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giovedì 10 giugno 2010

Le autorità cinesi aumentano il salario minimo in 30 città

Svolta economica e politica importante da parte delle autorità cinesi in seguito allo sciopero negli stabilimenti della Honda della scorsa settimana che ha causato la chiusura temporanea degli impianti di assemblaggio. Nonostante in Cina gli scioperi siano illegali, il governo cinese, nel caso Honda, non ha scelto la consueta linea repressiva, al contrario ha lasciato che i lavoratori scioperassero e che i media riportassero ampiamente l’evento. L’effetto della manifestazione, inoltre, è stato l’aumento del 24% del salario per tutti i lavoratori dello stabilimento. A seguito dell’episodio le autorità cinesi hanno annunciato l’innalzamento del salario minimo in una trentina di grandi Municipalità dove le Amministrazioni hanno la facoltà di imporre un paga minima; a Pechino, ad esempio, il salario minimo vige da più di 15 anni e con l’aumento annunciato sarà di 160 yuan mensili (23,5 dollari) e riguarderà circa 100.000 pechinesi. Shanghai, invece, è la città con i salari più elevati con 1.120 yuan al mese (164 dollari).
La decisione del governo cinese è significativa: con questa manovra si vuole dare un segnale importante alle aziende straniere che operano in Cina, che probabilmente dovranno considerare un allentamento dei salari. La Cina potrebbe, infatti, essere sulla strada per abbandonare il ruolo di “fabbrica a basso costo del mondo”, favorendo le esportazioni di beni a prezzi ridotti. Se ciò dovesse concretamente verificarsi, per il settore automobilistico, finora l’unico coinvolto, non sarebbe una perdita, in quanto la Cina rimane il mercato più promettente per le sue possibilità di espansione. Tuttavia, i settori manifatturieri che operano principalmente nell’export potrebbero avere delle difficoltà. Già ora alcuni paesi più vicini geograficamente ai mercati di destinazione dei beni risultano essere più vantaggiosi della Cina per la delocalizzazione produttiva (il Messico lo è per vendere negli Stati Uniti e l’Europa dell’Est per i mercati europei occidentali).
La manovra governativa è comunque una scelta che rientrerebbe nel programma politico cinese che prevede una ridistribuzione della ricchezza più equa a favore degli strati meno privilegiati. I salari, infatti, coprono attualmente meno del 40% del PIL della domanda. Inoltre, uno dei maggiori timori della classe dirigente è proprio quello di un proliferare di conflitti sociali dovuti al gap economico tra ricchi e poveri.
L’aumento dei salari ha un’importanza anche dal punto di vista strettamente economico: l’innalzamento del costo del lavoro, infatti, significa aumento dei prezzi, il che porterebbe ad una svalutazione del potere d’acquisto della valuta cinese. L’inflazione che ne deriverebbe sarebbe comunque positiva perché allenterebbe le pressione sulla parità dello yuan.

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