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lunedì 28 giugno 2010

Scioperi nel Guangdong: il Far East del basso costo fa i conti con lavoratori più consapevoli dei propri diritti

Un’ondata di scioperi ha bloccato gli stabilimenti cinesi della giapponese Honda nelle ultime settimane. Il primo era sorto il 17 maggio scorso - nella sede di Foshan, nel Guangdong la regione preferita dagli stranieri che intendono aprire le proprie fabbriche in Cina - in seguito ad un mancato aumento salariale che, sebbene sia stato ottenuto dopo una sola settimana dall’inizio delle proteste, coincideva con il 24 per cento dello stipendio, pari ad una cifra tra i 17 e i 22 dollari, nonostante i dipendenti avessero richiesto un aumento di circa 74 dollari mensili. Per questa ragione i lavoratori dello stabilimento hanno deciso di ricominciare lo sciopero.
Anche a Shenzhen, nella taiwanese Foxconn, da cui escono prodotti Apple, Nokia e Dell, si sono verificati episodi spiacevoli legati alle negative condizioni di lavoro dei dipendenti: qui la protesta è sorta in seguito alla catena di suicidi tra i giovanissimi, costretti a lavorare 60 ore settimanali, spesso senza riposo nel weekend. La società ha deciso di offrire ai propri dipendenti un aumento salariale del 30 per cento.Questi atti di protesta dimostrano che la Cina non è destinata a rimanere ancora per molto il “paradiso della deregulation”; gli operai non sono più disposti ad accettare le condizioni di sfruttamento in cui sono stati costretti a lavorare per anni. Se un tempo i lavoratori cinesi protestavano solo quando le norme venivano infrante in modo eclatante, ora, anche grazie a una legislazione più rigida che offre maggiori sicurezze, soprattutto i giovani, sono più consapevoli dei loro diritti e di come possono utilizzarli per ottenere aumenti di stipendio e migliori condizioni di lavoro. Tuttavia, le loro richieste non puntano ancora a cambiamenti di natura strutturale: si pretendono prevalentemente miglioramenti a livello salariale.

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