Tim Cook, l’ad di Apple, si trova in Cina per presidiare l’unico vero fronte “scoperto” dell’ impero di Apple: le fabbriche asiatiche in cui si assemblano gli iPhone, gli iPad e gli iPod venduti in tutto il mondo.
In questi giorni, Tim Cook, nuovo ad di Apple, si trova in Cina. Il viaggio dell’erede di Steve Jobs segue la pubblicazione di venerdì scorso, da parte della Fair Labour Association (FLA), dei dati relativi alla prima indagine - commissionata dalla stessa Apple - sulle fabbriche Foxconn: il report della FLA ha confermato le “gravi e pressanti mancanze di conformità” circa le condizioni di lavoro degli operai cinesi, sia rispetto agli standard di condotta previsti dall’ente sia per quanto riguarda le leggi del Dragone.
Gli auditor della FLA hanno riscontrato più di 50 violazioni, molte delle quali inerenti a straordinari, salari e rischi per la salute. In particolare, risulta che nelle fabbriche in questione gli operai vengano sottoposti a turni di lavoro di oltre 60 ore settimanali, a fronte di compensi inadeguati, che non permettono nemmeno di soddisfare i bisogni primari.
Tuttavia, Apple non risulta indebolita da questo primo confronto con gli esperti della FLA in quanto, rispetto a quanto sosteneva il reportage shock del New York Times uscito qualche mese fa, fra le violazioni contestate non sono presenti casi di sfruttamento minorile, di mutilazioni o pratiche che prevedano l’esposizione degli operai all’inalazione di solventi tossici. Inoltre, al fine di risolvere il problema, ed evitare così che l’immagine della società ne venga compromessa, Apple ha manifestato l’intenzione di accettare i suggerimenti forniti dalla FLA: intende quindi investire una piccola fetta dei suoi massicci introiti, per non essere considerata alla stregua di quelle società che utilizzano le fabbriche cinesi come centri a basso costo per la costruzione dei propri gioielli digitali.
Gli auditor della FLA hanno riscontrato più di 50 violazioni, molte delle quali inerenti a straordinari, salari e rischi per la salute. In particolare, risulta che nelle fabbriche in questione gli operai vengano sottoposti a turni di lavoro di oltre 60 ore settimanali, a fronte di compensi inadeguati, che non permettono nemmeno di soddisfare i bisogni primari.
Tuttavia, Apple non risulta indebolita da questo primo confronto con gli esperti della FLA in quanto, rispetto a quanto sosteneva il reportage shock del New York Times uscito qualche mese fa, fra le violazioni contestate non sono presenti casi di sfruttamento minorile, di mutilazioni o pratiche che prevedano l’esposizione degli operai all’inalazione di solventi tossici. Inoltre, al fine di risolvere il problema, ed evitare così che l’immagine della società ne venga compromessa, Apple ha manifestato l’intenzione di accettare i suggerimenti forniti dalla FLA: intende quindi investire una piccola fetta dei suoi massicci introiti, per non essere considerata alla stregua di quelle società che utilizzano le fabbriche cinesi come centri a basso costo per la costruzione dei propri gioielli digitali.
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