La Commissione Ue si prepara a chiedere, nei confronti della Cina, il rinnovo di misure antidumping e anti circumvention al 48,5% per altri 5 anni sulle esportazioni in Europa di biciclette. Per le imprese europee del settore, infatti, la Repubblica Popolare rappresenta una forte minaccia, in quanto negli ultimi anni è riuscita a conquistare enormi quote di mercato applicando prezzi inferiori anche del 50% rispetto alle concorrenti occidentali. Ciò le è possibile grazie agli incentivi governativi di cui gode sull’export e ai costi ridotti di energia e manodopera. Nonostante nel Paese asiatico la bicicletta sia ancora il mezzo più utilizzato, il Dragone detiene una sovrapproduzione di oltre 30 mila pezzi, che solo con l’esportazione in Occidente può smaltire con profitto.
Il settore delle bici nel Vecchio Continente ha un valore di produzione di circa 6 miliardi di euro e conta 60 mila addetti, ma solo nel 2009 la Ue ha importato dalla Cina pezzi per 458 milioni. L’Italia è leader europeo del comparto: ha una produzione dal valore di 1,2 miliardi, con 12 mila addetti impiegati; il nostro Paese è il principale produttore con 2,5 milioni di bici assemblate. Secondo i dati, però, la concorrenza sleale cinese sta danneggiando anche le imprese italiane: la produzione è passata dai 5,8 milioni del 1994 ai 2,5 milioni del 2010, l’export si è ridotto dai 2,7 milioni del 1995 a 1,35 milioni del 2010, mentre è cresciuto l’import, che è passato da 145 mila a 636 mila (+ 338%). A diminuire è anche il numero di imprese del settore che tra il 2000 e il 2010 è sceso del 10%. A soffrirne le conseguenze non sono solo i costruttori e assemblatori di bici ma anche chi produce componenti e accessori. Inoltre, se per le aziende cinesi sembra facile accedere al mercato europeo, è decisamente oneroso il contrario: chi tra le nostre imprese ha tentato l’approccio alla Cina ha visto applicazioni di dazi anche del 56%.
L’unica speranza, quindi, è che le misure antidumping vengano rinnovate almeno per qualche anno, fintanto che anche in Cina i costi aumentino e, nel frattempo, le aziende italiane possano innovarsi. Tuttavia, la decisione della Ue non è così scontata; c’è infatti chi potrebbe limitare l’efficacia del provvedimento, come il Nord Europa e le lobby cinesi.
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