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venerdì 28 maggio 2010

Non si placa l’ondata di morti alla Foxconn, nonostante la clausola antisuicidi

Durante la settimana l’azienda cinese Foxconn, impresa di componentistica che lavora per aziende elettroniche internazionali, è stata il teatro dell’ennesimo suicidio di un suo dipendente. Si tratta di un giovane di 23 anni e per la Foxconn è il decimo suicidio dall’inizio dell’anno nell’impianto industriale di Shenzhen, in cui lavorano circa 300 mila persone.
L’episodio è avvenuto dopo che il presidente dell’azienda, il taiwanese Terry Gou, aveva aperto le porte della fabbrica ai media, annunciando che avrebbe introdotto una clausola antisuicidi nei contratti di lavoro. La clausola prevede che i dipendenti debbano promettere di non farsi del male e di consultare uno psichiatra se dovessero soffrire di qualche disturbo mentale. Il manager ha inoltre affermato che non saranno ammessi risarcimenti alle famiglie del lavoratore suicida, negando quindi alcuna responsabilità dell’azienda. Tra le iniziative che verranno intraprese per contrastare questa ondata di suicidi, ci sarà l’assunzione di un centinaio di monaci buddisti che aiuteranno spiritualmente i dipendenti e la creazione di un servizio interno di assistenza psichiatrica.
Il problema, però, sarà difficilmente risolto con queste misure, anche perché gli episodi di suicidio sono legati a disagi molto profondi, tra cui il distacco culturale di numerosi giovani che abbandonano il proprio villaggio per un lavoro fisso oltre a casi di violenza da parte dei datori di lavoro, sospetti che ricadono anche sulla Foxconn.
I danni di questo fenomeno ricadono anche sull’immagine dei committenti internazionali dell’azienda cinese, tra cui figurano Sony, Samsung, Dell, Nokia, Apple e molti altri. Apple e Hewlett Packard hanno, infatti, avviato separatamente due inchieste sulle condizioni di lavoro dei dipendenti della fabbrica di Shenzhen.

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