andrea sceglie la Cina per moda e come cura ai problemi sul mercato domestico, non c’è alcun disegno alle spalle. In secondo luogo la distribuzione, che costituisce spesso un nodo cruciale nello sviluppo del business in Cina e nel suo controllo. Fidarsi delle impressioni e delle parole non è mai una buona idea. Sempre meglio prestare estrema attenzione e verificare in tutto e per tutto le esperienze pregresse e il portfolio di clienti raggiungibili e potenziali del candidato distributore. Quando possibile, anzi, occuparsi personalmente di distribuire i propri prodotti, cosa che dà anche la possibilità di sviluppare sensibilità e conoscenze di mercato da sfruttare nell’espansione delle operazioni e nella definizione di una “strategia cinese”. Nel caso si opti per un agente, le cautele iniziano con la stipulazione del contratto. Particolare attenzione va prestata all’invenduto, che nelle mani del cinese può diventare base per plagi e vendite tramite altri canali più o meno discutibili che rischiano d compromettere il marchio aziendale. Mai dimenticare che la registrazione di un brevetto presso le autorità cinesi è l’unico appiglio di cui avvalersi nel caso si verifichino sospetti movimenti circa la produzione di prodotti simili, per non dire identici. Non ultimo il controllo: non bastano sporadiche visite in prima persona, o ancor peggio da parte di qualche parente o “persona fidata”, la Cina è sì una grande opportunità, ma anche un grandissimo rischio.
A cura di Marta Caccamo
Esaminando il caso possiamo identificare i principali errori che le PMI italiane si ostinano a commettere nella scelta d’internazionalizzazione.
Prima di tutto il motivo: Andrea sceglie la Cina per moda e come cura ai problemi sul mercato domestico, non c’è alcun disegno alle spalle. In secondo luogo la distribuzione, che costituisce spesso un nodo cruciale nello sviluppo del business in Cina e nel suo controllo. Fidarsi delle impressioni e delle parole non è mai una buona idea. Sempre meglio prestare estrema attenzione e verificare in tutto e per tutto le esperienze pregresse e il portfolio di clienti raggiungibili e potenziali del candidato distributore. Quando possibile, anzi, occuparsi personalmente di distribuire i propri prodotti, cosa che dà anche la possibilità di sviluppare sensibilità e conoscenze di mercato da sfruttare nell’espansione delle operazioni e nella definizione di una “strategia cinese”. Nel caso si opti per un agente, le cautele iniziano con la stipulazione del contratto. Particolare attenzione va prestata all’invenduto, che nelle mani del cinese può diventare base per plagi e vendite tramite altri canali più o meno discutibili che rischiano d compromettere il marchio aziendale. Mai dimenticare che la registrazione di un brevetto presso le autorità cinesi è l’unico appiglio di cui avvalersi nel caso si verifichino sospetti movimenti circa la produzione di prodotti simili, per non dire identici. Non ultimo il controllo: non bastano sporadiche visite in prima persona, o ancor peggio da parte di qualche parente o “persona fidata”, la Cina è sì una grande opportunità, ma anche un grandissimo rischio.
A cura di Marta Caccamo
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