Secondo le ultime rilevazioni economiche, in Cina rallentano gli investimenti diretti esteri ma in compenso sempre più multinazionali decidono di impiegare dirigenti stranieri nel paese asiatico per far fronte alla crisi economica.
In agosto, si riconferma la diminuzione degli FDI in Cina, che hanno raggiunto quota 7,6 miliardi di dollari con solo un aumento dell’1,38% rispetto all’anno precedente. Secondo molti economisti questo rallentamento sarebbe dovuto alle recenti polemiche da parte delle aziende straniere con riguardo alle politiche discriminatorie nei loro confronti da parte delle autorità cinesi, le cui conseguenze hanno portato ad un atteggiamento prudenziale degli investitori stranieri. Per altri analisti, invece, si tratterebbe solo di un fenomeno statistico. Pare che comunque nei prossimi mesi tali dati non cambieranno in quanto la Cina continuerà sulla linea di attenta selezione degli investimenti stranieri favorendo quelli indirizzati al settore dei servizi, dell’energia, dell’high-tech e del manifatturiero.
Tendenza opposta, invece, per ciò che riguarda la delocalizzazione del personale delle imprese estere. Secondo l’ultimo rapporto di Economist Intelligence Unit, pubblicato il 16 settembre scorso, il 40% delle aziende straniere nei prossimi 5 anni localizzerà all’estero il proprio staff (contro il 13% degli ultimi anni) per reagire alla stagnazione dei mercati occidentali. Tra le mete preferite ci sono: la Cina (35%), l’India (16%) ed il Giappone (7%). I giovani sono i più propensi a recarsi nei paesi emergenti, poiché vedono l’esperienza all’estero come strumento di apprendimento e di avanzamento di carriera. Tuttavia, al momento, le imprese non sembrano particolarmente attrezzate per attuare questa riallocazione: gli incentivi per i lavoratori sono ancora bassi e le sedi estere poco attrezzate.
Da non trascurare, se si dà uno sguardo agli scambi commerciali, il fatto che l’Europa nel frattempo è diventata il primo partner della Cina, superando così gli Stati Uniti. A luglio di quest’anno, infatti, gli scambi tra UE e Repubblica Popolare Cinese sono ammontati a 306 miliardi di dollari, contro i 243 miliardi con gli USA. Sempre più imprese cinesi stanno acquistando società europee, mentre le aziende automobilistiche del vecchio continente realizzano buoni risultati nel paese asiatico. In particolare, l’export europeo in Cina ha registrato un tasso annuale del 49%.
In agosto, si riconferma la diminuzione degli FDI in Cina, che hanno raggiunto quota 7,6 miliardi di dollari con solo un aumento dell’1,38% rispetto all’anno precedente. Secondo molti economisti questo rallentamento sarebbe dovuto alle recenti polemiche da parte delle aziende straniere con riguardo alle politiche discriminatorie nei loro confronti da parte delle autorità cinesi, le cui conseguenze hanno portato ad un atteggiamento prudenziale degli investitori stranieri. Per altri analisti, invece, si tratterebbe solo di un fenomeno statistico. Pare che comunque nei prossimi mesi tali dati non cambieranno in quanto la Cina continuerà sulla linea di attenta selezione degli investimenti stranieri favorendo quelli indirizzati al settore dei servizi, dell’energia, dell’high-tech e del manifatturiero.
Tendenza opposta, invece, per ciò che riguarda la delocalizzazione del personale delle imprese estere. Secondo l’ultimo rapporto di Economist Intelligence Unit, pubblicato il 16 settembre scorso, il 40% delle aziende straniere nei prossimi 5 anni localizzerà all’estero il proprio staff (contro il 13% degli ultimi anni) per reagire alla stagnazione dei mercati occidentali. Tra le mete preferite ci sono: la Cina (35%), l’India (16%) ed il Giappone (7%). I giovani sono i più propensi a recarsi nei paesi emergenti, poiché vedono l’esperienza all’estero come strumento di apprendimento e di avanzamento di carriera. Tuttavia, al momento, le imprese non sembrano particolarmente attrezzate per attuare questa riallocazione: gli incentivi per i lavoratori sono ancora bassi e le sedi estere poco attrezzate.
Da non trascurare, se si dà uno sguardo agli scambi commerciali, il fatto che l’Europa nel frattempo è diventata il primo partner della Cina, superando così gli Stati Uniti. A luglio di quest’anno, infatti, gli scambi tra UE e Repubblica Popolare Cinese sono ammontati a 306 miliardi di dollari, contro i 243 miliardi con gli USA. Sempre più imprese cinesi stanno acquistando società europee, mentre le aziende automobilistiche del vecchio continente realizzano buoni risultati nel paese asiatico. In particolare, l’export europeo in Cina ha registrato un tasso annuale del 49%.
Tutto ciò segna importanti cambiamenti di tendenza nel rapporto tra aziende estere e Cina, a cui è importante adeguarsi se si vuole rimanere competitivi e acquisire nuove fette di mercato.
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