La scorsa settimana la Cina ha aumentato, per la quarta volta nel 2011, le riserve monetarie delle banche: Pechino tenta così di frenare l’inflazione per scongiurare il rischio di un crollo dell’economia.
L’economia cinese potrebbe arrivare al collasso entro un paio d’anni a causa di diversi fattori compresenti: i contrasti fra gli investimenti a breve e medio termine, il surriscaldamento della bolla immobiliare, l’aumento dell’inflazione e il congelamento del prezzo dello yuan.
Nouriel Roubini, professore di Economia alla Stern School of Business dell'università di New York, sostiene che “l’economia della Cina si sta surriscaldando. Nel tempo, gli iper-investimenti che Pechino sta autorizzando si dimostreranno deflazionari sia all’interno che all’estero. Prima o poi gli investimenti fissi non potranno essere aumentati, probabilmente nel 2013, e questo condannerà il Paese a una veloce marcia indietro”. Roubini, inoltre, ricorda che nel 2008-2009 i leader comunisti hanno reagito aumentando dal 42 al 47 % del Pil il valore degli investimenti fissi garantiti dallo Stato per far fronte al crollo, dall’11 al 5%, delle esportazioni: questo ha evitato la recessione del gigante asiatico, tuttavia tale escamotage non può essere utilizzato a lungo, in quanto “nessuna nazione è in grado di investire la metà del proprio Pil in nuovi stock di capitali senza dover poi subire l’iper-produzione, soprattutto nel campo delle infrastrutture e in quello immobiliare”.
La politica monetaria cinese - nonostante provvedimenti quali l’aumento, in più riprese, delle riserve monetarie obbligatorie per le banche e gli aumenti dei tassi di interesse per i finanziamenti, studiati per diminuire i prestiti per i finanziamenti - sembra non essere in grado di frenare l’inflazione. Alcuni esperti ritengono che la rapida crescita economica combinata alla grave inflazione che caratterizzano il Dragone potrebbero danneggiare il ceto medio cinese che, a fronte di un reddito che cresce con lentezza, vede ridursi il proprio potere d’acquisto: il rischio è l’aggravarsi del già noto divario tra una ristretta minoranza di ricchi e centinaia di milioni di persone sempre più povere. A tutto questo si aggiungono le insidie dell’aumento combinato dei prezzi del mattone e dei prestiti bancari, gli stessi fattori che hanno portato al crollo dei sistemi finanziari di Islanda e Irlanda. Il rischio è che un vuoto repentino di domanda provochi un crollo improvviso dei prezzi e l’innescarsi della classica reazione a catena provocata dallo scoppio di bolle speculative: i costruttori indebitati non riuscirebbero più a onorare il pagamento degli interessi e le banche sarebbero costrette a rivalersi sulle società insolventi che verrebbero così spinte verso il fallimento.
Secondo il prof. Rubini “Pechino ha bisogno di privatizzare le proprie imprese statali e di tassare in maniera maggiore i profitti degli investitori se non vuole crollare […] le contraddizioni dell’economia cinese sono enormi, e non bastano trucchetti finanziari o monetari per frenare il disastro previsto”.
Nessun commento:
Posta un commento