Al fine di tutelare le risorse di terre rare e di salvaguardare l’ambiente, il Dragone annuncia la creazione di 11 zone per l’estrazione di terre rare. Tuttavia, la riduzione delle esportazioni cinesi spinge i Paesi occidentali a cercare nuove riserve in aree vicine.
La riduzione di riserve nell’ambito delle terre rare porta ad una nuova misura in Cina, primo produttore mondiale dei minerali preziosi: il Ministero della Terra e Risorse, infatti, ha annunciato la creazione di 11 zone per l’estrazione pianificata dei metalli di terre rare. L’insieme delle aree individuate occupa una superficie di 2.500 kmq e si stima possegga 760 mila tonnellate di riserve. La prima zona interessata a questo scopo sarà quella di Ganzhou, nello Jiangxi, a cui seguiranno altre due zone a Panzhihua, nello Sichuan, che rappresenteranno, quindi, le nuove frontiere per l’approvvigionamento nazionale e internazionale.
La decisione è stata presa anche in vista di una maggiore sostenibilità del processo di recupero delle terre rare; l’estrazione, infatti, ha conseguenze negative su foreste, terreni e suolo coltivabile. La tutela ambientale è una carta già giocata dalla Cina, che l’aveva usata come giustificazione nel momento in cui annunciò la stretta sulle esportazioni ai Paesi sviluppati. Le riduzione sull’export, comunque, non ha comportato cali nell’attività commerciale: tra gennaio e novembre 2010, infatti, le esportazioni dei minerali dal Dragone sono cresciute del 14,5% rispetto al 2009, con 35 mila tonnellate di metalli vendute.
Nonostante ciò, le limitazioni della Repubblica Popolare nell’estrazione e nel commercio di terre rare stanno costringendo le potenze mondiali, particolarmente bisognose di questi metalli, a ricercare altrove nuove fonti di approvvigionamento. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno individuato la Mongolia come interessante partner commerciale: il Paese, infatti, detiene il 16,77% di riserve mondiali e si colloca al secondo posto in qualità di produttore, dopo la Cina.
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