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martedì 7 dicembre 2010

La guerra valutaria tra Cina e Usa

Sebbene possa creare effetti inflattivi in altri Paesi, gli Stati Uniti sono decisi a mantenere l’attuale politica monetaria e la Cina dichiara che consentirà l’apprezzamento dello yuan secondo “i propri tempi”.

Lo scorso 5 dicembre, durante il programma televisivo CBS “60 Minuti”, Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve (Fed) Usa, è intervenuto criticando la politica cinese, relativamente alla decisione di mantenere sottostimato lo yuan. Mentre Ma Delun, vicegovernatore della Banca del popolo di Cina (Bpc), in novembre, aveva dichiarato che la decisione della Fed di comprare titoli di Stato, per sostenere il fragile recupero dell’economia Usa “può creare rischi addizionali all’equilibrio dell’economia globale, può causare pressione sui mercati emergenti per adeguarsi alla bilancia internazionale dei pagamenti e anche favorire la creazione di bolle inflazionistiche”.
Bernanke, sempre in occasione dell’intervista alla CBS, ha indirettamente risposto: “Tenere la valuta cinese troppo bassa è negativo per l’economia Usa, perché danneggia il nostro commercio. E’ male anche per le altre economie emergenti”.
Sebbene il ruolo di grande potenza economica, che ora è proprio anche della Cina, richieda che il Dragone adatti la propria valuta alle leggi di mercato, Pechino la mantiene sottostimata, al fine di favorire le esportazioni, a scapito dell’industria degli altri Paesi. La Cina promette dal 1993 che consentirà la piena convertibilità dello yuan, ma ribadisce che questo avverrà in modo graduale. Considerata tale ostinazione, la nuova politica della Fed è considerata da molti esperti come un provvedimento strategico, un modo per costringere la Cina a rivedere la sua decisione: per evitare l’inflazione “importata” dagli Usa e scongiurare l’insorgere di proteste di piazza, la Cina dovrebbe ridurre la propria crescita economica - ipotesi che però non rientra certo nei progetti di Pechino – oppure, in alternativa, rivalutare lo yuan.

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