Stando alle previsioni dell’Economist Intelligence Unit, entro il 2020 le emissioni di Co2, derivanti dall’uso di combustibili fossili, saliranno del 40% rispetto ai livelli del 2010 in Cina. L’allarme si estende anche a livello globale e si pensa a una carbon tax.
Cattive notizie sul fronte ambientale per la Cina. Stando alle previsioni dell’Economist Intelligence Unit, entro il prossimo decennio le emissioni di Co2, derivanti dall’uso di combustibili fossili, arriveranno a una quota del 40% rispetto ai livelli del 2010.
Come riferito dal rapporto pubblicato questa settimana, il principale responsabile sarà logicamente il carbone con un consumo previsto del 18% nel periodo 2011-2015. Un aumento più contenuto rispetto al +46% registrato nel quinquennio 2006-2010, ma sufficiente a incidere in maniera significativa sulla quantità di gas serra immessi nell’atmosfera.
Negli ultimi anni la protezione ambientale è entrata a far parte a pieno titolo delle priorità dello sviluppo cinese. Sono stati sottoscritti tutti i maggiori accordi internazionali sull’ambiente da parte della Cina che risulta molto attiva nell’introduzione di politiche per la salvaguardia ambientale.
Ciò però non sembra bastare.
Ad oggi il carbone rappresenta i due terzi del consumo di energia nel Paese e quasi la totalità della produzione di elettricità. Si rende pertanto necessaria l’introduzione di una carbon tax, ossia una pressione fiscale sull'inquinamento, che andrebbe affiancata da una maggiore diffusione delle tecnologie necessarie a contenere le emissioni.
Il mancato decollo della seconda fase del protocollo di Kyoto, comincia a dare le prime preoccupanti avvisaglie. A livello globale, i dati resi noti all’inizio del mese di maggio dalla Noaa (National Oceanic and Atmosferic Administration), uno degli enti americani più accreditati, riferiscono di una concentrazione in atmosfera di 400 parti per milione. In sostanza laddove bisognerebbe ridurre le emissioni, si sta di fatto facendo l’opposto.
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